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Il sostituto Procuratore della Repubblica: «Ho conosciuto bene i fratelli Aboutaam»

Il pm Paolo Giorgio Ferri
Paolo Giorgio Ferri |

Hicham e Ali li ho conosciuti bene. Il primo a parlarmene, nel 1997 o 1998, era stato Walter Guarini, uno che coordinava dei «tombaroli» pugliesi. Mi disse che, anche dopo il sequestro dei suoi magazzini, Giacomo Medici, l’unico grande mercante di arte illecita condannato in Italia, operava ancora in Svizzera proprio grazie ai due fratelli Aboutaam. La mia indagine su loro cominciò qui. Un paio d’anni dopo vidi i documenti sequestrati a Medici nel Porto franco di Ginevra: confermavano uno stretto rapporto tra lui e loro; quantomeno dagli anni ’90 si erano associati per gestire un vasto traffico di reperti archeologici trafugati ed esportati clandestinamente dall’Italia e da altri Paesi del Mediterraneo.

A quel punto chiesi una rogatoria in Svizzera per perquisire nella città elvetica i locali della loro Phoenix Ancient Art e i depositi nel Porto franco utilizzati dalla società Inanna, anch’essa degli Aboutaam. Era il 15 febbraio 2001. Nel negozio capii subito quanto fosse lucroso commercializzare reperti archeologici. In Italia i pochi esercizi quasi nascondevano la mercanzia; là in mostra c’era di tutto e di più, quasi un museo. Ero esterrefatto. I Carabinieri che erano con me indicarono al giudice svizzero cinque oggetti di sicura provenienza italiana: vennero sequestrati senza una reale opposizione del personale nel negozio.

Tornammo in albergo confusi: ci pareva di essere i soli a opporci a questo commercio, quasi profanassimo veri e noti santuari; ci trovavamo in una dimensione che sino ad allora aveva tollerato, se non condiviso, tanta attività e ci pareva di avere troppo pochi strumenti per fronteggiare quella che, comunque, appariva una vera e propria provocazione. L’indomani fu la volta del Porto franco. Il direttore ci disse che lì non c’era nessuna società Phoenix. Riflettendo sul da farsi seduti su una panchina del cortile, i due Carabinieri insistevano: sapevano anche a che piano e che numero erano i locali che ci interessavano.

Tirarono fuori le foto dei fratelli e decisero di chiedere al giudice svizzero di verificare se uno di loro si trovasse in quei locali, che erano quelli della società Inanna. Uno degli Aboutaam era lì. Entrati, ci accorgemmo che rispetto al loro negozio era tutta un’altra cosa: nessun fasto nei magazzini ad eccezione dell’ufficio di almeno 40 metri quadrati. Subito vediamo una grande testa, credo di Giove.

Ogni locale era dedicato a una diversa civiltà antica e quella egizia era la meglio rappresentata: almeno 300-400 metri quadrati di esposizione. Sarcofagi e suppellettili di una qualità che forse neppure la tomba di Tutankhamon conteneva. E decine di reperti italiani, ancora sporchi di terra, evidentemente frutto di recenti scavi illeciti. All’interno di alcuni anelli, ancora incastrate le falangi. E tanti documenti riguardavano i due fratelli e Medici: gli pagavano somme importanti per «consulenze», anche se non era un esperto d’arte. Nei computer c’era molto più; il giudice però ci vieta di trarne una copia. Ma le acquisizioni probatorie sono importanti.

Tempo dopo, ricevo in ufficio Hicham. A Ginevra era stato un sollecito padrone di casa, per nulla turbato. Ci aveva anche offerto da bere. A Roma si dice vittima dei traffici illeciti. Propone di istituire una banca dati dei reperti detenuti dai collezionisti e dai mercanti, parla di possibili sponsor. Mi dimostro interessato. Gli chiedo se era disponibile a restituire i beni italiani di dubbia liceità: è perplesso, ma non dice di no. Alla fine, io archivio tutto: erano giunti i termini della prescrizione, ma la sentenza Medici ne afferma il contributo associativo. A proposito: di quella banca dati non ho mai più saputo nulla.

L'autore è stato sostituto Procuratore della Repubblica a Roma

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