Joseph Beuys al Festival Fluxus della nuova arte di Aquisgrana il 20 luglio 1964 / Foto Heinrich Riebesehl/© vg bild-kunst, Bonn 2020

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Joseph Beuys al Festival Fluxus della nuova arte di Aquisgrana il 20 luglio 1964 / Foto Heinrich Riebesehl/© vg bild-kunst, Bonn 2020

Achtung Beuys! Le pietre volanti

Il centenario di Joseph Beuys riporta al centro l'uomo che ha tramutato l'arte in un'azione sociale capace di preservare l'ambiente e rivoluzionare la vita di tutti | 1

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Franco Fanelli

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Cent’anni fa nasceva il più celebre artista tedesco del secondo ’900. In vita era un mito, ora per molti è un ingombrante residuo  di utopie passate di moda. Eppure anticipò tutti i temi oggi di stringente attualità: il ruolo politico dell’artista, l’impegno ambientalista, il rapporto tra arte e scienza. Ma se è così, perché lo sciamano del feltro, del grasso e del miele ora ci mette quasi in imbarazzo?

Alcuni guardiani del Castello di Rivoli asseriscono che in certe notti di maggio, nella Sala delle Gabbie nei pressi della torre sud, si leva un intenso aroma d’olio d’oliva; la luna di Diana, la divinità cui è dedicata quella che era l’anticamera dell’appartamento del re, inizia a risplendere di luce propria. E gli amanti che, abbracciati sul muretto affacciato sulla cittadina e antistante la mole della reggia, attratti dal quel bagliore, alzassero gli occhi verso quelle finestre, potrebbero scorgere in controluce la sagoma inquieta di un lupo o, più precisamente di un coyote.

Le pietre volanti
Le notti di maggio sono propizie a questi fenomeni e per questo erano una delle ossessioni di H.P. Lovecraft. Ma le notti in genere erano amate da Novalis: «... Mi volgo verso la sacra, ineffabile, misteriosa notte/Lontano giace il mondo/perso in un abisso profondo./La sua dimora è squallida e deserta/Malinconia profonda/ fa vibrare le corde del mio petto/Voglio precipitare in gocce di rugiada/ e mescolarmi con la cenere». Come da antica tradizione, anche il poeta e filosofo tedesco, tra i molti padri del Romanticismo, collocava nel buio notturno quel processo di trasmutazione spirituale che avrebbe portato alla conoscenza. Novalis, a sua volta, era uno dei numi tutelari di Joseph Beuys: perché, se ancora non lo aveste capito, è di lui che si parla.

Che cosa c’entra Lovecraft? Beh, è uno scrittore che, proprio come Beuys, annovera schiere di ammiratori «trasversali», amanti del «weird», quel ramo della fantascienza che flirta intensamente con l’horror ma nei suoi meandri più ibridi e, appunto, strani e insoliti. Però, come Beuys, non sarebbe stato esente da tentazioncelle non proprio edificanti, cose che hanno a che fare con la purezza della razza ecc. E lo scorso anno una nuova biografia dell’artista tedesco scomparso nel 1986 e di cui il 12 maggio cade il centenario della nascita ne ha un po’ scalfito il mito, attribuendogli frequentazioni e simpatie naziste. Ne è autore Hans-Peter Riegel, ex assistente di Jörg Immendorff, un pittore che Beuys lo conosceva bene.

Tra l’altro, Riegel ha asserito in realtà cose ampiamente note: ad esempio che quanto Beuys raccontava circa l’incidente aereo in tempo di guerra che lo portò a un passo della morte era ispirato a una forte propensione dell’artista per la mitomania. Il racconto secondo il quale nel 1943, schiantatosi con l’aereo della Luftwaffe su cui era mitragliere (o marconista?) sulle desolate plaghe della Crimea, sarebbe stato accolto e curato a forza di grasso e feltro (i materiali ricorrenti nelle sue successive opere) da una tribù di nomadi tartari, sarebbe una colossale invenzione, proprio come la ghost-story con la quale si apre questo articolo. Ma è assolutamente vero che nella citata sala del Castello di Rivoli sino al 1992 era collocata una delle più belle fra le opere tarde di Beuys, le cinque antiche vasche per la decantazione dell’olio d’oliva tramutate in opera e intitolate «Olivestone».

Il lavoro venne concepito nel lungo periodo in cui l’artista entrò sotto l’ala protettrice di Lucrezia De Domizio Durini, gallerista e mecenate che fece della sua tenuta di San Silvestro Colli presso Pescara un cenacolo artistico e culturale. Le pesantissime vasche presero improvvisamente il volo nel ’92, appunto, quando la De Domizio Durini riuscì a dimostrarne la proprietà al termine di una lunga vertenza giudiziaria iniziata nel 1986, alla morte dell’autore, contro la vedova Eva Wurmbach Beuys, sposata nel 1959 e oggi ottantottenne (e, con i figli Jessika e Wenzel, erede dell’artista).

«Olivestone» venne donata dalla proprietaria alla Kunsthaus di Zurigo. L’«affaire Olivestone» privò il nostro Paese di un’opera importante; il suo espatrio fa il paio con «Palazzo Regale», un complesso lavoro che Beuys concepì nel 1985 per una mostra al Museo di Capodimonte a Napoli e che nel ’91, non trovando acquirenti  in loco, venne acquistata dalla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf. Ma oltre a queste opere, sembra che in Italia, se non proprio scomparsa, sia molto indebolita la memoria e l’influenza di un uomo che, a torto o a ragione, è considerato uno dei più importanti artisti della seconda metà del XX secolo.

ACHTUNG BEUYS!
Non dimentichiamo l'uomo col cappello
1. Le pietre volanti
2. Un padre negato
3. Il profeta alla lavagna
4. L'uomo che volle essere Goebbels
5. Eppure era uno scultore
6. Meglio l'olio del silicone
7. Un mercato colto e democratico
8. A Napoli l'ultimo atto
9. In Germania piovono mostre
10. Politici, imparate da lui

I «PRIMATTORI» di Franco Fanelli

Joseph Beuys «La fine del XX secolo» (1983-85) alla Tate Modern di Londra

Joseph Beuys al Festival Fluxus della nuova arte di Aquisgrana il 20 luglio 1964 / Foto Heinrich Riebesehl/© vg bild-kunst, Bonn 2020

Joseph Beuys al Festival Fluxus della nuova arte di Aquisgrana il 20 luglio 1964 / Foto Heinrich Riebesehl/© vg bild-kunst, Bonn 2020

Franco Fanelli, 09 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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