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«Venere allo specchio» (1647-51) di Diego Velázquez, Londra, National Gallery

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«Venere allo specchio» (1647-51) di Diego Velázquez, Londra, National Gallery

«Pas de deux» | Le schiene

Strumenti umani come mani, piedi, occhi, peni e passere, dipinti dagli artisti e raccontati da Stefano (Causa) e Arabella (Cifani)

Stefano Causa e Arabella Cifani

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La spina dorsale è femmina
Le donne hanno spesso mal di schiena. Sono le gravidanze, lo stare molto in piedi affaccendate in casa, piegate sui bambini, inchiodate a una scrivania a lavorare. Oggi la schiena è un affare da ortopedico e da fisiatra, gli unici che guardano ancora attentamente le schiene femminili. Pochi sono invece gli uomini che si soffermano ad ammirare la schiena di una donna, attratti come sono istintivamente dai soliti glutei o seni. Te ne accorgi sulle spiagge.

Non è sempre stato così. La storia dell’arte è piena di intenditori delle schiene femminili, pittori e committenti che apprezzavano questa parte segreta del corpo femminile. La schiena più attraente è certo quella dell’«Ermafrodito dormiente» di Palazzo Massimo a Roma, una statua che non è stata ritoccata e ci è giunta intatta dall’antichità. L’ambiguo essere, metà donna e metà uomo, dorme a pancia in giù svelando le curve magnifiche della sua schiena arcuata e giovane e mostrando, a chi voglia guardare meglio girandoci intorno, di essere dotato di seno e di pene. Viene voglia di accarezzarla quella schiena così viva e palpitante anche se di marmo, e di innamorarsene come nel racconto di Prosper Mérimée della «Venere d'Ille».

In seconda battuta, nella classifica, stando alle schiene, la «Venere allo specchio» di Diego Velázquez. L’unico nudo rimasto del sommo spagnolo è una sinfonia di colori e bellezza. La donna ha la vita stretta, i fianchi morbidi ma snelli, la schiena scattante e flessuosa la farà, forse, girare in un momento verso di noi, con uno scatto felino: se vorrà farlo questo scatto, perché non è sicuro, nel quadro è tutto in divenire e lei potrebbe restare indolente e coricata ad ammirare la propria beltà per ore. La segue a ruota, quanto a bellezza, il nudo di schiena di Pierre Subleyras con una donna di cui non conosceremo mai altro che un magnifico derrière dove le curve, i pieni e i vuoti prendono un andamento quasi astratto.

La schiena femminile in arte è argomento per intenditori. È più facile buttarsi su una bella schienona maschile e muscolosa, su un «Torso del Belvedere», su una schiena di Michelangelo dove leggi tutti i muscoli e fai anche lezione di anatomia. Le donne hanno schiene scivolose, solitamente magre (non sempre però, ci sono anche le Veneri di Rubens foderate di lardo anche nella schiena, simili a strapuntini), la linea della spina dorsale di una schiena femminile è un binario, una strada da percorrere, un ruscello fuggente. Si possono vellicare, accarezzare, stringere. Le donne di schiena di Degas, piegate come canne in atti di vita quotidiana (lavarsi, pettinarsi) o quelle di Henri de Toulouse-Lautrec tutte nervi e contratture, o ancora quelle, magrissime, di Schiele dove si contano tutte le vertebre e che sembrano serpenti.

E poi c’è un intero mondo di figure di schiena, fatte a proposito in tale posizione. Presente già nel medioevo e nel rinascimento (e chi può dimenticare l’urlo rosso della Maddalena ai piedi della Croce di Masaccio?), la figura di schiena diviene frequente dal Seicento, basta pensare ai molti personaggi in tale posa nei quadri di Caravaggio. Anche nel nord Europa si affermò questa tipologia, e «l’Atelier del pittore» di Jan Vermeer ne è una delle più significative rappresentazioni.

Le figure di schiena vedono cose che noi non vediamo ci precludono una pare dello spazio visivo, guardano, sognano cose loro. Che cosa scrutava la bella Kiki de Montparnasse fotografata da Man Ray per l’immortale «violino di Ingres»? E la magnifica modella fotografata da Horst di schiena (una schiena scolpita da una luce nitida che crea potenti gorghi di chiaroscuro) con quel corsetto tutto percorso da lacci nel quale può essere una delizia intrecciarsi?

