Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

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Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Finalmente i marmi Torlonia

Ai Musei Capitolini la stupefacente collezione. La galleria fotografica dell'esposizione

«Non è ormai persona colta, la quale non conosca, o di vista o di fama, il museo Torlonia presso la porta Settimiana. Una raccolta che non può che destar meraviglia nella sorprendente sua ampiezza». Così scrive Carlo Ludovico Visconti, nel 1885, nella prefazione al catalogo del museo, fondato nel 1875 in via della Lungara dal principe Alessandro Torlonia, e rimasto aperto fino agli anni ’40 del Novecento.

In esso erano confluiti oltre 600 pezzi fra sculture, busti, sarcofagi, rilievi, frutto di una lunga serie di acquisizioni, scavi archeologici e spostamenti di opere collocate nelle varie residenze Torlonia. Una «collezione di collezioni», com’è stata giustamente definita, che finalmente, dopo annose vicende, è visibile al pubblico in una selezione di 96 opere eccellenti, selezionate dai curatori Salvatore Settis e Carlo Gasparri. Dal 14 ottobre al 29 giugno 2021 la mostra «I marmi Torlonia. Collezionare capolavori» sarà ospitata presso i Musei Capitolini, nei rinnovati ambienti, per la prima volta aperti al pubblico, di Villa Caffarelli, nell’allestimento concepito da David Chipperfield Architects Milano, grazie al progetto della Sovrintendenza di Roma Capitale.

Le opere esposte sono state restaurate dalla Fondazione Torlonia con il contributo della maison Bvlgari. La mostra è frutto di un’intesa fra la Fondazione Torlonia e il Mibact, e nello specifico, per il Ministero, della Direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio con la Soprintendenza Speciale di Roma. Al termine della mostra romana è previsto un tour espositivo in musei internazionali delle opere per le quali è in corso l’individuazione di una sede permanente. Abbiamo chiesto a Carlo Gasparri di illustrarci la mostra, partendo delle origini del Museo Torlonia e dal suo primo contatto con le sculture in esso custodite.

«Il Museo Torlonia nasce nel Palazzo di via della Lungara come museo privato. Il materiale raccolto è così vario, vasto e di pregio che ci si rende conto della possibilità di costituire un museo, facendo le debite proporzioni, in grado di competere con le grandi raccolte pubbliche romane. I Visconti, Pietro Ercole e poi Carlo Ludovico, imprimono alla raccolta una cornice scientifica, aggiornata sugli standard dell’archeologia internazionale della seconda metà dell’Ottocento. Assistiamo allora anche alla creazione di una tassonomia, non un casuale aggregarsi di sculture ma un’organizzazione strutturata, suddivisa in sezioni tematiche, come la Sala delle Muse, degli animali, dei sarcofagi, con temi particolarmente insistiti come quello dell’iconografia imperiale.

Per una circostanza assolutamente
imprevista, nel 1976 ebbi l’occasione di potere effettuare una ricognizione della consistenza della collezione. I tre giorni che trascorsi tra le sculture furono una rivelazione. Attraverso il grande catalogo del 1885 di Carlo Ludovico Visconti e grazie alle fototipie in esso contenute (per l’epoca straordinarie ma oggi certo non idonee alla ricerca scientifica) si immaginava la collezione costituita, per la maggior parte, da pezzi provenienti dagli scavi condotti dai Torlonia nei loro possedimenti suburbani.

Tali scavi erano stati compiuti, nel corso dei primi decenni dell’Ottocento, soprattutto sulla Via Appia e in contesti monumentali molto rilevanti. Io stesso ero entrato nel Museo con questa convinzione, ma subito compresi che le opere che nei cataloghi figuravano come oggetti di scavo, in realtà presentavano evidenti integrazioni apportate nel corso dei secoli. Quelle sculture certamente non provenivano dal sottosuolo, ma da una lunga storia collezionistica
».

Su 620 pezzi, tutti di qualità straordinaria, come si è arrivati alla selezione di 96?

Insieme al collega e amico Salvatore Settis, abbiamo innanzitutto individuato un percorso ideale: un viaggio nel tempo che guidasse lo spettatore attraverso le vicende dei diversi nuclei collezionistici, confluiti, in momenti successivi, all’interno della grande Collezione Torlonia. L’intuizione di Settis è stata quella di percorrere questo itinerario alla rovescia, andando indietro nel tempo.

Abbiamo evidenziato, all’interno della Collezione, momenti e temi fondamentali, articolandoli in cinque sezioni: il Museo Torlonia; gli scavi archeologici compiuti nell’Ottocento dai Torlonia; le collezioni settecentesche, con i materiali provenienti da Villa Albani, acquistata da Alessandro Torlonia nel 1866
, e dallo studio dello scultore e restauratore Bartolomeo Cavaceppi, acquisito nel 1801; il grande nucleo seicentesco, con pezzi di grande qualità, dalla collezione del marchese Vincenzo Giustiniani, acquisizione perfezionata intorno al 1825, e infine le opere dalle collezioni cinquecentesche e quattrocentesche.

Poi è venuta la scelta dei pezzi, selezionati per la loro qualità formale, la rilevanza dal punto di vista degli studi e anche per la loro capacità intrinseca di raccontare ciascuno la propria vicenda. Poiché, in realtà, quasi nessuna delle opere esposte si presenta nell’originaria fisionomia, quasi tutte sono state sottoposte a interventi successivi di integrazioni e aggiornamento dettati da cambiamenti del gusto: è una storia molto complessa che auspichiamo il grande pubblico possa cogliere
.

Ci può guidare nel percorso espositivo, scegliendo un’opera per ciascuna sezione?

