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Diventare madre al Madre

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Flaminio Gualdoni

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Ora, non è che uno pretenda che i musei siano delle specie di chiese dove si sta lì tutti compunti a fingersi intelligenti di fronte a delle robe appese, installate, proiettate eccetera. Ma chiedere che non si esageri con lo sfruttamento dei luoghi fondamentali del cuore per farne le trame di un cazzeggio paraintellettuale e paraqualcos’altro, mi sembra doveroso. Mo’ hanno messo di mezzo pure la maternità; e si sa com’è da noi, uteri in affitto a parte: dici mamma e subito tutti restano lì paralizzati da una ragnatela di buoni sentimenti che non se ne esce più.

Dunque, siamo giunti alla quarta (quarta!) edizione di una faccenda che s’intitola «Partorire con l’Arte ovvero l’Arte di Partorire», un ciclo dedicato alle future madri ma anche, più in generale, a «chiunque voglia approfondire il tema dell’origine, dell’autopercezione corporea e della creatività»: quindi per fortuna non sono necessari certificati medici e visite di controllo. Sei mesi fa l’hanno fatto, giusto per stare in tema, al Madre di Napoli. Ora invece era al Macro di Roma.

Giuro che non invento niente. Nell’apposito sito web si legge davvero che «invitare le donne incinte in un museo, anziché in ospedale, presuppone l’idea che la maternità sia uno dei più straordinari eventi creativi e anche l’opportunità per il gruppo sociale di fare un salto evolutivo verso una nuova consapevolezza relazionale».

La faccenda funziona, spiegano in parole non povere, in modo che «alcuni capolavori della storia dell’arte aiuteranno a chiarire queste urgenze legate al corpo, all’identità femminile, alla maternità e alla cura del bambino o della bambina che verrà alla luce. Il femminile nell’arte antica, moderna e contemporanea rivela in modo illuminante un concetto di corpo, identità e relazione che si evolve o si involve nel tempo: oggi, ripartendo da una rilettura complessiva della storia dell’arte, il progetto vuole affinare la percezione di sé e restituire consapevolezza piena alla donna articolando un corso di preparazione imago-poietica al parto»: perché vuoi mai, se una donna all’ultimo mese si sente più imago-poietica, sai come si sente meglio.

Il tutto è condito naturalmente da un po’ di Madonne con relativo Bambino e forme ovali in tutte le salse, immagini di gravide, Kounellis compreso, e di allattanti, e non manca la solita Beecroft, teneri abbracci e sguardi languidi di mamma.

Metti che uno è irriverente, ma gli vengono subito in mente una serie di altre funzioni che il nostro corpo esercita, non necessariamente solo quello femminile, magari meno eccezionali ma anch’esse foriere di pulsioni imago-poietiche mica male. Magari fa meno metropolitano evoluto, ma ci sta. Certo che di fronte alle meraviglie della postmodernità si rimane senza parole. 

Tu sei ancora lì convinto che a una che attende di partorire un qualche dipendente Asl spieghi che è meglio evitare di sbronzarsi e di tirare coca, che l’ansia fa parte del gioco e che l’aumento di peso può essere tenuto a bada, roba così, e ai relativi maschi che è preferibile evitare alle future mamme i soliti capricci da viziati isterici e prepotenze sfuse, e invece no. Basta un’occhiata al Placentarium di Manzoni o alla «Madonna di Foligno» di Raffaello, e ça suffit. Vuoi mettere il risparmio sulla spesa sanitaria? E poi, tutta quella nuova consapevolezza relazionale è gratis.

Flaminio Gualdoni, 13 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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