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La più grande operazione finanziaria di tutta la storia dell’arte

Umberto Allemandi

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Per fortuna, i primi beneficiati sono i bambini. Ha fatto bene chi li ha portati a Venezia per la Biennale e quindi a visitare anche la mostra di Hirst a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana perché sembra una mostra fatta per loro. È la trasposizione in terza dimensione, tattile (in teoria), dei racconti illustrati che i bambini leggono, dei film che i bambini guardano, di animazione e di fantascienza. «Ventimila leghe sotto i mari» e l’«Isola del Tesoro» qui diventano reali, corposi, aggirabili, tangibili.

Ma Damien Hirst non aveva pensato ai bambini quando aveva capito e deciso di dover fare qualcosa di straordinario che nessun artista aveva mai fatto prima, come nessun artista aveva mai fatto. Che cosa di tanto straordinario? 

Le dimensioni e il numero delle opere Ricordiamo di che cosa si tratta: Hirst ha inventato l’antefatto di avere scoperto sul fondo del mare il relitto di una nave romana, l’«Unbelievable» (Incredibile), stracarica di tesori, sculture, monete, gioielli incrostati di conchiglie e muschi marini. Tutto in realtà inventato e progettato da lui. Centinaia di opere realizzate in varianti e dimensioni tali che per dieci o vent’anni musei, grandi collezionisti e ricconi di tutto il mondo in teoria non potrebbero (nelle sue intenzioni non dovrebbero) comprare nient’altro.

Il valore dei materiali Quando non è oro, sono marmi squisiti di cave italiane, pietre rare e costose come porfidi e malachiti, pietre preziose come smeraldi, rubini e diamanti, fusioni in bronzo, smalti. È difficile calcolare il costo anche soltanto dei materiali impiegati.

La qualità esecutiva Hirst ha resuscitato in chissà quante e quali parti del mondo un esercito di artigiani che pensavamo scomparsi: orafi, scalpellini, scultori, disegnatori, intagliatori, scenografi, fonditori. Ma ha anche organizzato una squadra di collaboratori capaci di coordinare e realizzare tutto questo degna di una grande industria. Probabilmente progettare ex novo una produzione tipo Cartier o Gucci o Bulgari in un tempo così breve sarebbe meno complicato.

La varietà progettuale e inventiva Anche se alcuni o molti pezzi sono di un gusto molto discutibile (ma bisogna pensare a chi ha i soldi per poterli comprare), tutti denotano un impegno di progettazione straordinario applicato a mille soggetti, da monete tutte diverse a disegni di fattura rinascimentale, da gioielli settecenteschi a sculture monumentali da collocare nelle Piazze Rosse e Tienanmen di tutto il mondo. Non sappiamo ancora se avrà fatto un buon affare, ma intanto Hirst dev’essersi divertito come un matto a immaginare tutte le varianti che ha immaginato.

Il costo Si dice che abbia finanziato tutto lui, ma è improbabile che i suoi partner commerciali, Jay Joplin, Larry Gagosian o lo stesso supermercante più bravo di tutti, cioè Pinault, abbiano accettato di non venire cointeressati nel gigantesco investimento e che non vi siano altri soci finanziari di peso. Comunque il budget stimabile dell’operazione non è distante dalla manovra finanziaria di uno Stato non piccolo. Calcolando marginalità non inferiori a dieci volte il costo e la programmata crescita progressiva dei valori (il classico meccanismo del perverso gioco d’azzardo dell’arte), il guadagno netto finale è degno di un grande giacimento petrolifero.

La capacità di immaginazione Per quanto assimilabile ad alcuni clamorosi precursori (Dalí prima di tutti ma comprendendo l’intera sua vita d’artista, di pittore, scultore, orafo, disegnatore, scrittore, grafico, incisore, performer, pubblicitario, cineasta eccetera, anziché una sola unitaria operazione a tempo determinato come ha fatto Hirst) oppure anche odierni, sebbene in misura inferiore, come per esempio Jan Fabre, ma perfino ad artisti apparentemente incomparabili come Miró che accumulava la sua produzione annuale e ogni anno alternava la priorità di acquisto in blocco ad Acquavella o a Maeght, spaziando dalla pittura alla scultura e alla grafica, Damien Hirst, avendo intuito la fine del concettualismo nell’arte contemporanea, ha concentrato in un tempo limitato una colossale operazione creativa e produttiva che scavalca e rinnega le sue opere passate (il cui magazzino aveva non per nulla liquidato nella sua famosa asta monomarca) e recuperato l’intera tradizione plurimillenaria della storia dell’arte, con un impegno di capitali quale non si era mai visto.

DHI, cioè Damien Hirst Industries, potrebbe essere il marchio di questa grande fabbrica a tempo determinato creata nell’economia dell’arte che un’altrettanto abile programmazione ha presentato nel luogo e nel momento più adatto, Venezia durante la Biennale, cioè il luogo e il momento nel mondo di massima concentrazione del bestiario artistico universale vivente. Se questa megacostellazione di nuove opere ha una genialità, essa consiste dunque nella sua concezione e nel suo tempismo. Il relitto di Hirst consacra tre realtà. Il superamento delle definizioni convenzionali della genesi artistica contemporanea, la legittimazione e l’affermazione della dimensione industriale e la prevalenza dominante e pressoché esclusiva della funzione dell’arte come generatrice primaria di ricchezza. Che ci piaccia o no. Così è nata la più grande operazione finanziaria di tutti i tempi nel settore dell’arte.

Umberto Allemandi, 13 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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