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Giorgio de Chirico, «Tempio in una stanza», 1927, battuto per 584.200 euro all’asta milanese di Sotheby’s del 28 maggio scorso (particolare)

Courtesy of Sotheby’s

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Giorgio de Chirico, «Tempio in una stanza», 1927, battuto per 584.200 euro all’asta milanese di Sotheby’s del 28 maggio scorso (particolare)

Courtesy of Sotheby’s

Il mercato dell’arte italiano batte un cinque

L’Iva sulle opere d’arte in Italia, scesa dal 22 al 5%, è diventata la più bassa d’Europa. E ora non ci sono più scuse 

Non saranno forse i libri sul postfascismo, né quello, ultimo, su Antonio Gramsci i motivi per cui il ministro della Cultura Alessandro Giuli verrà ricordato dai posteri. La ragione che gli garantirà di ritagliarsi un posto nella storia del mercato è aver ottenuto il tanto agognato abbassamento dell’Iva sulle opere d’arte, provvedimento che l’Italia dell’arte attendeva come la manna dal cielo. La sentenza è arrivata il 20 giugno scorso quando il Consiglio dei Ministri ha deciso che fosse giunto il momento di far calare la mannaia sull’odiata imposta che penalizzava l’Italia più di tutti gli altri Paesi europei. Quando molti ormai avevano perso le speranze, si è passati da un’aliquota del 22 al 5%, la più bassa del Vecchio Continente. Un taglio radicale e per una volta l’Italia ha fatto meglio di tutti superando Francia (5,5%) e Germania (7%). 

Va poi ricordato un aspetto non marginale passato inosservato, ovvero che il 5% vale anche per le importazioni extra UE come Inghilterra o Stati Uniti dove sino a ieri si pagava il 10%. Sebbene nel Paese dei bastian contrari ci sia già chi storce il naso domandandosi, non senza demagogia, per quale ragione favorire quei ricconi speculatori che acquistano le opere d’arte quando lo Stato dimentica i fragili e i beni di prima necessità, va detto che, senza essere meloniani, la decisione del Governo appare di assoluto rilievo e non è azzardato definirla di portata storica. È la prima volta che un esecutivo fa proprie le istanze di categoria (le maggiori pressioni sono arrivate dal Gruppo Apollo che ha l’ambizione di rappresentare l’industria dell’arte in Italia) riconoscendo che il mercato dell’arte non è lo sterco del diavolo, bensì una parte essenziale del sistema culturale. Gallerie e fiere alimentano l’intera filiera e senza l’apporto dei privati le istituzioni pubbliche, con fondi sempre più risicati, si troverebbero in forte difficoltà. Va poi detto che questo provvedimento favorisce soprattutto gli spazi giovani e quelli maggiormente indirizzati verso la sperimentazione che rischiavano di chiudere rispetto a condizioni non più sostenibili. Nell’ultimo rapporto Nomisma pubblicato a fine marzo emergeva che con la vecchia aliquota il settore avrebbe perso fino al 28% e per le piccole gallerie si poteva arrivare addirittura al 50%. Con l’Iva agevolata invece il mercato batte un cinque (non ha nulla a che vedere con quell’altro 5% che riguarda le spese militari) e secondo gli allibratori si prevede di arrivare a un fatturato annuale di 1,5% miliardi con un effetto volano sull’economia italiana che ottimisticamente potrebbe avere un indotto di 4,5 miliardi. 

Il risveglio di Cenerentola

Sarebbe un sogno rispetto a un Paese che sino a ora è rimasto la Cenerentola d’Europa: in base al rapporto di Art Basel Ubs Art Maket Report gli scambi in Italia nel 2024 sono stati inferiori al miliardo di dollari, mentre nel Regno Unito hanno raggiunto 10,4 miliardi e in Francia 4,2 miliardi. Basta piagnistei dunque e più nessuna ipotesi di «desertificazione culturale» come annunciavano in maniera drammatica gli artisti in una lettera aperta esposta durante miart, iniziativa sicuramente meno patetica rispetto alla protesta dei fischietti inscenata durante ArteFiera. Ora uno strumento importante per ripartire è stato messo a disposizione e dai prossimi mesi si dovrebbero vedere i primi segnali. Decisamente euforico Sirio Ortolani, presidente di Angamc e vicepresidente del Gruppo Apollo che si è battuto come un leone per la riforma: «L’Italia può finalmente diventare un grande hub internazionale, forte attrattore per le gallerie di tutta Europa e per le grandi fiere», afferma. «Il panorama è radicalmente cambiato e non c’è più ragione di acquistare a Parigi quando a Milano costa persino di meno». A ribadirlo è anche Alessandra Di Castro presidente del Gruppo Apollo: «La riduzione dell’aliquota Iva al 5% per le importazioni e le transazioni relative a opere d’arte con il mantenimento del regime del margine per le compravendite tra operatori e privati è sicuramente un risultato importante che contribuirà a rendere più competitivo il mercato italiano in Europa e nel resto del mondo»