La prima sezione rappresenta una sintesi di tutte le componenti della Collezione, con particolare riguardo a quello che era uno dei temi principali della raccolta, ossia la rappresentazione dell’immagine imperiale, con la celebre serie dei ritratti. Ma nulla, per me, regge il confronto con la Fanciulla da Vulci: opera di un fascino segreto, sottile, intimo.

Nella seconda sezione, dedicata agli scavi archeologici, è presente un pezzo cui sono fortemente legato per una serie di problematiche scientifiche, un rilievo dedicato all’eroe Ippolito proveniente dalle pendici dell’Acropoli di Atene. È opera emblematica per il tema del collezionismo antico perché ritrovato non ad Atene, bensì a Roma, dove era stato portato come ornamento della villa di Erode Attico sull’Appia Antica.


Per la Collezione Albani segnalo un gioiello di grande impatto visivo, la Tazza con la raffigurazione delle fatiche di Ercole, ritrovata nel Settecento anch’essa sull’Appia. Andando ancora indietro di un secolo, giungiamo alla Collezione Giustiniani per la quale è impossibile non menzionare l’Hestia Giustiniani, copia romana di un originale greco di cui ignoriamo autore e originaria collocazione. Si tratta di una copia di qualità eccelsa, l’unica arrivata sino a noi praticamente intatta.


Per l’ultimo settore la scelta è assai difficile. oltre ai due grandi sarcofagi Savelli, indicherei la Tazza Cesi, un pezzo che ha attraversato tutte le epoche, nel Medioevo, ad esempio, si trovava a Trastevere. Un’opera assolutamente straordinaria che ancora oggi ci racconta, con la sua voce, la propria storia. Sempre in questa sezione esporremo una statua di Ercole decisamente problematica. L’avevamo pensata in mostra immaginandola parte di una determinata collezione, ma, durante la pulitura, quando abbiamo visto «al nudo» il marmo, ci siamo resi conto che essa non coincideva con le descrizioni in nostro possesso.

Abbiamo ugualmente deciso di esporla perché è un pezzo estremamente significativo, composto com’è di 125 frammenti di marmo, appartenenti ad almeno due sculture diverse, con integrazioni di almeno due diverse epoche. Una sorta di «puzzle», che abbiamo deliberatamente lasciato a metà della fase di restauro, per mostrare che cosa ci si trova davanti quando si tolgono le ombre del tempo, e per far comprendere ai visitatori la complessità dell’esame di una scultura di questa collezione.


Nel catalogo, edito da Electa, abbiamo ricapitolato, in schede sintetiche ma esaustive, la storia di ciascun pezzo. Accanto alle riproduzioni fotografiche sono stati inseriti anche materiali grafici di confronto, disegni antichi, incisioni, stampe che mostrano l’opera in condizioni e situazioni precedenti a quelle che il visitatore vede oggi sotto i propri occhi. Infine, a sottolineare il legame del collezionismo di antichità con la nascita dei primi musei, abbiamo voluto evocare la donazione dei bronzi lateranensi di Sisto IV, nel 1471, al Campidoglio: momento nodale che è all’origine delle raccolte pubbliche archeologiche a Roma.

L’ultima sala della mostra è ospitata in un ambiente della Villa Caffarelli adiacente all’Esedra del Marco Aurelio. Qui nell’Esedra, che è parte del percorso dei Musei Capitolini, sono stati collocati (accanto al grande ritratto di Costantino, alla palla Sansonis, all’Ercole) la Lupa e lo Spinario, spostati dalla rispettive sale abitualmente occupate nei Musei Capitolini. Il nostro percorso espositivo, idealmente si conclude qui, attraverso questo diaframma spaziale e temporale
.

Come si è sviluppato il dialogo con David Chipperfield Architects per l’allestimento?

Abbiamo lavorato con grande armonia. Nell’ambito di un allestimento moderno, inevitabilmente non storicizzato, Chipperfield ha colto una suggestione fornita da me e da Settis, ossia utilizzare una differenziazione cromatica per le varie sezioni, ciascuna contraddistinta da un colore simbolo che aiuta il visitatore a capire che c’è uno stacco fra l’una e l’altra e che, attraversandole, sta compiendo un salto nel tempo, sta passando in un’altra dimensione.

La mostra avrà tappe internazionali?

Le ipotizziamo e le auspichiamo. La pandemia ha sconvolto i programmi dei musei di tutto il mondo, che stanno ripensando la propria programmazione. Potendo immaginare una proroga per la mostra ai Musei Capitolini, con la necessaria disponibilità da parte di Comune e Sovrintendenza, confidiamo che, una volta chiusa la prima tappa romana, l’esposizione possa riaprire in un altro museo all’estero. Una magnifica occasione sarebbe poter riaprire al Louvre, che possiede fra le sue sale preziose testimonianze, ad esempio, della Collezione Albani.

Un anno fa nel presentare l’esposizione Salvatore Settis ha parlato di «una storia a lieto fine». Lei che cosa ne pensa, e qual è il suo auspicio per il futuro Museo Torlonia?

Penso che la mostra possa essere letta anche come il lieto principio di una storia. Mi auguro che un solido accordo tra la famiglia Torlonia e il Mibact porti all’esposizione di una rappresentanza molto più ampia della Collezione, individuando a tal fine una sede idonea. Auspicherei un edificio storico, dalla dignità e nobiltà architettonica proporzionata alle opere che andrebbe a ospitare.

LA COLLEZIONE TORLONIA

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Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

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Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

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Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia. © Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari

Arianna Antoniutti, 12 ottobre 2020 | © Riproduzione riservata

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