Image

«Nel verde» (1960) di Piero Dorazio (particolare), venduto per 441mila euro da Christie’s Milano nell’asta online conclusa il 6 dicembre

Image

«Nel verde» (1960) di Piero Dorazio (particolare), venduto per 441mila euro da Christie’s Milano nell’asta online conclusa il 6 dicembre

In Italia gli affari si fanno ancora con gli anni Sessanta

Da Boetti a Capogrossi, passando per Morandi e Dorazio, le aste di moderno e contemporaneo continuano a premiare gli artisti della vecchia guardia

Image

Alberto Fiz

Giornalista Leggi i suoi articoli

L’Italia non è un Paese per giovani. Basta osservare i cataloghi di arte contemporanea per scoprire che sono i più vetusti del continente. Mentre all’estero si balla con gli under 30 che generano fatturato in un mercato ad alto tasso speculativo, nel Bel Paese si arriva a malapena a vendere gli anni Ottanta ma gran parte degli introiti passano attraverso i mitici Sessanta. La sola eccezione di rilievo è Maurizio Cattelan, oramai ultrasessantenne, che viene proposto distrattamente senza più mandare in visibilio i collezionisti.

Quando il 23 novembre da Sotheby’s a Milano è passato sotto il martello del banditore «Senza titolo», uno sberleffo a Lucio Fontana con il taglio che incide sulla tela la Z di Zorro, in molti hanno sbadigliato e il prezzo finale si è fermato a 163mila euro, non certo un trionfo se nel lontano 2006 da Christie’s a Londra un’altra Z su fondo verde aveva fatto sognare raggiungendo 568mila sterline, pari a 830mila euro.

Tra gli ex giovani, c’è anche il cinquantunenne Francesco Vezzoli in quota Prada, (ha anticipato di qualche decennio Achille Lauro, pupillo di Gucci), che sempre da Sotheby’s ha totalizzato 73mila euro, il doppio della stima, con uno scatto ambiguo e ammiccante che rende omaggio al fotografo di moda Francesco Scavullo.

Se il mercato postpandemia è profondamente cambiato con una corsa esasperata verso le novità, sia pure spesso solo di facciata dove il politically correct ha il sopravvento, l’Italia non si è mossa. Del resto, come diceva don Abbondio, «il coraggio, uno, se non ce l’ha mica se lo può dare». Eppure, le condizioni per tentare la svolta ci sono state tra il 2015 e il 2016 quando il made in Italy era sulla bocca di tutti e sulla scia di Fontana i prezzi salivano all’impazzata con i salti mortali per Enrico Castellani, Paolo Scheggi, Agostino Bonalumi e Dadamaino.

Era in quella fase che sarebbe stato necessario inserire in compagnia nuovi attori prendendoli magari dal vivaio degli anni Novanta, un terreno ancora inesplorato. Ma il sistema non ce l’ha fatta a cambiare passo, con i galleristi che non avevano le spalle abbastanza larghe per sostenere i loro beniamini in campo aperto, i collezionisti che preferivano non esporsi troppo sul prodotto nazionale e le case d’asta che non hanno agito senza le coperture.

Così, oggi il mercato è rimasto sostanzialmente invariato con gli anni Sessanta decisamente più deboli rispetto a otto anni fa. Basti pensare a quanto è accaduto a Scheggi da Sotheby’s a Milano quando «Intersuperficie curva bianca» del 1969 (216x105x9 cm), un pannello laminato bianco, è passato di mano per appena 107mila euro, cifra di almeno quattro volte inferiore rispetto a quanto avrebbe potuto realizzare nel 2015. Pazienza se qualcuno è rimasto col cerino in mano.

La polvere si nasconde sotto il tappeto, soprattutto di fronte ad Alighiero Boetti, vero e proprio scacciapensieri. Basta un arazzetto di 17 centimetri per diventare ricchi dall’oggi al domani. Proprio come il titolo dell’esemplare messo in vendita da Christie’s a Milano nell’asta online conclusa il 6 dicembre che in pochi istanti è stato aggiudicato per 94mila euro rispetto a una stima già robusta di 20-30mila euro. E da Sotheby’s «Maledetti privilegi», una penna biro sempre di Boetti, si è imposto per 302mila euro.

