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La Maraya Concert Hall ad AlUla, su progetto di Giò Forma, è l’edificio a specchi più vasto del mondo secondo il Guinness dei primati

Courtesy of Black

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La Maraya Concert Hall ad AlUla, su progetto di Giò Forma, è l’edificio a specchi più vasto del mondo secondo il Guinness dei primati

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Italiani attivi in Arabia: il caso della visionaria Black

«Abbiamo avuto la fortuna, o la visione, di arrivare in Arabia Saudita quando il terreno era ancora vergine», dice Massimo Fogliati, uno dei titolari dell’azienda, che oggi è impegnata in progetti, musei ed eventi «ad alto contenuto culturale e tecnologico», come la Biennale di Gedda

Alessandro Martini

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«Il settore degli eventi culturali, tra esposizioni temporanee e progetti museali, sta andando molto bene. Abbiamo avuto la fortuna, o forse la visione, di arrivare in Arabia Saudita quando il terreno era ancora relativamente vergine. Prima dell’Expo di Dubai inaugurato nel 2020 tutti guardavano agli Emirati. Noi invece, dopo un passaggio in città, dove abbiamo ancora una sede, ci siamo rivolti al territorio saudita, e l’abbiamo fatto tra i primi. Oggi la nostra credibilità acquisita nel tempo sta pagando». Massimo Fogliati, 54 anni, studi in Scienze della Comunicazione e trent’anni di esperienze internazionali, nato a Torino dove abita quando non è in giro per il mondo a seguire i vari progetti, ha fondato Black nel 2010 con i soci Fabio Pavanetto e Guido Zanca. Fin dall’inizio, Black si è basata su una convinzione, che è diventata una prassi, una modalità operativa, un obiettivo: «Una narrazione convincente è capace di trasformare la realtà. Black trasforma le informazioni in progetti ad alto contenuto culturale, tecnologico e funzionale, inserendoli all’interno di una struttura narrativa coinvolgente ed emozionante».

Unendo competenze di project management, design e ingegnerizzazione tecnologica alla capacità di ideare narrazioni emozionanti destinate a grandi pubblici, Black è un punto di riferimento internazionale per la progettazione e la realizzazione di «visioni architettoniche iconiche, musei, installazioni culturali su larga scala ed eventi di alto profilo, trasformandoli in esperienze uniche». Oggi ha 40 dipendenti e 160 collaboratori nelle diverse sedi: da Dubai (aperta nel 2017, principalmente amministrazione), a Riad, sicuramente la sede più operativa, oltre ad altre legate ai singoli progetti, da AlUla a Osaka in Giappone. Ma la sede originaria è nel centro storico di Moncalieri, alle porte di Torino, ai piedi del grandioso castello sabaudo. Un panorama, e forse un mondo, apparentemente lontanissimo dalle tecnologie e dall’innovazione esibita delle nuove architetture saudite. Tra queste c’è proprio un progetto realizzato da Black e Giò Forma, un’altra realtà italiana e design partner di Black in Arabia Saudita: la Maraya Concert Hall ad AlUla, il più grande edificio al mondo ricoperto di specchi, un’icona dell’Arabia Saudita. Ma la società italiana è stata ed è tuttora coinvolta, a diverso titolo, in alcuni dei maggiori progetti recenti nell’area: il TeamLab Borderless Museum e le prime due edizioni dell’Islamic Art Biennale di Gedda (nel 2023 la prima biennale islamica al mondo), la Diriyah Art Biennale 2024 e la ristrutturazione del King Fahd Cultural Center a Riad (il più grande e avanzato teatro dell’opera del Regno)...

Come siete arrivati in Arabia Saudita, quando molti altri erano concentrati su Dubai e Abu Dhabi?

Abbiamo avuto la fortuna di essere chiamati da un’agenzia che era già lì e da subito ci siamo accorti del fermento che animava il Paese, promosso anche dall’investitura dell’attuale principe reggente Mohammad bin Salman. Nel 2017 abbiamo collaborato a uno show del National Day in cui per la prima volta le donne erano accettate sul palco e le famiglie hanno avuto la possibilità di andare allo stadio tutti insieme.

Che cosa fa Black oggi, e com’è strutturata?

Da oltre 25 anni operiamo nel mercato globale con tre livelli di intervento. In primis, quello che definiamo Project & Design Management, con il ruolo di consulenti per la gestione di progetti architettonici. Il prerequisito per il Project Management, con competenze aggiuntive sul progetto creativo e multidisciplinare, è avere un approccio integrato alle crescenti complessità e interrelazioni tra diversi campi dando priorità alla visione e alle esperienze, per clienti sempre più esigenti in termini di prestazioni e gestione. Che cosa facciamo concretamente? Mettiamo insieme ingegneri, architetti, specialisti nei più diversi campi, coordiniamo i team dei partner e gli esperti coinvolti durante lo sviluppo del progetto, garantendo convergenza e allineamento con le esigenze del cliente e i criteri del progettista. Insomma, gestiamo l’intero processo, dalla fase strategica iniziale alla consegna dell’opera. Poi c’è il settore Musei, Mostre ed Eventi, in cui progettiamo e pianifichiamo strutture espositive permanenti e temporanee, esperienziali e museali, nonché grandi eventi corporate e sportivi. Infine, Cultural Venues Operations con cui organizziamo le attività necessarie per la gestione di esperienze e mostre museali, temporanee e permanenti, compresi marketing e biglietteria, ma spesso anche manutenzione tecnologica e informatica. Aspetto in molti casi fondamentale, data la complessità di molti spazi, come le Gallerie d’Italia Intesa Sanpaolo di Torino e il TeamLab a Gedda. 

