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Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliLe immagini lacunose del Pornopapiro di Torino danno la sensazione che le imprese erotiche raffigurate abbiano un’unica protagonista. In passato questo ha condotto a formulare l’ipotesi che il documento ritraesse una cortigiana di tale buona reputazione da meritarle di essere ricordata attraverso la trasposizione delle sue schermaglie amorose su papiro. A questa ipotesi si oppone però la già menzionata scena del convivio musicale. Appare infatti più verosimile pensare che la flautista e la suonatrice di cetra riproducano due personaggi distinti piuttosto che immaginarsi un’unica cortigiana impegnata in un vero e proprio tour de force erotico-musicale.
Se così fosse, la fanciulla si troverebbe impegnata a suonare il flauto, a intrattenere un amante e, dopo avere strimpellato la cetra, prendersi cura di un secondo. Tutto questo in un tempo che la serrata scansione spaziale figurativa indica come molto breve. È fattibile, ma l’etera avrebbe avuto allora doti a dir poco eccezionali. Non dal punto di vista erotico, ma da quello musicale, visto che nei tempi antichi padroneggiare l’uso di uno strumento implicava anni di studio e applicazione.
L’impressione che sul papiro sia riprodotta un’unica figura femminile è soltanto apparente. Deriva dal tipico modo di rappresentare la donna dell’arte egizia che per tremila anni non fece altro che riprodurla in un’unica immagine. Sia sufficiente, come esempio, il confronto tra l’effigie della regina che accompagna Micerino nella diade di Boston (XXV secolo a.C.; Museum of Fine Arts, 11.1738) e quella dell’ignota dama vissuta oltre duemila anni più tardi (III-I secolo a.C.; Bruxelles, Museé d’Art et d’histoire E 3073).
Non tenendo conto delle differenze determinate da stile e moda, le due figure potrebbero risultare identiche. I visi di entrambe mancano di ogni dato ritrattistico e si impostano su canoni di astratta bellezza; il modellato dei corpi è concepito in modo da porre particolare accento agli attributi femminili. La donna egizia è artisticamente significativa dal punto di vista delle sue capacità attrattive e riproduttive e la sua individualità risulta obliterata dalla preponderanza di questi aspetti.
Malgrado stia trattando un soggetto dove l’atto sessuale è privo dell’intenzione procreativa, l’artista del Pornopapiro di Torino non abbandona questo schema e si limita a riprodurre una serie di figure femminili senza ritenere davvero importante diversificarle. Gli scarti figurativi sono secondari e riguardano l’abbigliamento e non le caratteristiche fisiche.
Così, le tre figure femminili che sostengono il corpo esamine dell’uomo spompato, sono differenziate tra loro sì dalle diverse dimensioni, ma soprattutto dalla presenza e dall’assenza della parrucca. Quest’ultimo particolare rende anche la ragazza in procinto di truccarsi diversa da tutte le altre figure femminili del papiro servendo inoltre a indicare che è stata colta in un momento di intimità.
Se si escludono queste differenze secondarie, le donne del papiro torinese non rappresentano nient’altro che lo sviluppo di un unico tema iconografico finalizzato a porre in risalto l’attrattività del corpo muliebre. I volti sono impostati su tratti neotenici (nasi piccoli e occhi grandi), che caratterizzano gli individui deboli (cuccioli e femmine) nelle razze dei predatori e rappresentano un irresistibile segnale universale che induce alla tenerezza e, di conseguenza, alla protezione in quelli forti (maschi adulti). I corpi sono invece carichi di una forte attrattiva sessuale grazie a morbide curve che si riempiono ai fianchi e a braccia e gambe elegantemente affusolate.
Diametralmente opposto è il modo figurativo adottato per le figure maschili per le quali l’artista indulge in una caratterizzazione fisiognomica marcata che sfocia in vera e propria caricatura. Nell’uomo che si intrattiene con la suonatrice di cetra questa vena investe tutta la figura e la pinguedine suggerita dal doppio mento risulta ribadita nelle forme piene del corpo.
Alcuni personaggi sono identificati attraverso i nomi riportati nelle iscrizioni ieratiche a commento di alcune scene. La disposizione disordinata dei segni lascerebbe presupporre che siano state apposte in un momento successivo rispetto alla figurazione. Non è però dato stabilire se siano da attribuire all’autore delle immagini o a un ipotetico fruitore secondario del documento. Secondo Omlin l’analisi calligrafica indurrebbe comunque a riconoscere nelle didascalie almeno due mani.
Nell’antico Egitto la caricatura fu utilizzata soprattutto per dare conto dell’alterità o diversità, come nel caso delle figurazioni degli stranieri, o per attribuire verisimiglianza e autenticità a scene riproducenti la vita quotidiana. Un esempio classico è rappresentato dalle immagini dei contadini e dei pastori, i cui corpi emaciati e piegati dalla fatica rendevano conto della durezza del lavoro dei campi. Una tale figurazione si inserisce nel contesto di una certa divertita critica che affondava le sue radici nella cultura scribale. In testi grosso modo contemporanei alla realizzazione del Pornopapiro e redatti allo scopo di motivare i giovani studenti ad applicarsi, l’esaltazione dei vantaggi della carriera amministrativa avveniva attraverso la derisione di altri mestieri. Tra questi il lavoro dei campi, descritto come assai duro e poco remunerativo.
Caricaturale e derivante da questo ambiente scolastico è sicuramente l’immagine del contadino addoppiato sull’aratro, la pelle riarsa dal sole e la testa quasi priva di capelli, inserito nella decorazione della Tomba di Nakht a Tebe (XIV secolo a.C.; Tomba Tebana 52). Il proprietario era uno scriba e il suo disprezzo nei confronti del mondo agricolo risulta chiaro dal contesto figurativo in cui si trova inserita l’immagine. La scena è simile a quelle di decine di altre che ricorrono nelle cappelle funerarie dell’epoca.
Nakht ha però scelto di riprodurre l’aspetto più duro della professione del contadino. Davanti agli occhi dello scriba un gruppo di lavoranti si affaccenda a rendere coltivabile il terreno appena emerso dall’inondazione e subito indurito dal cocente sole egiziano. Un uomo taglia con l’ascia uno degli arbusti rapidamente cresciuti, altri dissodano i campi con la zappa. Nakht li osserva comodamente seduto all’ombra di un baldacchino davanti al quale sono impilate bevande e cibarie. L’abbondanza delle sue provvigioni si contrappone alla desolazione del cesto, piatto con le cipolle e giara all’altra estremità della scena, destinate invece ai numerosi contadini che sgobbano sotto gli impietosi raggi del sole.
Veri e propri passatempi sono invece da considerare le caricature schizzate su frammenti di coccio e schegge di calcare (ostraca) ritrovati nel corso delle ricerche archeologiche in località, come il villaggio di Deir el-Medina o la Valle dei Re, dove scribi, scalpellini e operai vivevano fianco a fianco, accomunati dal lavoro di realizzazione dei sepolcri reali. È assai verisimile supporre che queste caricature intendessero prendere in giro i colleghi. Un tale intento è sicuramente da riconoscere nella figura di scalpellino sull’ostracon ora al Fitzwiliam Museum di Cambridge (EGA 4324-1943): la testa pelata, le orecchie sproporzionate e la barba incolta lasciano supporre che l’ignoto autore abbia ritratto uno scultore o uno scalpellino, esagerandone i tratti fisiognomici.
Nel Pornopapiro di Torino la vena caricaturale è riscontrabile in tutti i volti maschili. Il suo utilizzo assume qui un duplice scopo. Da un lato è utilizzata all’evidente scopo di ritrarre di individui probabilmente davvero esistiti, come il partner della suonatrice di cetra oppure l’uomo dietro al cocchio; da un altro serve invece a caratterizzare una certa tipologia di uomo cui si attribuisce una forte carica erotica. In entrambi i casi la palese bruttezza della figura maschile si trova in palese contrappunto con la bellezza femminile, la prima caratterizzata e puntuale e condannata perciò ad avere durata effimera, la seconda idealizzata e universale e destinata invece a mantenersi inalterata in eterno.
CINQUANTA SFUMATURE DI LAPISLAZZULI
Amore e desiderio nell'antico Egitto
1. Parole antiche per aneliti senza tempo
2. Egyptian gods do it better!
3. L'amore cosmico
4.1 L'antica bellezza
4.2 L'antica bellezza
5. il tempo delle tilapie in fiore
6.1 Un documento scottante: il Pornopapiro di Torino
6.2 Un intrattenimento musicale particolare
6.3. Il Pornopapiro e la storia di due fratelli
6.4. Piaceri voyeuristici e fumigazioni terapeutiche
6.5. Eterno femmineo e virilità effimera
6.6. L'omo e la panterona
6.7. Donne e «motori», binomio senza tempo