E poi c’è il contemporaneo e ruffianissimo Jack Vettriano, autore di dipinti e stampe soft porn di cui non riesco a spiegare la fortuna: riproduzioni delle sue opere occhieggiano infatti negli alberghi, nei bagni dei dentisti, nei corridoi dei centri estetici, ma anche sulle pareti dello studio di un noto cardiologo, e non parliamo poi dei parrucchieri. Che cosa attira in queste figurette sempre occupate in combines amorose della durata di un giorno o due e spesso di schiena? Sono mal dipinte, di un gusto marcatamente anglosassone che a noi non dovrebbe piacere ma che invece piace eccome, un Hopper in sedicesimo con echi edoardiani. Guardatevi bene «devotion» dove la schiena di una dominatrice occupa quasi tutto lo spazio. Troverete la risposta da soli.

[Arabella Cifani]

Il vero lato B: la schiena
E se provassimo ad eliminare dal fondoschiena le cinque lettere iniziali? Se decidessimo che, d’ora in avanti, il lato b indichi solo questa che, essendo la meno immediatamente visibile tra le porzioni del corpo parrebbe, in apparenza, la meno percorsa e battuta dagli sguardi; pertanto, la meno soggetta a sovrainterpretazioni? Meno soggetta (forse) sebbene non meno scoperta.

A rimetterla in auge, è stato indiscutibilmente l’attore americano del momento, Timothée Chalamet, quando, sul tappeto rosso di Venezia Cinema 2022, ha svelato con franchezza tutta caravaggesca quella che rischia di essere la schiena regina di inizio millennio. Acerba, naturalmente sdutta e, non ancora messa a regime, capace di proporsi, senza imporsi allo sguardo, come campo di accoglienza o superficie pronta a riempirsi di segni e stili di una vita. La schiena dietro, la vita davanti. Una schiena come un lavoro suprematista di Malevic, le superfici di Ellsworth Kelly o la copertina del White Album dei Beatles. Superfici guarnite ma capienti e potenzialmente cariche di tutte le attese e desideri del mondo.

Lui non lo sa ma, fotografato e istantaneamente divulgato, il suo lato b (per noi la schiena) s’inserisce in una filiera obbligata. Si fa spazio tra schiene eroiche, palestrate, gibbose e piene di dossi e curve. Schiene paesaggio. Le schiene dei bronzi di Riace, del David di Donatello e di Michelangelo; le schiene del Perseo celliniano, del rapitore di Sabine di Giambologna. Schiere di schiene che volentieri si copiano. Schiene da museo. Schiene da Maestri del colore.

Ma il ventiseienne Chalamet sgombra definitivamente l’oltranza muscolare, che neanche i colpi dell’Aids erano riusciti a intaccare, delle schiene fotografate da Robert Mapplethorpe negli anni ‘80, che tutti quei precedenti, lontani e, ora, di nuovo a portata di mano, da Riace all’Accademia di Firenze, riassumeva e rilanciava. Nere schiene del tempo le sue, è il caso di dire, in tutti i sensi. Chalamet invece sul tappeto rosso del Lido ci è venuto disarmato.

Offre una schiena che non racconta nulla se non sé stessa. Al confronto il nudo di spalle, che nelle «Sette Opere di Misericordia» il Caravaggio costringe a terra ricordandosi del Galata morente, è stracarico di storia. Non antica né caravaggesca la schiena di Chalamet rimanda soltanto alle pagine chiare e alle pagine scure della giovinezza. Non è una schiena che libri e ricordi abbiano responsabilizzato. Dinanzi a questo spettacolo immacolato lo storico d’arte deve passare la mano e giusto il «Torso di giovinetto» di Arturo Martini, così antiretorico a sette anni dalla marcia su Roma, potrebbe indurre a un confronto. Ma meglio di no: almeno per questa volta il Museo immaginario che ci portiamo dietro come un trolley non ci sarà di aiuto.

[Stefano Causa]

«Pas de Deux»
Strumenti umani come mani, piedi, occhi, peni e passere, dipinti dagli artisti e raccontati da Stefano (Causa) e Arabella (Cifani)
Le mani
I piedi
Le labbra
La passerina
Le tette
Gli occhi
I membri maschili
I nasi
I sederi
Le orecchie
I denti
I capelli
Le schiene
 

Timothée Chalamet al Festival del Cinema di Venezia

«Night in the city» (2006) di Jack Vettriano

«Schiena femminile» (1917) di Egon Schiele

«Ermafrodito dormiente» (II sec. a.C.), Roma, Palazzo Massimo

Stefano Causa e Arabella Cifani, 28 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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