Giochi di parole propagandistici

Due risoluzioni dell’Unesco si sono succedute nel corso di pochi giorni, in ottobre, e hanno provocato accese reazioni

Alessandro Martini |  | Gerusalemme

La prima, dedicata alla «Palestina Occupata», è accusata di ignorare l’identità ebraica di quei luoghi; la seconda, intitolata alla «Città Vecchia di Gerusalemme e le sue mura», è indicata come un atto di «guerra al giudeo-cristianesimo». Nell’uno e nell’altro caso, sui contenuti hanno prevalso le valutazioni geopolitiche, com’è inevitabile che accada a Gerusalemme: luogo di guerre e di conflitti quotidiani da decenni e, da secoli, cuore di tutte e tre le religioni monoteistiche in costante confronto e scontro. 

Nella risoluzione «Palestina Occupata», approvata dal Comitato esecutivo dell’Unesco il 13 ottobre e adottata il 18 ottobre, pur confermando che la città è sacra per ebrei, cristiani e musulmani, per definire il luogo più sacro di tutti (e per tutti), l’area della Spianata delle Moschee e del Muro del Pianto, non si utilizza né il termine ebraico «Har HaBayit» né
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