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Da sinistra Arcangelo Sassolino, Caroline Liou, Susana Pilar

il giornale dell’arte

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Da sinistra Arcangelo Sassolino, Caroline Liou, Susana Pilar

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Diario da Panorama. Giorno quattro

Reportage in aggiornamento da Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole, dove dal 4 all’8 settembre si svolge la quarta edizione della mostra nomade e diffusa con la quale il consorzio di gallerie Italics racconta attraverso l’arte antica, moderna e contemporanea gli angoli più belli dell’Italia meno battuta. Tappa a Montemagno

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Jenny Dogliani

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« Vulnerant omnes, ultima necat (Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide) »

«La vita è un continuo tentativo di resistenza». Con queste parole Arcangelo Sassolino (che partecipa con «The paradoxical nature of life» Galleria dello Scudo) apre una delle due colazioni con gli artisti che danno il via alla quarta giornata di Panorama. L’altra colazione è con Sara Enrico (Vistamare), Alfredo Pirri (Tucci Russo) e Diego Perrone (massimodecarlo). Insieme a Sassolino, in una conversazione moderata da Caroline Liou, c’è Susana Pilar (che partecipa con «Lo que cantaba la abuela... (Quello che raccontava la nonna...)» Galleria Continua). Nel racconto emerge come nel corso degli ultimi anni entrambi gli artisti abbiano casualmente lavorato sul medesimo concetto di forza e resistenza, seppur con declinazioni diverse. Il senso di Panorama è anche questo, creare connessioni, crescere come un’unica grande comunità fatta di artisti, curatori, collezionisti, studenti, appassionati, curiosi e cittadini, una grande comunità che abbraccia, in questo caso, Cuba, Vicenza e il Monferrato. «Il nostro corpo, prosegue Sassolino, è in continua resistenza contro varie forze, quella di gravità, il cuore che pulsa per creare la pressione interna che ci tiene in vita, i conflitti sociali. Questa coscienza di esistere viene tradotta nell’arte». Un continuo conto alla rovescia contro il tempo, per sapere quanto resisteremo, quando i vari oggetti si spezzeranno cedendo alle pressioni fisiche e meccaniche cui li sottopone Sassolino, quanto Susana e tanti come lei, resisteranno alla violenza del razzismo rappresentata da un enorme ventilatore il cui getto d’aria è talmente potente da bruciarle la pelle, quando Crono divorerà i suoi figli.

Latifa Echakhch, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Il Cavalier d’Arpino, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Fragilità, caducità e fallimento sono forze intangibili, ma visibili attraverso il loro effetto sul corpo e la materia. È un tema su cui l’uomo si interroga da sempre, senza possibilità di trovare una risposta. Un che Panorama tratta magistralmente nella tappa di Montemagno. «La consapevolezza della caducità e della morte fin dall’antico ha avuto una costante presenza e una profonda influenza nelle arti, specialmente accompagnata alla rappresentazione di una scintillante opulenza formale. Ugualmente nelle arti contemporanee il tema della decadenza, del disfacimento e della morte sono un motore espressivo costante, pur nelle differenti declinazioni, individuali, sociali, belliche», spiega Falciani.

Francesco Vezzoli, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Montemagno è un piccolo borgo risalente all’anno Mille, con un imponente castello di origine medievale, dotato di segrete, fossato, ponte levatoio, alte mura difensive, torri merlate, che di per sé basterebbe a evocare la gloriosa sontuosità della lotta tra la vita e la morte, dell’incessante e irreversibile correre del tempo. La morte è però un tabù per la società occidentale, nonostante viviamo in un mondo con il più alto numero di conflitti censito dal 1946, la concreta e quotidiana minaccia di un’escalation mondiale, 7 milioni di morti nel mondo per l’epidemia di Covid. Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità, tutto è vanità). Il sentore di una magnifica decadenza avvolge i visitatori attraverso il profumo di un trionfo di fiori contemplato da due busti francesi raffiguranti due dame, in marmo bianco del XVIII e XIX secolo. Le due sculture sono truccate da Francesco Vezzoli con palette Chanel e Dior. Si intitolano «Camelia (Portrait d’une madmoiselle)» del 2020 e «J’adore Clytie» del 2020 (Franco Noero). La medesima tensione tra la vita e la morte pervade poi le segrete del castello (ancora oggi abitato). La mostra prosegue infatti in uno spazio buio, semi interrato, dove si conservano, tra l’altro, uno dei due torchi più grandi d’Europa, e alcune tracce di stemmi affrescati. Dicono sia stato modificato nel Cinque e Settecento, ma non ci sono fonti sulla sua storia e funzione, il che rende ancora più palpabile il senso di vuoto e di mistero che governa il passaggio tra la vita e la morte. L’allestimento fa invidia ai musei più blasonati e la qualità delle opere e degli artisti mantiene un livello davvero alto, come in ogni tappa di un’edizione e di un’iniziativa in cui tutti i galleristi (di antico, moderno e contemporaneo) credono e si riconoscono sempre di più.

