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Yayoi Kusama

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Yayoi Kusama

Yayoi Kusama: quando l’infinito diventa percezione mentale

La Fondation Beyeler di Basilea dedica a Yayoi Kusama una retrospettiva completa, visitabile fino al 25 gennaio 2026, con oltre 300 opere che raccontano settant’anni di carriera. Dalle prime tele giovanili alle Infinity Mirror Rooms, la mostra esplora il rapporto tra trauma, ossessione e infinito nella pratica dell’artista giapponese

Nicoletta Biglietti

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La pittura? Una distrazione inutile. Meglio le lezioni di etichetta. A casa Kusama le regole sono chiare, e non si discutono. Ma Yayoi, dieci anni appena, ogni mattina trova un pretesto per uscire. Attraversa i campi, raggiunge la scuola d’arte di nascosto, porta con sé fogli, matite e un’ostinazione che non l’ha mai abbandonata. Disegna in fretta, come se il tempo potesse strapparle via il foglio dalle mani — come faceva sua madre. Da quell’urgenza nasce la sua forma, la ripetizione come difesa, la precisione come rifugio. Alla Fondation Beyeler, alle porte di Basilea, quella stessa urgenza diventa il filo conduttore di una retrospettiva monumentale. Oltre trecento opere, provenienti da musei e collezioni internazionali, raccontano settant’anni di lavoro. Dai disegni giovanili del Giappone rurale alle sale specchianti più recenti, la mostra ricompone la traiettoria di un’artista che ha trasformato la malattia in linguaggio, il trauma in forma.

Nel 1929 a Matsumoto, Kusama cresce in una famiglia di coltivatori benestanti. L’arte non è considerata un mestiere accettabile per una donna. Frequenta scuole d’arte locali e studia la pittura «nihonga», di rigore formale e disciplina estrema, mentre a casa deve sottostare alle lezioni di etichetta che detesta. Sentendo i limiti del Giappone del dopoguerra e il peso di una cultura patriarcale, scrive a Georgia O’Keeffe, la grande pittrice americana famosa per i suoi fiori sensuali e le ampie vedute del deserto, chiedendole consigli su come lavorare e farsi conoscere negli Stati Uniti. O’Keeffe risponde, incoraggiandola a tentare. Kusama vende i suoi disegni, raccoglie i soldi e nel 1958 si trasferisce a New York, determinata a imporsi in una scena artistica dominata da soli uomini. New York la accoglie con difficoltà. È donna, povera, asiatica e sola. Vive in appartamenti angusti, dipinge di notte, spedisce tele ovunque sperando che qualcuno le dia attenzione. Qui nascono le «Infinity Nets», grandi tele bianche coperte da fitte reti di pennellate regolari. La mano sparisce nel ritmo, il segno diventa metodo e ossessione. I critici iniziano a notarla. In Beyeler, una sala dedicata alle «Infinity Nets» immerge il visitatore in un respiro sospeso, dove il bianco e le trame ripetute saturano lo sguardo e dilatano il tempo.

Negli anni Sessanta, Kusama amplia la sua ricerca con le sculture. Oggetti quotidiani — sedie, scarpe, barche, padelle — si ricoprono di figure falliche (realizzate in stoffa e cucite a mano). Le« Accumulation Sculptures» derivano da un trauma infantile: la madre la costrinse a spiare il padre con un’amante. Ogni oggetto dell'opera diventa così un tentativo di controllo, un gesto rituale per trasformare la paura in forma. In quegli anni partecipa attivamente alla controcultura newyorkese. Organizza Happenings, performance collettive e provocatorie. Nel «Naked Happening» del 1967 dipinge corpi di partecipanti con pois colorati, trasformando il corpo umano in estensione del suo universo visivo. Collabora con artisti come Andy Warhol, Claes Oldenburg e Donald Judd, inserendosi nel dibattito tra Pop Art, Minimalismo e Arte Concettuale.

Kusama nella sua installazione «Narcissus Garden» alla 33a Biennale di Venezia, 1966. ©YAYOI KUSAMA

Nel 1966 Kusama arriva alla Biennale di Venezia senza invito. E con seicento dollari – prestati da Lucio Fontana – installa «Narcissus Garden»: 1.500 sfere specchianti disposte sul prato davanti al Padiglione Italia, vendute per due dollari ciascuna fino a quando gli organizzatori la fermano. Oggi le stesse sfere galleggiano nello stagno della Fondation Beyeler. Riflettono lo spettatore, lo moltiplicano, lo inghiottono. È l’infinito trasformato in esperienza concreta. La retrospettiva prosegue con le «Infinity Mirror Rooms», stanze completamente rivestite di specchi, luci e oggetti sospesi. L’ultima, «Illusion Inside the Heart» (2025), realizzata per l’occasione, alterna buio e bagliori, tentacoli gialli e riflessi infiniti. L’effetto non è spettacolare nel senso tradizionale, ma sospeso, quasi clinico: l’infinito diventa percezione mentale più che pura estasi visiva. Le tele più recenti — le serie My Eternal Soul (2009–2021) e Every Day I Pray for Love (2021–in corso) — testimoniano il lavoro quotidiano dell’artista. Colori accesi, occhi, volti, pattern psichedelici: sono quadri prodotti nello studio di Shinjuku, accanto alla clinica psichiatrica dove Kusama vive volontariamente dal 1977. 

Ogni giorno dipinge come in un rito, trasformando il ritmo dei pois in strumento di equilibrio e contemplazione. Un modo di ordinare il caos interiore e misurare il tempo. La mostra alterna momenti di grande introspezione a installazioni spettacolari. Nelle sale più raccolte, la potenza delle opere emerge nella sua forma pura; nelle installazioni immersive, lo spazio e la luce amplificano l’esperienza sensoriale, mostrando Kusama in tutte le sue dimensioni: artista radicale, icona pop, performer, scultrice e scrittrice Per decenni il Giappone l’ha definita «vergogna della nazione». Oggi è l’artista vivente più conosciuta e più esposta al mondo. Ma la retrospettiva svizzera restituisce l’immagine meno patinata: quella di una donna che ha trasformato la propria vulnerabilità in metodo, e l’infinito in una condizione psichica prima che estetica. Alla Fondation Beyeler la ragazza che un tempo saltava le lezioni di etichetta per studiare arte di nascosto sembra ancora lì. A dipingere in silenzio, cercando nel ritmo dei punti non la guarigione ma un fragile equilibrio con il mondo.

Yayoi Kusama, «The Hope of the Polka Dots Buried in Infinity Will Eternally Cover the Universe», 2019/2024. Gonfiabili in vinile, compensato e ventilatori; dimensioni variabili, vista dell'installazione alla National Gallery of Victoria di Melbourne. © YAYOI KUSAMA

Nicoletta Biglietti, 17 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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