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Eugen Blume. © Staatliche Museen zu Berlin/Juliane Eirich

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Eugen Blume. © Staatliche Museen zu Berlin/Juliane Eirich

Achtung Beuys! | Politici, imparate da lui

Il centenario di Joseph Beuys riporta al centro l'uomo che ha tramutato l'arte in un'azione sociale capace di preservare l'ambiente e rivoluzionare la vita di tutti | 10

Francesca Petretto

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«Joseph Beuys è una personalità eccezionale dell’arte del XX secolo, se non altro perché ha dichiarato che l’arte è l’unica possibilità di riformare le società occidentali nelle loro forme d’esistenza materiale e spirituale. Vedeva il suo concetto allargato di arte come la conseguenza del percorso di dissoluzione dei confini tra arte e vita intrapreso nell’arte moderna da Marcel Duchamp in poi. Beuys ha capito subito che i processi di modellazione scultorea sono trasferibili alle relazioni sociali e che ogni essere umano è un artista. Per poter scoprire la capacità creativa fondamentale insita nell’individuo bisognava liberare il pensiero da limitatezze razionaliste e materialiste. Per questo motivo mise in discussione anche i concetti di arte, economia, politica e scienza divenuti pericolosamente unilaterali in una cultura prettamente economica, offrendovi alternative.

Il suo interesse, già negli anni ’60, per le questioni ecologiche, la rivendicazione di uno status giuridico per animali e piante, l’impegno in prima linea come cofondatore del Partito dei Verdi e fondatore di un’Università Libera, rimangono interventi indimenticabili. Il suo approccio universale, aperto e soprattutto non ideologico attira oggi l’interesse della scienza, della filosofia e anche della politica extraparlamentare e della cultura della protesta. Se pensiamo poi al disorientamento e alla scarsa capacità di proiettarsi nel futuro di attuali politica e cultura, è facile capire perché Beuys stia diventando sempre più importante
». Così Eugen Blume, professore all’Università Heinrich-Heine Düsseldorf e direttore del progetto «Beuys2021», le celebrazioni in Germania per il centenario della nascita dell’artista, ne riassume la ricchissima personalità.

In quale misura ha ispirato l’arte non solo tedesca venuta dopo di lui, per molti addirittura anticipandola, così come il dibattito arte-politica tornato oggi così attuale?
Dopo le diverse correnti, alcune molto politiche, dell’arte concettuale degli anni ’60, assistiamo a una chiara svolta di quella più recente verso questioni di carattere politico-sociale. Tuttavia all’interno di queste nuove tendenze c’è a mio giudizio la falsa convinzione di poter sostituire l’arte con narrazioni intermedie, politicamente impegnate. Ciò porta inevitabilmente a un indebolimento dell’arte. Voglio dire che l’arte non agisce in ambito politico-sociale ma evita o trascende le dimensioni generali per agire in profondità, attivando la parte più nascosta dell’esistenza. L’arte in quanto arte è dunque una risorsa indispensabile, esemplare di un riconoscimento intuitivo che può riverberarsi anche nel politico. In questo senso Beuys viene spesso frainteso.

Il sito web del progetto «Beuys2021» annuncia il laboratorio «Plastic Democracy», ispirato alla FIU (Free International University), fondata da Beuys con lo scrittore Heinrich Böll e altri. Di cosa si tratta?
La definizione «Plastic Democracy» ingloba due fondamentali forme di movimento del beuysiano concetto esteso di arte e anche della FIU: la teoria plastica e la democrazia diretta. La prima afferma che tutti i processi naturali e mentali hanno un carattere sostanzialmente plastico, plasmatore; li si potrebbe anche intendere come principi base dell’evoluzione. Questi movimenti iniziano in uno stato caotico, che Beuys ha chiamato anche calore o amore, per passare poi a uno stato solido, in una forma che può tuttavia nuovamente disintegrarsi nel caos.

Ma sul piano dei rapporti sociali, come possono il calore e l’amore entrare in una fredda forma che ha a sua volta bisogno di un processo democratico collettivo per trovare alla fine quella giusta per tutti? Nel nostro laboratorio proporremo, insieme all’Accademia di Düsseldorf, all’Università Heinrich-Heine, al collettivo d’architettura Raumlabor e a altri ospiti di discutere su questa domanda e proveremo sperimentalmente a darle una forma di vita temporanea. Del resto Beuys stesso non riuscì alla fine a istituzionalizzare la sua FIU, preferendo una forma nomade che fu in grado di mantenere il caotico sotto forma di energia di calore e amore.



ACHTUNG BEUYS!
Non dimentichiamo l'uomo col cappello
1. Le pietre volanti
2. Un padre negato
3. Il profeta alla lavagna
4. L'uomo che volle essere Goebbels
5. Eppure era uno scultore
6. Meglio l'olio del silicone
7. Un mercato colto e democratico
8. A Napoli l'ultimo atto
9. In Germania piovono mostre
10. Politici, imparate da lui

I «PRIMATTORI» di Franco Fanelli

Eugen Blume. © Staatliche Museen zu Berlin/Juliane Eirich

Joseph Beuys a Villa Durini, Pescara, 1972. Foto Buby Durini. Courtesy Archivio storico De Domizio Durini

Francesca Petretto, 31 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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