«Percorso male inteso» (1965), di Piero Dorazio

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«Percorso male inteso» (1965), di Piero Dorazio

1963-1968: una fase cruciale di Piero Dorazio

Alla Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e alla Galleria dello Scudo un quinquennio della vasta produzione dell’artista

Dal 17 dicembre al 30 aprile la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e la Galleria dello Scudo ospitano un’importante mostra realizzata in collaborazione con l’Archivio Piero Dorazio e curata da Francesco Tedeschi, che è anche curatore del catalogo generale dell’artista. Attraverso 30 dipinti di grande formato «Piero Dorazio. La nuova pittura. Opere 1963-1968» si focalizza su un quinquennio della vasta produzione dell’artista, nato a Roma nel 1927 e scomparso a Perugia nel 2005.

«Il periodo scelto, spiega il curatore, è caratterizzato da due momenti nodali: alla fine del 1963 il pittore esce dalla tipologia delle trame che qualifica le opere tra il ’58 e il ’62 con cui era stato identificato, rompendo uno schema che sembrava definito. Nel ’68, l’altro momento nodale si verifica in corrispondenza del periodo vissuto a Berlino (dove Dorazio realizza “Sorteggio”, conservato nelle raccolte dei musei di Verona). Dapprima avvia una ricerca sul colore fondata su bande cromatiche che si sviluppano in diverse soluzioni compositive, quindi rompe anche questo ulteriore modello di struttura, mettendo in movimento la composizione con zone di colore che si intersecano a puzzle. Una reinvenzione del suo sistema di iconografie astratte in cui il colore è protagonista in maniera ulteriormente innervata dall’interno. È quindi un periodo di particolare interesse anche in relazione al panorama internazionale».

Qual è il ruolo di Dorazio nella scena artistica internazionale?

Le prime mostre personali di Dorazio avvengono a New York negli anni Cinquanta, alla One Wall Gallery di George Wittenborn, che fu editore anche di Robert Motherwell, e alla Rose Fried Gallery. Da allora, avrà un ruolo centrale nei rapporti con l’ambiente americano, guidando negli anni ’60 il Dipartimento di arte alla University of Pennsylvania. A Filadelfia coinvolge nell’attività didattica i maggiori artisti della New York School e molti altri protagonisti del ’900 europeo e americano: fu molto apprezzato per la grande capacità didattica e di pensiero, per la sua figura di intellettuale e di artista insieme. In quegli anni la sua galleria di riferimento è la Marlborough nelle sue sedi di New York, Londra e Roma.

In quale contesto di ricerca va collocata la sua opera?

Nel periodo preso in esame la sua posizione è da vedere nel contesto di tendenze che vanno dalla «Systemic Painting» alla «Post Painterly Abstraction» teorizzate da Lawrence Alloway e Clement Greenberg, in relazione con artisti come Frank Stella, Robert Mangold, Ellsworth Kelly. Le affinità riguardano l’uso del colore, nella scelta prettamente timbrica molto netta, con fasce di colore-luce che si sovrappongono generando motivi di vario genere. Rispetto alle ricerche che portano al Minimalismo, Dorazio afferma la forza di una pittura che si fonda sulle basi dell’arte della prima metà del secolo, attorno alla quale ha pubblicato nel ’55 il libro più aggiornato nel panorama critico italiano di quel momento: Fantasia dell’arte nella vita moderna. In lui troviamo la capacità di tradurre in forme rinnovate l’Astrattismo del primo ’900, gli spunti creativi che gli vengono da Kandinskij o da Matisse, due maestri per lui fondamentali. In questa selezione ci sono i dipinti che dimostrano questi legami, pur nelle soluzioni completamente innovative, come «Kasimiro grande», omaggio a Malevic, «Tranart», omaggio a Severini, e ancora due omaggi a Balla: sono opere tra le più originali e forti della pittura italiana di quegli anni. «Next generation», che chiude il percorso, contiene un riferimento ai movimenti studenteschi del ’68.

Nel suo saggio in catalogo lei parla di «nuova pittura».

Nei primi anni Sessanta Dorazio era in rapporto con le tendenze che andavano oltre l’Informale, nella direzione dell’Arte cinetica e programmata, ma proprio per non venire assimilato a quella direzione rompe una griglia rigida e inventa soluzioni nuove. Sui suoi dipinti si muovono linee che si aprono a generare campi di colore; mentre prima lavorava su serie di opere simili, ora vede ogni opera a sé. In generale si assisteva a un superamento della pittura, mentre Dorazio ribadisce l’affermazione dei valori pittorici e della fantasia come principio creativo, anche attraverso il passaggio a dimensioni ragguardevoli e all’amplificazione della forza del colore. Alla Biennale del ’66 si presenta con una sala personale concepita sull’esaltazione della varietà, molto distante da quella del ’60: una decina delle 21 opere esposte nel ’66 sono in mostra a Verona.

La mostra rappresenta anche un’importante occasione di studio...

Il catalogo contiene molti contributi: le letture dal punto di vista americano e internazionale di David Anfam e di Raffaele Bedarida, lo studio della ricchissima corrispondenza tra Dorazio e gli artisti americani della direttrice dell’Archivio Dorazio Valentina Sonzogni, il contesto storico critico è analizzato da Fabio Belloni e da Luca Pietro Nicoletti, il cui saggio è portante, e ancora contiene i testi e gli apparati di Patrizia Nuzzo, Laura Lorenzoni, Sonia Chianchiano, Isabella d’Agostino.

«Percorso male inteso» (1965), di Piero Dorazio

Piero Dorazio nello studio di Willem de Kooning a Southampton nel 1969: in primo piano, il catalogo pubblicato in occasione della personale di Dorazio alla Marlborough-Gerson Gallery di New York tenutasi nel febbraio di quell’anno

Camilla Bertoni, 02 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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