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Una scena da «Time of Cinema» di Lee Jongpil e Yoon Ga-eun

Courtesy Busan International Film Festival

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Una scena da «Time of Cinema» di Lee Jongpil e Yoon Ga-eun

Courtesy Busan International Film Festival

K-notes dalla Corea: fotogrammi del 30mo festival internazionale del cinema di Busan. Il fine settimana

Anticipazioni e curiosità dal e intorno al Biff | Il Piccolo Principe è atterrato tra le casette di Gamcheon; perché non possiamo non andare al cinema; c’è uno scimpanzé tra creatore e pubblico; il regista che non ha mai smesso di alzare il pugno è «l’ultimo grande maestro italiano»

È domenica e il sole splende su Busan, illuminando ogni cosa. Un richiamo irresistibile che ci spinge a lasciare per qualche ora il buio della sala e a cercare uno scenario questa volta naturale. Il nostro grande schermo a cielo aperto. Ci incamminiamo, con salitina finale, verso il Gamcheon Culture Village, quello che gli anglosassoni chiamerebbero un «A can’t-miss landmark». E in effetti per la città è un gioiello culturale, dal valore storico e artistico unico. 

Questo luogo, che sorge sulle colline del grande porto marittimo coreano, è strettamente legato nelle sue origini alla Guerra di Corea. Il villaggio nacque infatti come rifugio per i profughi in fuga dal conflitto, soprattutto per le persone che provenivano dal Nord del Paese, e le case colorate che oggi definiscono il profilo originale di quest’area tanto affascinante, che noi guardiamo con un misto di tenerezza e meraviglia, un tempo erano baracche, erette dai rifugiati sulle ripide colline di Busan a file ordinate, le une sulle altre, creando la caratteristica struttura a terrazze del villaggio. 

Negli ultimi decenni, con il progresso economico, quelle che un tempo erano casupole di fortuna sono diventate appartamenti accoglienti abitati dalle nuove generazioni degli inquilini, che comprendono bene come questo sito sia assurto ad attrazione turistica, e ne sono lieti, ma chiedono comprensibilmente ai visitatori il rispetto della loro privacy.

La storia di Gamcheon ci racconta perciò inizialmente del dolore che le famiglie più povere di Busan hanno affrontato negli anni Cinquanta, in quello che un tempo si chiamava Villaggio Taegeukdo, un’area marginale ma vicina, tale da permettere ai residenti di andare al  lavoro.

E tra la popolazione che ha dimostrato tutta la sua resilienza allora e la vita a Gamcheon oggi, c’è un Piccolo Principe di mezzo. Ci riferiamo agli hot spot e alla statua che raffigura il protagonista del romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, accanto alla volpe del deserto, che si trovano lungo le strade del villaggio, invitando i passanti a un’irrinunciabile foto. Ed essendo in Corea, si sa che non potrà essere un semplice selfie, ma un piccolo servizio fotografico. La presenza del Piccolo Principe si deve alla rinascita del quartiere, avvenuta nel 2009 grazie a un ambizioso progetto finanziato dal Governo, che ha chiamato a raccolta giovani artisti per dare vita a una rigenerazione degli spazi, attraverso una serie di interventi che hanno mutato in parte l’aspetto della zona, conferendole un’unicità per la quale oggi è apprezzata come attrazione turistica mondiale. Con la sua ricerca di poesia e bellezza, la curiosità e la capacità di vedere il mondo con occhi innocenti, il Piccolo Principe è diventato simbolo di Gamcheon, una destinazione magica, piena di speranza, dove ogni angolo racconta una storia.

 

 

Da rifugio di profughi in fuga dalla guerra di Corea Gamcheon è diventato una meta turistica, rivitalizzata da giovani artisti

Ciò che rimane non sono le storie, ma i momenti che abbiamo condiviso

A proposito di promesse fatte e mantenute, le belle vibrazioni trasmesse dalla visita mattutina le ritroviamo finalmente in sala, con «Time of Cinema» di Lee Jongpil e Yoon Ga-eun. Una gemma nascosta che ci ricorda perché andare al cinema è sempre importante. Film di straordinaria purezza, mette al centro le domande: che cos’è il cinema e che cosa significa per noi la sala? Composto da due cortometraggi, esplora i diversi modi con cui i soggetti principali dell'esperienza cinematografica intessono le relazioni. Nel primo vediamo un proiezionista che istruisce un’allieva e, subito dopo, l’ingresso in sala di una ragazza in trepida e gioiosa attesa di una nuova magia, pronta a prodursi dinanzi ai suoi occhi. Il regista utilizza aneddoti sugli scimpanzé come mezzo per trascendere, in modo surreale, i confini tra l’interno e l’esterno del film, tra pubblico e creatore. Una frase del film, «Ciò che rimane non sono le storie, ma i momenti che abbiamo condiviso», ne coglie davvero l’essenza. La regista Yoon Ga-eun punta invece la cinepresa su un set dove i bambini sono i protagonisti. «Riuscite a recitare davanti alla telecamera come se non ci fosse?», viene chiesto. Le risposte e le discussioni sincere che spuntano su come la realtà differisca da ciò che viene riprodotto sullo schermo lasciano il pubblico con domande inaspettate su cui riflettere.

Mentre scriviamo, «Time of Cinema» pare abbia trovato un compratore. Speriamo di poterlo vedere anche in Italia.

Ieri è stato anche il pomeriggio di Marco Bellocchio, per la prima volta, a 85 anni, a un festival cinematografico in Asia. Il regista che non ha mai smesso di alzare il pugno, «l’ultimo grande maestro del cinema italiano», come lo definisce una nota del Festival, ha costruito negli ultimi sessant’anni un linguaggio distintivo attraverso opere che affrontano il tema del potere e dell'ingiustizia sociale. Dal suo film d’esordio, «I pugni in tasca», a «Portobello», ha diretto oltre 50 opere, ritraendo costantemente individui che sfidano la repressione. Gli otto capolavori selezionati nel programma speciale del festival, da «Buongiorno notte» a «Marx può attendere», descrivono personaggi che sfidano lo status quo a qualsiasi costo.

Lara Maria Ferrari, 22 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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