A sinistra, diade in grovacca di Micerino e regina da Giza (XXV secolo a.C.; Boston, Museum of Fine Arts, 11.1738). Fotografia di Francesco Tiradritti; a destra, statua in pietra calcarea di ignota (III-I secolo a.C.; Bruxelles, Museé d’Art et d’histoire E 3073). Immagine tratta da La gloire d’Alexandrie, Parigi: Paris-Musées 1998, p. 176

I volti dei personaggi femminili del Pornopapiro di Torino (CG 55001). Particolari tratti da J. Omlin, Der Papyrus 55001 und seine satirisch-erotischen Zeichnungen und Inschriften, Torino 1973, tav. I

Figura di pastore emaciato che porta al pascolo un bovino dalla Tomba di Senbi figlio di Ukhhotep a Meir (XIX secolo a.C.) Foto di Francesco Tiradritti

Scena dei lavori agricoli nella Tomba di Nakht a Luxor; XV secolo a.C. Acquarello di N. de Garis Davies da N. de Garis Davies, The Tomb of Nakht at Thebes, New York: Metropolitan Museum of Art, tav. 21

Ostracon in pietra calcarea con caricatura di scalpellino; XIII-XII secolo a.C. Cambridge, Fitzwilliam Museum, EGA 4324-1943. Foto di Francesco Tiradritti
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