«Pas de deux» | I sederi

Strumenti umani come mani, piedi, occhi, peni e passere, dipinti dagli artisti e raccontati da Stefano (Causa) e Arabella (Cifani)

Un particolare della «Allegoria di Venere e Amore» (1545 ca.) di Agnolo Bronzino
Stefano Causa, Arabella Cifani |

Il lato C
Giusto nel momento di situarsi dal punto di vista del posteriore la prima domanda, di irrefutabile stupidità, è la sola autorizzata dal contesto augustano in cui si presume che il cervello sia messo a folle. Qual è il più bel sedere di tutti i tempi? O, almeno, il più bello dell’arte moderna? Non avrei dubbi anche se, a rigore, non si tratta di sedere ma di groppa. Quella che il Caravaggio piazza a tutta pagina nella «Conversione di San Paolo» della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma.

Lo scrittore storico dell’arte Roberto Longhi quella scena la ribattezzò un «incidente di scuderia» (definizione su cui un esigentissimo classificatore di metafore come Proust non avrebbe nulla da ridire e che mette l’accento, appunto, sul vero protagonista del dipinto che non sono Saulo disarcionato né il palafreniere). Un episodio che aveva visto trattato dentro un paesaggio corrusco e animato, Caravaggio lo fa suo reinventandolo in interno. In questa partitura di gesti sospesi si staglia, con luminosa rotondità, la groppa del cavallo. Troppa grazia verrebbe da aggiungere; anzi, groppa grazia!
«La Conversione di San Paolo» (1600-01) di Caravaggio
Torna a casa lessico
Dopodiché il posteriore merita ben altre strategie di approssimazione. A cominciare dal nome con cui s’intenda onorarlo: chiappa, culo, sedere o fondoschiena. Il peggiore, che bandirei da un italiano sempre più povero e sminuzzato (torna a casa lessico!), è come prevedibile anche il più diffuso. Uno scrittore di astuto talento come Luciano De Crescenzo diceva di appartenere a un’epoca in cui i cellulari erano i veicoli atti a tradurre i delinquenti in questura.

Quanto a me, appartengo a un’era geologica in cui con Lato B s’indicava il rovescio dei dischi a 33 giri. Il Lato B era il secondo tempo del film. Nei 45 giri, il lato b era, quasi sempre, un riempitivo (sul lato a si metteva la hit). Fisicamente e concettualmente il lato b scomparve col cd nei primi anni ’80, ma nel vinile obbligava ad una liturgia significativa. Ti alzavi dalla sedia o dal letto e dovevi girare il padellone sul piatto. Questo implicava uno sforzo anche nell’ascoltare nei termini di una partecipazione consapevole. Nessun posteriore di questo mondo riuscirà a prendere il posto del rovescio del disco.
Gli atleti del «Foro Mussolini»
E se lo chiamassimo lato C?
Subito dopo, come nell’aura divaricazione tra tette e seni su cui ci siamo già intrattenuti, inviterei a lavorare su cosa distingua, semanticamente, la chiappa dal culo, il sedere dal fondoschiena. Di esempi di statue, dipinti, foto e film ne abbiamo milioni (e non si smette di rimpiangere quando Tinto Brass, in era analogica, si premurava di collazionarne per noi una prima scelta). Con questi parametri il gioco del posteriore diventa più semplice; e più divertente.

1) Il sedere classico (o il classico sedere). Facile: il David. L’antonomasia del sedere. E questo archetipo ha finito per introiettare sederi precedenti, meno eroici e altrettanto invitanti allo sguardo, al tatto e al complimento: non necessariamente in quest’ordine. Tutti i sederi del mondo, a finire con quelli degli atleti del «Foro Mussolini» a partire dal 1932, non sono che una naturale postilla, previo lungo allenamento in palestra, a Michelangelo.

2) Il culo. Sessant’anni prima della groppa di San Paolo, all’altezza del 1540 il culo perfetto è quello di Amore che tocca il seno a Venere nella tavola di Bronzino della National di Londra. In questo che, per la resa realistica di ogni dettaglio, è uno dei quadri più seicenteschi del Rinascimento Bronzino si rende la vita difficile affollando l’angolo con un incastro tra la gamba della donna, la vecchia che si dispera e quel frutto tornito che sporge, pericolosamente, di lato.
Con tutte le accentuazioni omoerotiche che vi si vogliano sottintendere, un’autentica cannonata di naturalismo illusionistico come il Narciso di Cecco del Caravaggio non aggiunge molto a questo dettaglio del Bronzino che è come se volesse scoppiare fuori del suo piazzamento ritmico.
Una scena del film «Amarcord» (1973) di Federico Fellini
Amore alla fonte
Non ci sarebbe molto da aggiungere a questa filiera se non fosse che, nel 1830, Francesco Hayez tira fuori quello che è, senza molti confronti, il più bel culo del secolo. Carlotta Chabert, ballerina. Ma nessuno lo dirà meglio di Marcello Mastroianni in «Ginger e Fred» (1986): «Una donna senza culo è come un alpino senza mulo».
3) Le chiappe. Il catalogo è virtualmente infinito, ma le chiappe per eccellenza sono quelle che i ragazzi di «Amarcord» (1973) contemplano nel «Monumento ai Caduti di Rimini» di Bernardino Boifava, anno 1926. L’Italia Fascista ripensata negli anni 1970. Cos’avevano in comune queste due epoche? Sostanzialmente una cosa: l’assenza di internet. Quanto alle chiappe, nessuno batte quelle che Oliviero Toscani nel 1973 immortalò, strizzate, nei jeans Jesus. Chi mi ama mi segua.

4) Il fondoschiena. Come a dire la chiappa degli anni ‘80, patinata e cremata. Una su tutte: Lo slip di Roberta. Quante hanno posato a partire dal 1983 per quell’immagine che, più di tutte, racconta, anzi incarna un decennio? Io ricordo Rosa Fumetto e, naturalmente, la Hunziker.

Si potrebbe continuare, prima che il nostro sguardo sia annichilito dal flusso inarrestabile di posteriori (in senso lato) che transitano nei video degli smartphone a tutte le ore e sui quali, non si sa perché, non cadono le pecette dei social come sui capezzoli. Misteri del corpo e sue censure. Certo, l’argomento è più che mai cool.

[Stefano Causa]

«Pas de Deux»
Strumenti umani come mani, piedi, occhi, peni e passere, dipinti dagli artisti e raccontati da Stefano (Causa) e Arabella (Cifani)
Le mani
I piedi
Le labbra
La passerina
Le tette
Gli occhi
I membri maschili
I nasi
I sederi
Le orecchie
I denti
I capelli
Le schiene

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