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Sophie Seydoux
Leggi i suoi articoliLa notizia della sua nomina, annunciata dal Ministero della Cultura saudita attraverso la Visual Arts Commission, segna un passaggio significativo per il Regno, giunto alla sua quinta partecipazione alla Biennale e alla quarta con una donna come rappresentante ufficiale. A curare il progetto sarà Antonia Carver, direttrice di Art Jameel, con Hafsa Alkhudairi come assistente curatrice — un team tutto al femminile, impegnato in un dialogo tra radici e modernità, territorio e globalità. Nata a Gedda, formata tra Londra e il Medio Oriente, Dana Awartani (classe 1987) ha costruito un percorso unico, capace di rimettere in circolo i saperi antichi dei maestri artigiani arabi, facendoli vibrare di nuova vita. Dalla geometria islamica ai pigmenti naturali, dal tessuto al legno, la sua opera attraversa pittura, scultura, performance e installazione, con un linguaggio che è insieme rigoroso e spirituale.
La sua poetica parte da un atto semplice ma potente: ricucire il legame tra forma e significato, tra la manualità del fare e la consapevolezza del tempo. Nei suoi lavori, le trame decorative diventano metafore di continuità culturale, ma anche di perdita. Non a caso, molte delle sue opere affrontano la fragilità del patrimonio materiale nel mondo arabo, minacciato da guerre, abbandono e modernizzazione incontrollata. Come ha dichiarato la stessa artista: “Il mio lavoro è radicato nella volontà di riportare alla luce le storie silenziate e le pratiche dimenticate del mondo arabo. Ogni gesto, ogni materiale, porta con sé una memoria condivisa. Il progetto per la Biennale sarà sviluppato nel solco del tema In Minor Keys, ideato dalla curatrice camerunense Koyo Kouoh — un omaggio alla potenza dei linguaggi sommessi, alla politica della delicatezza e alla forza del dettaglio. Dopo la scomparsa di Kouoh nel 2025, la Biennale 2026 si configura come un omaggio postumo al suo pensiero critico: un invito a guardare alle culture marginalizzate non come note di contorno, ma come nuove armonie globali.
In questo contesto, la voce di Awartani risuona come naturale prosecuzione di una riflessione sul valore della memoria artigianale e sul dialogo transculturale. Il padiglione saudita, ospitato come di consueto alle Sale d’Armi dell’Arsenale, si preannuncia come uno spazio di incontro tra gesto e racconto, dove il fare diventa forma di resistenza. Negli ultimi anni, Awartani ha portato la sua ricerca in sedi di prestigio internazionale — dalla Sharjah Biennial 15 al Diriyah Contemporary Art Biennale, fino all’Hirshhorn Museum di Washington e alla Biennale di Venezia 2024. Le sue installazioni spesso implicano processi collettivi, realizzati con artigiani locali o rifugiati, restituendo dignità e visibilità a saperi marginalizzati. La sua pratica intreccia l’estetica islamica con questioni globali: l’identità femminile, la migrazione dei saperi, la tensione tra conservazione e innovazione. In questo senso, la sua partecipazione alla Biennale non è solo una rappresentanza nazionale, ma un atto di diplomazia culturale, un modo per riscrivere l’immagine del Medio Oriente nel linguaggio dell’arte contemporanea.
forma di resistenza poetica.”
Una nuova generazione saudita
Con la nomina di Awartani, il Regno conferma la propria strategia culturale di lungo periodo, che punta a rafforzare la presenza saudita nel sistema dell’arte globale, ma anche a consolidare il ruolo delle artiste donne come ambasciatrici di una nuova sensibilità. Dopo le esperienze di Muhannad Shono (2022) e Manal AlDowayan (2024), la partecipazione saudita si profila come una narrazione corale, dove la memoria diventa forma di futuro.
Il padiglione sarà inaugurato il 9 maggio 2026 e rimarrà visitabile fino al 22 novembre, nel cuore dell’Arsenale veneziano. In un tempo dominato da rumori e conflitti, la voce di Dana Awartani promette di ricordarci che anche i toni minori possono cambiare il corso della storia.
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