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Andrea Bruno, «schiena dritta»

Umberto Allemandi ricorda il geniale e intransigente architetto che restaurò il Castello di Rivoli

Umberto Allemandi

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Molte cose si possono dire di una persona che ha vissuto novant’anni, ma di pochi si può dire quello che subito viene in mente pensando a ciò che più aveva distinto Andrea Bruno. Che era stato uno dei migliori architetti mondiali della sua generazione, il migliore italiano. E che aveva avuto nel mondo più riconoscimenti e apprezzamenti di quanti gli avessero concesso i compatrioti.

Tutto vero. Ma del solitario Andrea Bruno il requisito più raro era di essersi distinto come una delle pochissime figure pubbliche italiane per la sua «schiena dritta». Carattere non facile. Intransigente. Nessun cedimento politico, nessuna concessione compiacente. Vere invenzioni geniali ogni volta senza alcun debito verso nessuno. Requisito «montanaro» di rarità estrema, che peraltro spiega l’isolamento nel quale la gelosia dei colleghi, specialmente universitari, l’aveva relegato. Un castigo in patria che in vita lo ha fatto molto soffrire benché riscattato dalla cattedra nella prestigiosa Lovanio.

Sono diventato presto amico di Andrea perché il giornale che dirigevo fu il primo a raccontare la sua straordinaria esperienza in Afghanistan come inviato speciale dell’Unesco per la salvaguardia dei monumenti locali, tra i quali il minareto di Jam da lui restaurato e i Buddha di Bamiyan fatti saltare in aria dai talebani.

Non mi soffermo a elencare la serie eloquente dei suoi incarichi e delle sue opere. Un apposito articolo se ne occupa. Citerò però la giuria internazionale per la scelta del restauratore della Reggia di Venaria istituita da Alberto Vanelli. L’allora curatore del patrimonio artistico della casa reale inglese esaminava i background dei massimi concorrenti museali del mondo in una stanzetta separata con l’ausilio di una traduttrice quando piombò nella stanza principale sbattendo un dossier sul tavolone: «Ma che cosa cerchiamo ancora? La persona giusta, indiscutibilmente il migliore di tutti, l’avete già qui a Torino: è l’architetto che ha restaurato il Castello di Rivoli. Il più bel restauro museale che sia mai stato fatto nel mondo». Clamorosamente quel verdetto unanime fu a posteriori smentito: l’incarico andò infatti a un pool di progettisti, tra cui Gae Aulenti perché sostenuta dall’impresa più potente rispetto alle altre. Un inverosimile escamotage all’italiana che annullava la stessa ragion d’essere di una giuria così straordinaria. Incarico negato, ma il primato di Andrea Bruno era stato sancito.

Come quando gli venne negato l’incarico di restaurare il Royal Ontario Museum di Toronto perché il Presidente voleva un nome di maggior prestigio mondano. Il fascino irresistibile dell’Archistar. Prevalse dunque uno schizzo su un tovagliolo di Daniel Libeskind. Restauro rifatto appena eseguito perché pioveva dentro. Soldi gettati per vanità.

Dopo oltre quarant’anni, il restauro di Rivoli rimane un’opera di qualità e bellezza insuperate, testimonianza di una sapienza e di un’eleganza nell’architettura del secolo scorso che primeggia impeccabile ancora oggi.

Umberto Allemandi, 09 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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