Senza dare nell’occhio, tuttavia, la vera riscoperta del mercato è il sottovalutato Giuseppe Capogrossi che, dopo essere rimasto ai margini sino a poco tempo fa, appare in ripresa. Saranno le celebrazioni per i cinquant’anni della scomparsa (si sono svolte nel 2022 e non è mancata una personale alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma), il rinnovato interesse da parte del mercato internazionale o l’attualità del suo segno perfettamente adatto al linguaggio del web, fatto sta che l’artista romano sembra uscito dal letargo e da Sotheby’s «Superficie 397», storica tela del 1961 con le sovrapposi-zioni delle sue celebri «forchette», ha raggiunto 353mila euro portandosi a un’incollatura dal suo record che regge dal lontano 2006.

In gran spolvero Piero Dorazio, che dopo aver superato fasi piuttosto turbolente sul fronte delle autentiche, appare finalmente pacificato con un archivio che garantisce gli investitori (sino al 30 aprile è in programma una sua doppia personale alla Galleria d’Arte Moderna Achille Forti di Verona e alla Galleria dello Scudo). I risultati si vedono con prezzi in crescita dal 2018 e da Christie’s «Nel verde», un reticolo del 1960 si è imposto per 441mila euro confermando il risultato di un altro lavoro simile venduto l’anno prima da Dorotheum a Vienna.

Ma il 2022 si è chiuso con uno squillo di tromba per Giorgio Morandi che ha totalizzato il prezzo più alto mai raggiunto da un’opera d’arte in Italia. Il 23 novembre da Sotheby’s (l’asta, nel suo complesso, ha ottenuto un eccellente fatturato pari a 14,3 milioni di euro) una «Natura morta » del 1959 è stata acquistata per 3,4 milioni di euro rispetto a una stima di 700mila-1 milione. La cifra, in apparenza inspiegabile, è dovuta al fatto che il dipinto era accompagnato dalla licenza di esportazione e poteva viaggiare, senza patemi d’animo sulle piazze internazionali. La fortuna che fosse libero da vincoli ha galvanizzato due collezionisti americani che, pur di aggiudicarselo, si sono sfidati in un appassionante duello al rialzo portando la natura morta negli States.

In un mercato in chiaroscuro, Christie’s non ha valorizzato pienamente la vendita di due grandi collezionisti, Luigi e Peppino Agrati, che per molto tempo hanno saputo tenere testa a Giuseppe Panza di Biumo. Una gestione frammentaria della raccolta non ha consentito di sfruttare come meritava la provenienza, un tema che tanto appassiona gli investitori. Tre aste in tre luoghi differenti (New York, Parigi e Milano) senza comprendere l’autentico spirito dei proprietari hanno portato nelle casse della major 9,5 milioni di dollari (9,2 milioni di euro), ma ben 8 milioni sono giunti dalla vendita di sole tre opere (Fontana, Manzoni e Warhol).

Per il resto solo qualche spicciolo e dall’incanto italiano terminato il 5 dicembre sono giunti appena 630mila euro. «Un folle amore» s’intitolava l’incanto, ispirandosi alla pubblicazione di Germano Celant dedicata ai due fratelli. A quanto pare questa volta lo slancio amoroso non s’è visto. Decisamente più affettuoso è stato il popolo britannico nei confronti della regina Elisabetta scomparsa l’8 settembre scorso. Anche in questo caso, però, l’emozione è durata poco e da Sotheby’s a Milano il ritratto della sovrana realizzato da Warhol ha cambiato proprietario per 277mila euro. In ottobre, la medesima serigrafia si era imposta da Phillips a New York per 353mila dollari con un surplus del 22%. Questione di timing più che di feeling.

«Nel verde» (1960) di Piero Dorazio (particolare), venduto per 441mila euro da Christie’s Milano nell’asta online conclusa il 6 dicembre

Alberto Fiz, 05 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

L’opera d’arte in tribunale: la nuova pubblicazione di Alessandra Donati e Novelio Furin

Da Anna Maria Maiolino a Greta Schödl a Claire Fontaine, ecco gli artisti che potrebbero decollare in Laguna. Scarseggia l’ultracontemporaneo. Record di artisti deceduti: 177 su 322. E i Leoni d’Oro del 2022? All’asta è andata meglio Simone Leigh, peggio Sonia Boyce

È scomparso il 26 gennaio a 93 anni il collezionista che aveva creato a Celle uno dei parchi di arte ambientale più importanti al mondo. Un visionario, irrefrenabile, che nella sua vita non ha mai venduto un’opera

La parola alla neodirettrice della Fondazione genovese, che anticipa alcuni suoi programmi

In Italia gli affari si fanno ancora con gli anni Sessanta | Alberto Fiz

In Italia gli affari si fanno ancora con gli anni Sessanta | Alberto Fiz