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Dettaglio della copertina dell'album «Oro, incenso e birra» di Zucchero (1989)

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Dettaglio della copertina dell'album «Oro, incenso e birra» di Zucchero (1989)

Pas de deux | Zucchero Fornaciari e la pittura bolognese

I rapporti tra la copertina di «Oro, incenso & birra» del cantautore reggiano e l’arte antica felsinea, visti da Stefano Causa e Arabella Cifani

Stefano Causa e Arabella Cifani

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Da Zucchero ai Carracci: natura ed espressione nel blues bolognese-emiliano

Nel giugno 1989 Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, nativo di Roncocesi, sette chilometri da Reggio, pubblica «Oro incenso & birra», piaccia o meno uno dei dischi fondamentali della scena italiana di fine secolo. Si tratta di un titolo irriverente come impone quel sano spirito blues che, dagli Stati americani del Sud alla provincia di Reggio, sa di sangue, sudore e lacrime, natura ed espressione (e qui al gusto di gnocchi fritti).

Mettici che il titolo è una paronomasia. Accostare parole dal suono simile ma di significato diverso. Se ne dilettava Ennio Flaiano, che non sono in molti a leggere per intero essendosi adattato come pochi alla riduzione aforistica della cultura in rete. E dopo di lui?

Maestri di malapropismi sono Totò e quel suo garbato divulgatore siculo che si chiama Nino Frassica: «Occorre tagliare la testa al topo, è successa una cosa di una certa gravidanza, qui lo dico e qui lo annego…». Quanto ai Magi sappiamo bene cosa portassero. Ma qui di birra ne scorre parecchia: nei solchi e, innanzitutto, nella copertina dove alcune lattine galleggiano tra due dipinti.

Classe 1955, Zucchero combina dettagli dall’«Immacolata Concezione» di Jusepe de Ribera e dal «Cristo in gloria con santi e Odoardo Farnese» di Annibale Carracci, oggi alle Gallerie Palatine di Firenze.

Trentacinque anni fa Annibale non era ancora stato oscurato dal Caravaggio, che appena cominciava a sormontare sull’orizzonte degli studi e la copertina di questo disco rivendica una voce nell’oggi, risicata fortuna dell’unico competitor nostrale del Merisi. Però se c’è, come voleva Francesco Arcangeli nella cultura bolognese-emiliana, un senso di natura ed espressione, Zucchero dà la mano ad Annibale. Anche questa, insomma, è Padania (con l’accento sull’ultima).

«E così dove cercare?»  si chiedeva nel 1950 Roberto Longhi, interessato a stanare i soli veri critici d’arte da leggere «Fra i collezionisti e i mercanti…certamente!». Anche tra i bluesmen, aggiungeremmo. [Stefano Causa]

Musica e pittura alla bolognese: cotechini e Carracci al sugo

Ho dei forti e fondati dubbi che un ragazzo, diciamo ventenne, di oggi sappia leggere filologicamente la storica copertina di «Oro incenso & birra» di Zucchero decifrandone il puzzle in cui a lattine di birra si alternano frammenti di un quadro di Ribera e di uno di Carracci con cornici trasformate in stencil a effetto pizzetto. Che pasticcio questa cover di carne tritata con qualche verdura in mezzo, con quei colori fa pensare a una macelleria con annesso ristorante dove sobbollono ragù densi come sangue rappreso per condirci le lasagne alla bolognese.

E sì che la pittura bolognese è sempre stata grassa e cicciosa, fin dal Medioevo. Già Vitale da Bologna verso il 1135 dipingeva tavole fantastiche come il san Giorgio che uccide il drago della Pinacoteca di Bologna, carico di colore e di enfasi e dove appare chiaro che, una volta ammazzato, il drago sarà cotto e mangiato con gusto da Giorgio e dalla principessa (e non vogliamo sapere cosa capita dopo).

Ma fu quando arrivarono i Carracci con le loro incredibili macellerie che la situazione divenne decisamente chiara: Bologna era un posto dove si mangiava bene e meglio si viveva. «La macelleria» della Christ Church Gallery di Oxford docet.

