Achtung Beuys! Un padre negato

Il centenario di Joseph Beuys riporta al centro l'uomo che ha tramutato l'arte in un'azione sociale capace di preservare l'ambiente e rivoluzionare la vita di tutti | 2

Joseph Beuys
Franco Fanelli |

Cent’anni fa nasceva il più celebre artista tedesco del secondo ’900. In vita era un mito, ora per molti è un ingombrante residuo  di utopie passate di moda. Eppure anticipò tutti i temi oggi di stringente attualità: il ruolo politico dell’artista, l’impegno ambientalista, il rapporto tra arte e scienza. Ma se è così, perché lo sciamano del feltro, del grasso e del miele ora ci mette quasi in imbarazzo?

Un padre negato
Un piccolo test: lo scorso anno Artissima, la fiera d’arte contemporanea di Torino, chiese a 25 notissimi artisti italiani dai 35 ai 60 anni di età di rivelare il proprio «albero genealogico», indicando quali loro predecessori considerassero i loro avi e quali colleghi considerassero i discendenti. Nessuno ha nominato Beuys: al suo posto, tra gli altri, Alighiero Boetti, che gli contese l’appellativo di «sciamano»; Luciano Fabro (anche in virtù del suo insegnamento a Brera); un altro «patriarca» dell’arte contemporanea come Mario Merz; oppure Maria Lai,  sempre molto di moda in questi casi; Antonio Ligabue, Mario Sironi, l’immancabile Pasolini, persino il mostro di Frankenstein.

Due i tedeschi: Gerhard Richter e Thomas Schütte. Eppure dal 1971, data del suo primo sbarco in Italia, i rapporti di Beuys con il nostro Paese (da buon tedesco attratto dal «Mythos Italien», titolo anche di una mostra che negli anni Novanta recava sulla copertina del catalogo «Capri Battery», forse il più famoso multiplo beuysiano) si fecero sempre più intensi. Il suo principale mentore galleristico, Lucio Amelio, morì nel 1994, a soli 64 anni, e la sua galleria scomparve sostanzialmente con lui (va detto, tuttavia, che il biglietto per quel primo viaggio di Beuys e famiglia, destinazione Capri, lo pagò Pasquale Trisorio, fondatore dell’attuale galleria). Napoli lo amò da subito, ricambiata, ben oltre i rapporti di mercato, e del celebrato incontro-conferenza, Beuys-Warhol, accolto da Lucio Amelio nella sua galleria. Di quel rendez-vous, oltre alle fotografie, abbiamo peraltro anche le note del diario di Warhol.

Definirle disincantate è poco, visto che la pop star preferì sottolineare la non soddisfacente sistemazione in hotel rispetto a quella riservata a Beuys e non risparmiò al collega qualche frecciata, ad esempio il fatto che l’artista tedesco aveva approfittato di quell’incontro e della presenza fortemente mediatica dello stesso Warhol per la sua campagna elettorale come candidato del Partito dei Verdi.

Ma sarebbe ancor più ingeneroso, ora, dimenticare l’impatto che Beuys esercitò soprattutto sugli artisti più giovani, come Nino Longobardi, che gli dedicò una serie di opere ispirate al già iconico cappello di feltro. Nel 2004 lo stesso cappello avrebbe costellato un monumentale tondo scultoreo di Mimmo Paladino. Ora, a Napoli, il più appassionato cultore beuysiano è un altro sostenitore del valore benefico dell’utopia, Peppe Morra con la sua Fondazione. Ma se in Italia Beuys è un po’ uscito dai radar, in Germania le cose non vanno meglio.

ACHTUNG BEUYS!
Non dimentichiamo l'uomo col cappello
1. Le pietre volanti
2. Un padre negato
3. Il profeta alla lavagna
4. L'uomo che volle essere Goebbels
5. Eppure era uno scultore
6. Meglio l'olio del silicone
7. Un mercato colto e democratico
8. A Napoli l'ultimo atto
9. In Germania piovono mostre
10. Politici, imparate da lui

I «PRIMATTORI» di Franco Fanelli

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