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Carol Rama, «Senza titolo (Ritratto)», 1986, collezione privata (particolare)

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Carol Rama, «Senza titolo (Ritratto)», 1986, collezione privata (particolare)

Carol Rama: «La mucca pazza sono io»

100 opere in una retrospettiva al Museo di arti decorative Accorsi-Ometto: dagli acquerelli autobiografici degli anni ’30 alle ultime carte, 70 anni di trasgressioni e di «gesti erotici» di un’artista insofferente a ogni etichetta estetica e stilistica

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Franco Fanelli

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«Ho fatto la fame per una vita e mi scoprono adesso che ho 80 anni», dice Carol Rama, sconsolata e irritata (l’aggettivo da lei usato è più diretto) in un programma televisivo prodotto dalla Rai quando, appunto, l’artista torinese, nel 1998, approdava con una retrospettiva allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Cinque anni dopo la Biennale di Venezia le avrebbe conferito il Leone d’Oro alla carriera. Come altre colleghe della sua generazione, se non più giovani, anche lei dovette attendere il momento in cui il lancio in grande stile dell’arte delle donne del XX secolo ricevette ulteriore impulso dalla riscoperta delle personalità che il circuito espositivo di primo piano, la critica e il mercato avevano distrattamente trascurato, salvo poi scoprirvi un’autentica miniera di talenti meritevoli di valorizzazione. 

Che avesse fatto la fame era vero: lo ricorda in un’intervista la gallerista Liliana Dematteis, dopo averne riconnesso la figura e l’attività a quelle di un altro straordinario (e trascurato) protagonista della cultura torinese del secondo ’900, Albino Galvano, prezioso tramite, per Carol Rama, con l’intellighenzia cittadina e i possibili sostenitori del suo lavoro. Dematteis, insieme al marito Giuliano Martano, aveva incontrato l’artista negli anni Sessanta, quando la galleria intitolata a quest’ultimo si andava affermando con un’attività volta alle ricerche aniconiche. Carol Rama vi espone quindi le opere afferenti al periodo in cui aderì al Mac, il Movimento Arte Concreta di cui Galvano era stato teorico e promotore. Galvano, per intenderci, economicamente non stava meglio di lei, e per questo Dematteis, Martano, il gallerista Bertasso e l’antiquario Quaglino costituirono un gruppo di sostegno a favore dei due. 

Che cosa ci facesse lei tra i rigori concretisti lo mostra una sezione dell’attuale retrospettiva, «Carol Rama. Geniale sregolatezza», aperta fino al 14 settembre nel Museo di arti decorative Accorsi-Ometto in via Po a Torino, a cura di Francesco Poli e Luca Motto: rimaneva sé stessa, deviando, come sua abitudine, da diktat estetici troppo rigorosi e producendo un’astrazione assai più vicina a Klee che non, per dire, a Max Bill. Un «concretismo lirico», il suo, che non rinunciava al materismo informale e che, alla fine degli anni Cinquanta, la porta ai «Bricolage», il suo «decennio qualitativamente migliore», continua Dematteis nell’intervista pubblicata nel catalogo edito da Sagep che accompagna questa mostra. Un volume che, con le testimonianze in esso raccolte, ha il pregio di contestualizzare la figura di Carol Rama nella Torino di Felice Casorati, Massimo Mila, Corrado Levi e naturalmente Edoardo Sanguineti, il poeta che con particolare intensità sondò il lavoro di un’artista renitente a ogni etichetta, compresa quella della torinesità che pure ha mietuto vittime illustri: Andy Warhol, Orson Welles, Man Ray, Pasolini erano per lei frequentazioni che contribuirono a liberarla dalla cappa sabauda senza rinunciare alla sua imprendibilità stilistica.  

Carol Rama, «Senza titolo», 1952, collezione Giulia Casorati

Carol Rama, «Senza titolo», 1966, collezione privata

La mostra inizia con gli acquerelli degli anni Trenta e Quaranta, che molto hanno contribuito alla narrazione (autentica) della vita di una figlia della Torino benestante e industriale il cui padre muore suicida dopo il fallimento economico e la madre viene ricoverata in un ospedale psichiatrico. Letti, protesi odontoiatriche, lingue, creature mutanti, vagine penetrate da rettili abitano quelle carte, cui seguirà un breve periodo espressionista. Dopo il Concretismo, s’è detto, è una fioritura di polimaterismo. Negli anni Sessanta nascono infatti i «Bricolage», le tele brulicanti di occhi e unghioni tassidermici, cannule vaginali, minuscole conchiglie Cipree che, dipinte di rosso, diventano allusive labbra per una composizione del 1964. Olio, smalto, fili di ferro, e ancora occhi di bambola compongono una sorta di schema ermetico di feticci e parole o si raggrumano in arcipelaghi fantastici. Per le «Gomme», negli anni Settanta, in una fase in cui nel suo ritorno all’astrazione non rinuncia all’organicità tattile, epidermica delle camere d’aria che scadiscono quelle grandi tele (talvolta capote automobilistiche), si parlerà di influenze da Burri. Ma, mentre è già intenta, negli anni Novanta, a un ritorno alle origini (al segno tagliente che ricorda Schiele che delinea nuovi corpi, orifizi e appendici), in quelle gomme trova possibili analogie con la mucosa delle mammelle della «Mucca Pazza». Così venne ribattezzata l’encefalopatia spongiforme bovina, prima epidemia della nostra contemporaneità capace di mettere seriamente in discussione la certezza della quotidianità, anche quella della «fettina al burro» cara alle famiglie del nord Italia. 

Scomparsa nel 2015 a 97 anni nella sua casa-studio in via Napione, a due passi da via Po (la documentano le fotografie di Bepi Ghiotti) senza avere potuto vedere compiuto il catalogo generale delle sue opere, curato da Cristina Mundici, edito da Skira e finanziato dalla Fondazione Sardi per l’arte, Carol Rama ha lavorato intensamente sino a che ha potuto, anche per sostenere le crescenti richieste di sue opere. I nuovi disegni sono su carte riciclate, contenenti schemi industriali e progetti architettonici; forse le piacque sino alla fine contraddire la (presunta) razionalità sabauda con inopinate irruzioni di corpi amputati, peni in erezione e un bestiario fantastico, come anni prima le era piaciuto trasgredire alla rettilineità concretista. Del resto, disse questa Louise Bourgeois più irriverente, «La mucca pazza sono io (…) ha dei gesti erotici da pazza e ha delle rassomiglianze straordinarie, almeno con me».

Carol Rama, «La mucca pazza», 1997, collezione privata

Franco Fanelli, 01 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Carol Rama: «La mucca pazza sono io» | Franco Fanelli

Carol Rama: «La mucca pazza sono io» | Franco Fanelli