È un bene che stia in Inghilterra perché ci fa un sacco di pubblicità. Volete i tortellini? Volete le costolette alla bolognese? E allora lasciate quei deprimenti lunch inglesi e venite in vacanza in Italia, e magari non ci tornerete più in patria e rimarrete qui a criticarci tutti i giorni ma incollati a un tavolo pieno di cibarie.

Se poi vi incontrate con il «mangiafagioli» di Annibale Carracci (Galleria Colonna) capirete anche perché in Italia si viva di più e meglio e che cosa sia la dieta mediterranea: fagioli, cipolle crude, un po’ di frittata, pane, vino e poi a zappare. Nemmeno la mia nutrizionista, illustre medico del settore, avrebbe nulla da ridire.

Ma sull’onda della musica di Zucchero possono avvenire tante cose, perché è una musica appiccicosa e moschicida, ti avvolge e ti arrotola in un miele di note e alla fine comincia a correrti lungo la schiena e ti risveglia anche i sensi. E allora la grassa Bologna torna in pista. C’è un altro pittore bolognese del Cinquecento, pressoché coetaneo dei Carracci, che si associa a questo tripudio di bistecche e di grassi. Bartolomeo Passerotti. Famoso, certamente. Ma li avete mai guardati sul serio i suoi quadri?

Negli Usa credo che siano vietati perché potrebbero turbare la quiete pubblica molto più del povero David, e soprattutto sovvertire i pensieri di tutti quelli che credono di aver raggiunto la pace dei sensi con l’approvazione del cardiologo. Perché i vecchietti del Passarotti alla pace dei sensi non ci pensano proprio, mangiano, bevono e si accoppiano come maiali.

Nell’«Allegra compagnia» due uomini e una donna, che sarebbe eufemistico ritenere brutti, anche perché rientrano nella categoria del grottesco, si danno al bel tempo fregandosene del fatto che tutto quello che si vede (e che non si vede ma è alluso fra agli, fichi e piedi di porco) è appassito, moscio e cadente e manca anche qualche incisivo.  Al tripudio partecipano cani e personaggi di colore non meno allegri, tutti ubriachi al punto giusto.

Poi, progressivamente, anche in Emilia arriverà la Controriforma, con i suoi effetti e con il terribile  cardinale bolognese Gabriele Paleotti che comincerà a controllare tutti gli orli delle vesti, le scollature e le capigliature delle Madonne. La gran festa del Cinquecento finirà e comincerà un’altra era con pittori egualmente talentuosi ma per bene, come il Guercino o Guido Reni. E tutti devoti, almeno all’apparenza, e tutti zitti in chiesa. In chiusura, per correttezza ricordiamo che Zucchero Fornaciari non è di Bologna ma di Reggio Emilia. In realtà ma cambia poco, al massimo si aggiungono alla cover i cotechini.

Il suo blues, come vedete, può portare molto lontano, anche in campo artistico. Nel tentativo di porre rimedio alle troppe vibrazioni della sua arte nel 1992 ha pubblicato lo splendido album del «Miserere». Ma ci è ricascato: anche qui nella cover fa l’occhiolino all’arte antica: compare infatti una sua foto ritratto dove gioca a presentarsi atteggiato come personaggio fra Rembrandt e Frans Hals, con tanto di cappello di velluto rosso. Dai suoi dischi si parte sempre per molti viaggi. [Arabella Cifani]

 

Copertina dell'album «Miserere» di Zucchero (1992)

«Allegra compagnia» di Bartolomeo Passerotti (1570 ca.)

«Mangiafagioli» di Annibale Carracci (1584-1585)

«Grande macelleria» o «Bottega del macellaio» di Annibale Carracci (1583 ca.)

«San Giorgio e il drago» di Vitale da Bologna (1330 ca.)

«Cristo in gloria con santi e Odoardo Farnese» di Annibale Carracci (1595 - 97)

«Immacolata concezione» di Jusepe de Ribera (1635)

Stefano Causa e Arabella Cifani, 30 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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