Alessandro Martini
Leggi i suoi articoliI saggi di 150 tra i massimi esperti mondiali (dall’architettura alle arti visive, dalla biologia alle scienze politiche, e poi chimica, scienze del clima, ingegneria, storia, diritto, letteratura...) e uno straordinario apparato iconografico, infografiche, disegni e documenti, materiali d’archivio e fotografie contemporanee, compreso un censimento delle forme di insediamento antropico in Antartide. È, almeno in parte, il contenuto del volume Antarctic Resolution (1.000 pp., Lars Müller Publishers), a cura dell’architetto Giulia Foscari (Venezia, 1980). Oggi il «volume esploso» è in mostra fino al 21 novembre nel Padiglione Centrale della Biennale di Venezia, insieme ad alcune opere e manufatti particolarmente significativi, tra cui un’installazione sonora di Arcangelo Sassolino.
Giulia Foscari, come nasce «Antarctic Resolution»?
Concepito alla vigilia del 200mo anniversario del primo avvistamento del «settimo continente», nasce dall’urgenza di richiamare l’attenzione di tutti su un «bene comune», l’Antartide, da cui dipende la sopravvivenza di molti aspetti della nostra civiltà. Questa è la stagione storica in cui bisogna affrontare senza esitazione temi globali. Ho ritenuto un dovere contribuire alla costruzione di un’immagine ad alta risoluzione del continente e ho invitato, con l’agenzia di ricerca Unless, i massimi esperti mondiali sull’Antartide per far convergere le conoscenze più avanzate in un’unica piattaforma open-access. L’ambizione che ci ha guidati è quella di mobilitare l’opinione pubblica per evitare che un patrimonio così importante sia violato, fatto oggetto di dominio da parte di pochi o si sciolga oltremisura a causa del riscaldamento globale antropogenico, inducendo un innalzamento dei mari tale da sommergere le coste degli altri continenti.
Che cosa rende l’Antartide così importante?
Con una superficie pari al 10% delle terre emerse, è il continente che attiva attorno a sé quelle correnti oceaniche che regolano la circolazione delle acque di tutti gli oceani, garantendo, da sole, il 40% dell’assorbimento oceanico globale di anidride carbonica. Il manto di ghiaccio che la ricopre contiene il 70% dell’acqua dolce del mondo ed è il più importante archivio planetario di dati climatici, cruciali per informare improrogabili accordi transnazionali di politica ambientale. Le rocce su cui posano e lentamente slittano i suoi immensi ghiacciai contengono minerali e risorse preziose che alimentano visioni nazionalistiche di dominio territoriale, ovvero logiche di sfruttamento che prescindono da quei criteri di prudenza che sarebbero dettati dalla coscienza che l’Antartide rappresenta un elemento fondamentale per il futuro dell’umanità.
L’Antartide non era mai stata rappresentata ufficialmente alla Biennale di Venezia. Perché adesso?
La Biennale 2021, diretta da Hashim Sarkis, ci interroga su «How will we live together?». È una domanda che trova importanti risposte proprio in Antartide, l’unico continente senza popolazione indigena, dichiarato «bene comune dell’Umanità». La sua governance, infatti, supportata dal «Protocol on Environmental Protection» (firmato dagli Stati membri del Trattato Antartico nel 1998, ma di cui è prevista una pericolosa «revisione» nel 2048) presuppone da parte di tutti uno spirito di collaborazione. Un suo perfezionamento renderebbe l’Antartide il modello di una forma di cooperazione transazionale di cui beneficerebbe equamente l’umanità intera.
Come avete presentato questa enorme ricerca?
In mostra è presente in formato di «libro esploso» in cui le 1.000 pagine si susseguono formando un’installazione di sei metri di lunghezza, consentendo ai visitatori di recepire la complessità delle forze politiche e naturali che agiscono sui 26 quadrilioni di tonnellate di ghiaccio dell’Antartide. Accanto al volume sono esposti i singolarissimi «occhiali» indossati dal capitano Scott durante i sui eroici attraversamenti dell’Antartide (1901-04 e 1911-12) e l’«Antarctic Suit», prototipo di una tuta tecnologicamente all’avanguardia concepita dalla D-Air Lab per consentire maggiori possibilità di sopravvivenza umana in un ambiente in cui le temperature raggiungono i -89° C. L’assottigliamento della criosfera e il progressivo innalzamento del livello del mare sono denunciati dall’installazione di Arcangelo Sassolino, intitolata «250 volte al secondo», che evoca con eloquenza drammatica i suoni prodotti dalle fratture delle masse ciclopiche dei ghiacci dell’Antartide.
Lei, seppur giovane, ha lavorato in tre continenti e collaborato per molti anni con Rem Koolhaas prima di aprire ad Amburgo il suo studio di architettura Una, con cui sta realizzando la Fondazione di Anish Kapoor a Venezia. Com’e nata la piattaforma di ricerca Unless?
Unless, alter ego di Una, riflette il mio convincimento che l’architettura ha un potenziale etico e politico che non deve andare disperso. Per questo ho voluto affiancare al mio studio di progettazione un’organizzazione non profit concepita come «agency for change», per collaborare con esperti interdisciplinari su progetti di ricerca improrogabili. Unless, come suggerisce il nome stesso, nasce dal seguente presupposto: «a meno che» non ci sia un impegno collettivo che porti a esiti concreti, la crisi planetaria che ci coinvolge potrebbe mettere a rischio la nostra stessa specie.
È fiduciosa circa la «possibilità di uno sforzo unanime per programmare il futuro dell’Antartide e, quindi, del pianeta»?
Assolutamente sì, ma è di fondamentale importanza portare la conoscenza dell’Antartide all’attenzione mondiale. Apsley Cherry-Garrard, compagno di esplorazione del capitano Scott, scrisse di aver «viaggiato per la Scienza (…) per assicurarsi che il mondo potesse avere più conoscenza, che potesse costruire su quello che sa e non su quello che pensa». Un secolo dopo, questa affermazione, tuttora attuale, è divenuta un imperativo. Scoperte scientifiche avvenute in Antartide, come quella del buco dell’ozono, hanno portato a importanti trattati internazionali. Sono fiduciosa che questo possa ripetersi, che dati scientifici estratti dal continente possano concorrere a informare politiche ambientali transnazionali rafforzando il Trattato di Parigi, e che le lezioni apprese in questa regione, Terra Incognita fino alla cosiddetta Rivoluzione Industriale, possano stimolare le migliori energie intellettuali della nostra e delle prossime generazioni.
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