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Pittore dell’ambito di Cola dell’Amatrice, «Compianto sul Cristo morto», prima metà del sec. XVI (particolare)

Foto: Riccardo Garzarelli, fonte Diocesi di Ascoli Piceno

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Pittore dell’ambito di Cola dell’Amatrice, «Compianto sul Cristo morto», prima metà del sec. XVI (particolare)

Foto: Riccardo Garzarelli, fonte Diocesi di Ascoli Piceno

A Borgo d’Arquata si riparte dall’arte

A nove anni dal terremoto, in una struttura polifunzionale del Rotary inaugura uno spazio museale permanente con 14 opere dal territorio: un atto concreto contro un graduale invecchiamento e spopolamento

Stefano Miliani

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Il 24 agosto 2016 il terremoto del Centro Italia rase al suolo Arquata del Tronto (Ap) e le sue frazioni, nelle Marche meridionali. Per il paese storico, inerpicato su un monte, il processo di ricostruzione urbanistica è lungo e complesso, richiederà anni, tuttavia domenica 6 luglio alle 10.30 la Diocesi di Ascoli Piceno, con il Comune e con la Soprintendenza di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata lanciano un segnale significativo di rinascita: a Borgo d’Arquata, piccolo nucleo più in basso e vicino in linea d’aria rispetto al centro storico distrutto, inaugurano uno spazio museale permanente con 14 opere dal territorio e da Arquata in una struttura polifunzionale del Rotary data al Comune. Titolo della prima esposizione: «L’identità ritrovata. Opere d’arte dal territorio di Arquata del Tronto nel ricordo di don Angelo Ciancotti».

Fondamentali sono state le pressioni e l’azione di cittadini e associazioni locali perché si arrivasse a questo risultato. Chi dirige il centro espositivo è lo storico dell’arte Marco Lattanzi, 70 anni, romano, in pensione, già al Ministero della Cultura, a lungo al Quirinale nella struttura della presidenza della Repubblica con la quale tutt’oggi collabora. «Ho avuto l’incarico dal vescovo di Ascoli Piceno Giampiero Palmieri, che ha voluto questo progetto, dice lo studioso a «Il Giornale dell’Arte». Con una sinergia che ha funzionato abbiamo lavorato insieme al Comune con il sindaco Michele Franchi, alla soprintendenza con il soprintendente Giovanni Issini e con lo storico dell’arte Pierluigi Moriconi. Questo spazio museale ha un significato culturale ma anche identitario per la comunità che si riconosce nei suoi simboli iconici».

Chi è rimasto tra le montagne verdi intorno ad Arquata del Tronto vive, nella gran parte, nei villaggi Sae (le soluzioni abitative in emergenza), i bambini nati dopo il 2016 non immaginano neppure una vita prima del sisma. La ricostruzione civile è ancora lunga. Allora, ancorché di piccole dimensioni, la raccolta rappresenta un atto concreto contro un graduale invecchiamento e spopolamento che il terremoto ha acuito in misura atroce.

Pittore di ambito Marchigiano, Tabernacolo, sec. XVI. Foto: Riccardo Garzarelli, fonte Diocesi di Ascoli Piceno

Undici pezzi, fa sapere lo storico dell’arte, appartengono alla Diocesi, tre al Comune, provengono da siti inagibili. «Sono una sintesi, scelti con criteri geografici per testimoniare tutte le frazioni di Arquata. Sono opere restaurate. Se e quando alcune potranno tornare nei luoghi di provenienza, le sostituiremo con altre».

Invitato a citare alcuni pezzi, Lattanzi cita l’opera-simbolo: «Una bella “Annunciazione” di un pittore nell’ambito di Francesco Albani databile intorno al 1620 proveniente dalla chiesa di Santissima Annunziata di Arquata». Lacerato e strappato, il dipinto fu restaurato nel 2019 da Serena Petrelli, Michele Aureli e Davide Di Silvestro diretti da Moriconi con fondi raccolti dagli operai della Colgate Palmolive di Anzio che si autotassarono: «Tardo manierista nella composizione e nei colori, nella visione d’insieme il dipinto è più classicheggiante e slancia nella provincia ascolana una pittura molto alta». Oppure rammenta due croci astili: «Una è della fine del XIII secolo di bottega sulmonese, l’altra di bottega abruzzese del ’400».

All’elenco si possono aggiungere una lunetta sul «Compianto sul Cristo morto» dell’ambito di Cola dell’Amatrice nella prima metà del ’500, sculture lignee, campane in bronzo. Rimarca lo storico dell’arte: «Queste opere in più materiali incarnano il senso della storia delle comunità e di una devozione che mi colpisce: nella perdita profonda degli affetti per il terremoto entrano pure questi manufatti che hanno accompagnato la vita di molte persone. Ma desideriamo anche che diventino un’attrazione per valorizzare Arquata».

Nel 2016 i beni furono recuperati, più volte rischiando la pelle, dai Carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale di Ancona, insieme ai vigili del fuoco e alla Protezione civile con il coordinamento del Segretariato regionale dei beni culturali di Ancona. In una sala, un video documenta i salvataggi dei militari tra macerie ed edifici a un passo dal crollo.

Il Comune ha sostenuto le spese per l’allarme e la sala con l’impianto di climatizzazione «è idonea», rassicura Lattanzi. Decisivo è stato il finanziamento del Bim-Bacino imbrifero montano del fiume Tronto presieduto da Luigi Contisciani. Un’ultima spiegazione: la sala è intitolata a don Angelo Ciancotti, già parroco ad Ascoli Piceno, scomparso un paio di anni fa per una malattia, perché conosceva a fondo l’arte di Arquata e dintorni e avrebbe sognato un ritorno di questo genere.

Pittore dell’ambito di Francesco Albani, «Annunciazione», 1620 ca. Foto: Claudio Ciabochi, fonte Diocesi di Ascoli Piceno

Stefano Miliani, 04 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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