Piranesi va guardato da vicino

Fu architetto, designer e antiquario ma non dimentichiamo che tutto nasce dalle sue incisioni

Giovanni Battista Piranesi ritratto da Joseph Nollekens. Roma, Accademia Nazionale di San Luca
Franco Fanelli |  | ROMA

Almeno tre aspetti uniscono Raffaello Sanzio e Giambattista Piranesi: l’amore per Roma, la versatilità e un’intramontabile popolarità. Il 2020, quinto centenario della morte di Raffaello, è il terzo della nascita di un uomo che sognava di essere architetto ma nel quale, in realtà, vivevano così tante anime che difficilmente si sarebbero espresse nell’esercizio di un’unica professione. Fu, occasionalmente, architetto. Ma fu anche designer, studioso di antichità, antiquario egli stesso, polemista, mercante, restauratore (con molte licenze poetiche come normale all’epoca), trattatista e naturalmente incisore.

Ma fu soprattutto un costruttore: edificò una certa idea dell’Antico, progettò un passato visionario, «scoprì» e diede vita, sulla carta, a edifici mai esistiti, ad essi conferendo quella fortissima credibilità che ai tempi suoi, in assenza di indagini stratigrafiche, vedute satellitari, fotografie e altri media, soltanto l’incisione poteva garantire. Ciò che era inciso equivaleva a ciò che oggi è fotografato e filmato: beninteso, anche Piranesi ricorreva a quello che oggi sarebbero il photoshop o la realtà aumentata attraverso esasperazioni prospettiche, artifici nelle proporzioni, pastiche eclettisti, ombre proiettate soltanto dalla sua mente.

Andate a cercare, se volete un esempio della sua potenza visionaria, la «Grand’urna di porfido», comunemente nota come il Sarcofago di sant’Elena ai Musei Vaticani. Sta lì in bella vista, ma attenzione: chiedete alle guide, perché se partiste dall’acquaforte di Piranesi, dove quell’immane frantume somiglia a un oggetto spaziale precipitato sulla terra, fareste fatica a trovarla. Il Romanticismo riconobbe nel «Rembrandt delle rovine» uno dei suoi padri. Ma furono soprattutto le «Carceri» ad accendere la fantasia dei molti scrittori affascinati dal suo genio (da Hugo a Nodier, da de Quincey alla Yourcenar, sino al poeta Hans Magnus Enzensberger) e quella serie di tavole, il cui primo stato si deve a un Piranesi non ancora trentenne (che la rielabora nel 1761, a sancire l’ormai totale distacco dalle luci dell’acquaforte tiepolesca) non mancherà, nel ’900, di proiettare le sue ombre su artisti fra loro diversi, da Escher al fotografo Tobias Zielony che esplora con quello spirito le Vele di Scampia. Oggi si tende a esaltare la «trasversalità» piranesiana, capace di raggiungere nei secoli i dandy del Grand Tour ma anche, oggi, una generazione cui sono familiari la multimedialità e la realtà virtuale.

Sebbene siano irresistibili, ora, le lusinghe «immersive» che gli spazi e la personalità piranesiani offrono ai curatori di mostre e al loro pubblico, occorre sottolinearne con forza il ruolo di acquafortista capace di portare alle massime potenzialità, e con un uso quantomai vario e flessibile di strumenti e materiali, l’arte della calcografia prima dell’introduzione delle tecniche tonali dell’acquatinta.

L’Istituto centrale per la grafica (Icg) che conserva un migliaio di matrici del maestro e della bottega, si è spesso soffermato sulla complessità del segno piranesiano: e il visitatore interessato all’argomento può ricorrere sia ai saggi nel catalogo della splendida mostra per il secondo centenario della morte dell’artista (allestita però nel 1979 con il titolo «Piranesi nei luoghi di Piranesi») sia ai quattro volumi sinora pubblicati che documentano i più recenti studi e restauri dei rami sotto la guida di Ginevra Mariani negli anni in cui l’Icg era guidato da Antonella Fusco.

Senza dimenticare un altro profondo conoscitore della grafica antica, Luigi Ficacci, cui si deve la catalogazione completa delle acqueforti, pubblicata da Taschen nel 2000. Perché non bisogna scordare che da punte, bulini, cera, rame e mordente nasce tutto il cosmo di Piranesi, attualissimo e popolare, paradossalmente, anche in Italia, dove l’ignoranza sui procedimenti dell’incisione imperversa anche tra specialisti veri o presunti studiosi. Il fatto è che le incisioni vanno guardate da vicino e con attenzione.

Nessuno come Piranesi sa offrire un alfabeto segnico tanto vasto; e chi ha la pazienza di osservare, «tra le righe» avrà modo di rileggere una vita spesso... sopra le righe e all’insegna di un’autostima smisurata: ecco allora la damnatio memoriae inflitta a committenti infedeli. Oppure il suo segno zodiacale con cui in un’occasione si «firma». Giovanni Battista Piranesi, figlio di Angelo, «tagliapietre» (non induca in interpretazioni eccessivamente sminuenti il termine in voga all’epoca) nasce a Venezia il 4 ottobre 1720 e l’8 novembre riceve il battesimo nella parrocchia di San Moisè. Tra le stelle, ma anche nel fregio dell’edificio a sinistra del frontespizio del III Tomo delle «Antichità romane», la Bilancia è inseguita dallo Scorpione.

Articoli correlati:
Piranesi è ovunque di Guglielmo Gigliotti
Gli ultimi fuochi dell’acquafortista Piranesi di Franco Fanelli
Alla Braidense la fortuna milanese di Piranesi di Ada Masoero
Il principio Piranesi di Francesca Petretto

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Franco Fanelli