Il castello di Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Marianne Vitale, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Un enorme telone bianco (10 metri x 10 metri) è dipinto da Latifa Echakch con immagini di paesaggi montani al crepuscolo, fa parte della serie «The Fall (Mountains view from Losanne» del 2020 (kaufmann repetto). Appeso al soffitto si appoggia morbidamente sul pavimento, dando l’idea di un imminente caduta. Alla morbida cedevolezza di quel gigantesco tessuto fa eco il grande dipinto manierista di Arpino Giuseppe Cesari detto Il Cavalier d’Arpino. Lungo quasi 4 metri, intitolato «La Vittoria di Costantino» (Galleria Canesso), è stato realizzato nel 1635-40 dal pittore che per otto mesi ebbe a bottega il Caravaggio. Realizzato come un bozzetto, è una potente scena di battaglia con uomini e cavalli, dipinti in bianco, che lottano tra la vita e la morte, tentando di rialzarsi un’ultima volta. Poco più avanti una processione di piccole figure plumbee ricorda uno spaccato iconografico medievale di danza macabra. Piccole statuine tratte da un immaginifico, grottesco e demoniaco bestiario sfilano provenienti da un buio anfratto nascosto in un angolo delle spesse mura del castello. L’installazione fa parte della serie «Bottle People» (2020-21) di Marianne Vitale (Doris Ghetta), disperazione e divertimento sotto le spoglie di demoni ricavati avvolgendo di tessuto bottiglie di liquore poi fuse nel bronzo. 

Theaster Gates, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Maestro della Santa Caterina Gualino, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

La musica gospel dei Black Monks è il toccante sottofondo di tutta la mostra. Proviene dal video «Gone are the Days of Shelter and Martyr» (2014) di Theaster Gates (Gagosian), girato nel South Side di Chicago nella chiesa cattolica demolita di St. Laurence. «Gates evidenzia l’obliterazione di spazi una volta considerati monumenti per le attività culturali e politiche, spiegano dalla galleria. I Black Monks si servono di questa chiesa abbandonata e delle sue parti smantellate per dare testimonianza del perdurare di una vita spirituale. Questo video funge da simbolo del progressivo disinvestimento degli spazi sacri, metafora della caducità della materia, perfino degli edifici sacri, di fronte all’immortalità dello spirito». A fare da contraltare al video una scultura lignea di inizio XIV secolo raffigurante un vescovo, attribuita al maestro della Santa Caterina Gualino (Botticelli Anntichità), eco dell’antica liturgia di un’umanità timorata di Dio. La medesima liturgia che si percepisce ancora in un Monferrato dove ogni borgo conserva antiche e talvolta dismesse chiese, grandi e numerose rispetto agli abitati.

Ebanista del XIX secolo, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Marxzia Migliora, Montemagno, Panorama Monferrato © il giornale dell’arte

Il percorso a Montemagno si chiude nello spazio parzialmente interrato (ancora una volta tra la vita e la morte, la terra e il cielo) della grande chiesa del paese. Qui, tra l’altro, una natura morta di Giuseppe Recco del 1673 (Giacometti Old Master Painting), una toeletta intagliata in legno di erica da un ebanista del XIX secolo (Bacarelli), che reca sul retro la scritta Forma bonum fragile est (La bellezza è un bene fragile). E poi «Pray» (2020), un blocco di salgemma trafitto da un arpione richiuso in una teca, e «Run Fast and Bite Hard (Entren chien et Loup)» (2022), un’installazione sonora che ricrea il suono del canto di uccelli e di passi di lupi in un bosco. Entrambe le opere, di Marzia Migliora (Lia Rumma), riflettono sulla ciclicità dell’esistenza in natura, sulla preghiera per fuggire la morte e il dolore, sugli equilibri nel mondo animale, dove la sopravvivenza di uno è spesso legata alla morte di un altro. Vulnerant omnes, ultima necat (Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide).


 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Jenny Dogliani, 07 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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