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Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliVenezia. Circa 360 milioni di euro: a tanto ammonterebbe il danno ai soli beni pubblici secondo quanto ci è stato confermato dai referenti del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, in seguito alle ondate di marea eccezionale che si sono verificate a partire dal 12 novembre (quando il picco ha raggiunto i 187 centimetri sullo zero mareografico di Punta della Salute), nei giorni successivi e durante il mese di dicembre. Una stima riferita a un primo censimento per il ripristino di pontili, pavimentazioni, corpi illuminanti, svariate tipologie di danni a beni di proprietà del Comune o ad esso afferenti (inclusi i Musei civici).
Il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza per la città (di cui il primo cittadino è anche commissario straordinario) stanziando 20 milioni che copriranno solo in parte questo fabbisogno. Poi si dovranno aggiungere le richieste di risarcimento di privati e aziende: delle 9mila domande pervenute a metà gennaio, quelle ad essere state protocollate entro la deadline di fine mese risultano 7207 per un importo di 93 milioni e mezzo di euro.
Accanto alla spettacolarizzazione di Piazza San Marco e della Basilica invase dall’acqua e trasformate in uno sfondo mediatico per presenzialismi politici giunti dalla Capitale con unanime e a tratti strumentale cordoglio, non si deve infatti dimenticare il volto umano di una città in cui la voglia di reagire convive con la rabbia, con il timore di vedere l’eccezionalità diventare quotidianità, con il senso di una soglia superata tanto da invocare al più presto l’entrata in funzione del Mose, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico per il contenimento delle acque.
La faraonica opera ingegneristica costata quasi 6 miliardi di euro, travolta dallo scandalo di tangenti, frodi fiscali e ritardi non salverà Venezia (com’è risaputo) ma aiuterà almeno a limitare il livello delle maree più sostenute. In questo scenario, insieme alle fasce più deboli della cittadinanza, anche il patrimonio culturale figura come vittima incolpevole e cela altre storie dal volto umano: volontari, studenti, direttori di musei e biblioteche, membri della protezione civile, restauratori scesi in campo in prima persona per assicurare il pompaggio dell’acqua, il lavaggio con acqua demineralizzata delle superfici dal salso (che corrode, risale e a distanza di settimane o mesi manifesta efflorescenze causando il distacco anche delle superfici musive), il tamponamento per l’asciugatura di documenti cartacei.
Impossibile ora quantificare nel complesso l’entità dei danni anche per la differente natura degli enti. Senza dubbio, ad aver sofferto di più risultano i beni architettonici e quelli librari e archivistici. Tra questi abbiamo scelto casi emblematici senza tralasciare l’apporto dei Comitati privati internazionali, nati proprio in seguito all’«acqua granda» del 1966.
Marea a Venezia. Chi pagherà
1. Un bagno costosissimo
2. La basilica
3. Le chiese
4. Il Conservatorio
5. La Galleria Franchetti
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