Pavlo Makov, sotto le bombe prepara la sua Biennale

La testimonianza dell’artista a cento chilometri da Charkiv, in contatto con il Ministero della Cultura italiano per «salvare» il Padiglione ucraino alla Biennale di Venezia

Schizzo della «Fontana dell’esaurimento» di Pavlo Makov, per il Padiglione ucraino alla 59 Biennale di Venezia © Maria Lanlo Da sinistra, i curatori del Padiglione ucraino alla 59a Biennale di Venezia Elizabeth German, Boris Filonenko, Maria Lanko con l’artista Pavlo Makov, il terzo da sinistra © Maria Lanlo
Stefano Miliani |  | Charkiv

Non sarà come era stato immaginato, non sarà completo, ma il Padiglione ucraino alla Biennale di Venezia ci sarà. D’intesa con il nostro Ministero della Cultura, Maria Lanko, una delle curatrici, sta cercando di portare il materiale in Italia. Anche se l’artista, Pavlo Makov, non potrà essere in laguna, come racconta al «Giornale dell’Arte».

Makov parla nella mattinata di giovedì 3 al telefono via Whastapp da una località nei pressi di Poltova, a un centinaio di chilometri da Charkiv. Nei giorni precedenti era invece nella città di Charkiv, dove ha dovuto mettersi al riparo dai bombardamenti russi e da dove ha poi cercato di fuggire con madre e moglie verso un luogo (al momento) più sicuro. Il 63enne artista ucraino (nato a San Pietroburgo), parla un buon italiano. Il tono è calmo, tuttavia, nella voce si avverte preoccupazione, paura, incertezza, per sé, i propri cari, l’intero Paese.

Dove si trova ora, Makov?
Vicino a Poltova, a cento chilometri da Kharkiv, in direzione di Kiev. Qui ora è tranquillo. Per dare un’idea della situazione: per percorrere cento chilometri ci sono servite sei ore. Abbiamo dovuto lasciare la nostra città, Charkiv, devastata dal bombardamento russo. Ho preso mia mamma, che ha 92 anni, mia moglie, una nostra amica con sua mamma; noi cinque (sospira, Ndr) con la mia macchina siamo arrivati vicino a Poltava, dove mi hanno detto che potevamo restare. Adesso aspettiamo nostro figlio con la fidanzata, la mamma di lei e altri loro amici: cercano di lasciare la città, bombardata dai russi in un modo assolutamente selvaggio.

Si aspettava l’invasione russa?
Nessuno se l’aspettava. È in corso una guerra molto dura; non ci aspettavamo che iniziassero a bombardare i corrieri [convogli Ndr] civili, il centro è tutto bombardato, distrutto. Non è possibile. Lanciano razzi da lontano e bombardano anche via aerea. Ieri mattina prendendo mia mamma ho sentito l’esplosione di un razzo che ha distrutto la centrale della polizia, mia mamma vive in centro.

Avete la solidarietà di chi scrive e della redazione.
Grazie, siamo veramente commossi dalla solidarietà di tutto il mondo. Vede, loro non possono prendere Kharkiv da terra: il nostro esercito è motivato, il loro no, non è motivato, sono banditi armati. Hanno cominciato a bombardare. Siamo stati nel rifugio per giorni. Mia mamma diceva di non voler andare nel rifugio, io ero nervoso come un pazzo. Ho deciso: andiamo via.

In Occidente sono in corso molte manifestazioni per boicottare la cultura ufficiale russa. Per esempio il Teatro della Scala di Milano e l’Opera di Monaco di Baviera hanno detto che il direttore d’orchestra Gergiev non collaborerà con loro poiché non si è pronunciato contro l’invasione e l’azione di Putin. Questi provvedimenti contro gli esponenti russi della cultura che non si schierano contro la guerra servono? Che cosa dovrebbero fare il mondo dell’arte e della cultura?
Sì, penso che servano. Penso anche che però arrivino un po’ troppo tardi. Perché è importante sapere che la guerra è cominciata per la prima volta con la Georgia nel 2008. "Forse non è buona cosa, ma va bene", si pensava. In Ucraina abbiamo una guerra dal 2014, otto anni. Forse adesso è più severa, ma è la stessa guerra. Non è possibile in questo momento sedersi su più sedie. Penso che ora l’Europa e l’America abbiano fatto una cosa molto buona. Per la Russia non esiste niente, vogliono dominare l’Europa, lo dicevo molte volte ai miei amici in Italia, in Germania, in Danimarca. Questa non è una guerra tra Ucraina e Russia, è una guerra tra due mentalità, tra due civiltà se vogliamo. La differenza è grandissima. Il prezzo delle vite umane in Russia vale zero, hanno un atteggiamento differente da noi. È una guerra al confine ucraino, al confine orientale dell’Europa: anche se non lo volete è così. Sono pazzi.

Secondo lei alla Biennale di Venezia dovrebbe esserci qualche testimonianza dell’Ucraina? È fattibile? O è meglio l’assenza totale del Padiglione?
Oggi ho parlato con il Ministero della Cultura italiano e una mia collega, una delle curatrici del progetto, sta andando in auto verso l’Italia con tutti i documenti e con un pezzo del nostro progetto. È come un pezzo generale: sono imbuti di bronzo. Non tutta la fontana, ma la parte principale della fontana sarà in Italia. Io non posso promettere di esserci, non potrò venire, ma cerchiamo di fare di tutto il possibile per avere il nostro Padiglione.

Che cosa deve fare il mondo e che cosa deve fare l’Occidente per fermare l’invasione?
Da un punto di vista politico non lo saprei, non posso suggerire niente. Una cosa importante è che l’esercito della Nato non deve entrarci, automaticamente scatterebbe la terza guerra mondiale. E la Russia non si ferma: adesso non ha più niente da perdere, ha già perso tutto.

La Russia, a partire da Putin, ha ricordato più volte di avere arsenali nucleari che possono colpire in tutto il mondo.
Sì, sono pronti per questo. Non il popolo, ma Putin e chi ha intorno sì.

Crisi russo-ucraina 2022

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