Il sistema nazionale torna a essere appetibile e gli apocalittici dovranno ricredersi, compresi quelli costretti a ingoiare l’amaro calice riconoscendo che questa volta la destra ha fatto meglio della sinistra. E chi era convinto che gli stranieri avrebbero aperto la loro sede in Italia solo per sfruttare la flat tax sui Paperoni (la tassa piatta di 200mila euro all’anno indipendentemente dal patrimonio) potrebbero avere dei ripensamenti. Chissà, magari investire in Italia, al di là dei furbetti, può convenire davvero. Ma il 5% non è la panacea di tutti i mali e il Presidente della Cultura alla Camera Federico Mollicone ha annunciato, in un’intervista a «Il Giornale dell’Arte», che già in luglio (visto com’è andata con l’Iva, questa volta ai politici bisogna pure dare credito) viene presentato Italia in scena un progetto che si basa su tre direttrici: innovazione, valorizzazione e semplificazione. Proprio quest’ultimo punto è particolarmente importante in quanto riguarda la notifica ancora ferma alla legge Bottai del 1939. Il timido tentativo di riforma che allunga i tempi per bloccare l’esportazione da cinquanta a settant’anni, non ha funzionato dal momento che, senza una regolamentazione, si crea una zona grigia discrezionale che non può dare alcuna certezza agli acquirenti: «Il primo passo è passare ai settant’anni con trasparenza e senza ambiguità evitando inutili intoppi burocratici che pesano sulle sovrintendenze e sui collezionisti», afferma Giuseppe Calabi tra i maggiori esperti di diritto dell’arte e membro del consiglio direttivo del Gruppo Apollo. 

Ora tocca alla notifica

Anche sul fronte delle case d’asta si attendono certezze rispetto a un mercato che può essere bloccato in qualsiasi momento senza alcuna ragione apparente. È accaduto da Sotheby’s a Milano dove il 13 aprile 2022 è stato notificato «Pittura», un monocromo blu di Mario Schifano non certo esclusivo, datato 1962 che in asta aveva raggiunto 1 milione di euro, aggiudicazione che ovviamente non si è conclusa: «Si tratta di un intervento difficilmente comprensibile tenendo conto che l’opera non può essere considerata di eccezionale valore storico-artistico visto che sul mercato circolano con frequenza lavori della medesima tipologia, spiega Claudia Dwek, responsabile europea dell’arte contemporanea per Sotheby’s. Se l’Iva è sicuramente un fondamentale passo avanti che dimostra una rinnovata sensibilità da parte del Governo, per rilanciare il sistema è bene giungere a una riforma complessiva»

Un altro punto dolente è la soglia di valore all’esportazione dove l’Italia è lontana dai parametri introdotti dall’Unione Europea. Solo un bene che ha un valore di 13.500 euro viaggia all’estero senza alcun permesso, mentre nell’ambito della UE i dipinti possono raggiungere i 150mila euro con l’eccezione della Francia dove c’è totale libertà sino a 300mila euro. Su questo punto Mollicone appare d’accordo con gli operatori ribadendo «che la soglia di valore è troppo bassa» e dunque sarà necessario intervenire. Accanto alla digitalizzazione delle opere notificate (lo Stato le vincola ma poi spesso non sa dove sono), un altro aspetto che andrebbe chiarito è la politica delle acquisizioni, argomento di cui nessuno parla. Eppure, sembra che lo Stato qualche soldo lo abbia e proprio da Sotheby’s, non molto tempo fa, ha notificato e poi acquistato per 1 milione di euro una mediocre gouache di Egon Schiele che sembra non aver trovato collocazione nei musei pubblici. Se Giuli vuole mettersi un’altra medaglia al petto renda pubbliche le acquisizioni in base a una strategia che deve coinvolgere i musei. Ogni anno andrebbe stabilito un budget da destinare alle opere vincolate dando al mercato un segnale chiaro dove il messaggio non è solo quello di punire l’esportazione, bensì d’intervenire direttamente sulle opere che meritano di essere tutelate evitando scelte casuali. L’importante è non rimanere in mezzo al guado crogiolandosi sull’Iva ridotta. Il dado è tratto ma per rimettere l’Italia al centro della scena è necessaria un’ulteriore svolta.

Alberto Fiz, 10 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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