È più difficile operare in Italia rispetto al Medio Oriente?

In Italia ci sono operatori forti e radicati ormai da tempo, in Arabia Saudita solo oggi iniziano a esserci player forti. A fronte di un panorama vastissimo: vogliono aprire 200 musei da qui al 2030 e hanno bisogno di chi abbia le competenze per farlo. Oltretutto, nei loro musei chiedono molte attività, guide, personale che accompagnino i visitatori. C’è una ragione culturale: l’arte ha un profondo legame con la religione ed è arrivata da poco, nella tradizione islamica l’iconografia è proibita, lo sappiamo. Se poi pensiamo all’accoglienza, così insita nella cultura locale, allora appare quasi ovvio che siano così attivi nel mostrare con orgoglio i loro nuovi spazi culturali, e lo facciano con molta cura. Noi lavoriamo moltissimo nella formazione del personale, quasi totalmente locale. Magari nato qui, di lingua e cultura araba, ma spesso senza passaporto saudita: giordani, palestinesi, siriani, libanesi...

Quali sono i vantaggi e gli eventuali limiti di lavorare in realtà così diverse dalla nostra in termini di possibilità economiche, legislazione e burocrazia?

In Arabia Saudita c’è un «commitment» molto forte che arriva dall’alto, e si sente. Le istituzioni lavorano tutte coese, e al fianco delle imprese, che hanno sempre qualcuno a cui fare riferimento. Si sente molto la pressione, perché non è possibile ritardare... Il teatro di specchi di AlUla, ad esempio, è stato realizzato in 76 giorni per 23mila metri quadrati, i 35mila metri quadrati e i 40mila di spazi aperti del complesso della Biennale di Gedda sono stati progettati e consegnati in 10 mesi... Questo per sottolineare il nostro impegno nel controllo delle tempistiche dei progetti, spesso molto compresse. Più in generale, posso dire che nel 2017 le condizioni di vita in Arabia Saudita erano molto diverse. Oggi le differenze si stanno riducendo, e a mio parere a Gedda si vive molto meglio che negli Emirati. Le limitazioni si riducono ormai sostanzialmente alla proibizione dell’alcool. Anche il ruolo delle donne è cambiato moltissimo negli ultimi tempi. Basti pensare che la ceo della Royal Commission di AlUla è una donna, così come quella della Biennale Foundation di Riad. Oggi si vestono come desiderano, con alcune limitazioni nella copertura del capo e degli arti. Rimane un fatto soprattutto di rispetto culturale. 

Quale pensa che sia la vostra forza, che vi rende così desiderati?

La nostra esperienza fa leva sulle singole emozioni, intuizioni e sensibilità, consapevoli che la tecnologia fornisce velocità e potenza ma che l’arte e la creatività rivelano la direzione. In Black, il mondo naturale e quello artificiale coesistono in armonia: la nostra filosofia è sempre di fare ciò di cui il luogo ha bisogno. Non vogliamo imporre un segno architettonico, ma piuttosto far emergere il meglio del luogo, possibilmente coinvolgendo la comunità locale. Ciò per cui siamo ricercati nel mondo è la capacità di essere «mediatori culturali», senza l’arroganza propria di altri. Di essere flessibili ma anche organizzati, e soprattutto di saper riconoscere il bello comunque e immediatamente... La bellezza è dentro di noi.

La Maraya Concert Hall, su progetto di Giò Forma, è forse la vostra realizzazione più conosciuta.

Anche questo edificio si fonde con l’ambiente circostante riflettendo le texture naturali e i colori mozzafiato di AlUla. Durante questo cantiere abbiamo anche verificato quanto si sta facendo in loco nel campo del diritto dei lavoratori, anche se siamo ancora lontani da quanto previsto in Europa. Si sta investendo anche nella sicurezza sul lavoro, anche se molti dei lavoratori vengono da Paesi privi di una tradizione in questo senso. Ci siamo impegnati a insegnar loro come proteggersi e abbiamo anche fatto venire dall’Italia un team di alpinisti per convincere i più restii a legarsi sui ponteggi...

Questi progetti vi danno l’occasione di collaborare con grandi studi di architettura internazionali. A quali state lavorando ora? 

Intanto stiamo ancora seguendo la seconda edizione della Biennale di Arte Islamica a Gedda, che si concluderà a maggio ed è un grande successo. Qui abbiamo realizzato tutto l’allestimento interno, su 11mila metri quadrati, disegnato da Oma/Rem Koolhaas, ma abbiamo anche prodotto 25 nuovi «artwork». Abbiamo infatti una squadra che affianca e supporta artisti e curatori per trovare materiali, fornitori, ingegnerizzare le opere. Ora stiamo lavorando per il Museum of World Heritage nel King Salman Park a Riad, disegnato da Ricardo Bofill e che si aprirà nel 2026. Stiamo poi lavorando per il Padiglione saudita, disegnato da Norman Foster, per l’Expo di Osaka che si apre il 13 aprile. Ancora in fase di concorso è l’Oceanarium & Coral Farm di Gedda, un progetto molto bello. Sarà realizzato in una parte della costa dove l’ex desalinizzatore ha distrutto buona parte della fauna e flora marina. Noi ci dedichiamo ad allestimento e storytelling rivolto al pubblico. Infine, stiamo iniziando a discutere la prima Biennale di Arte contemporanea di Bukhara in Uzbekistan. 

Come vi state confrontando con l’Intelligenza Artificiale?

È un tema su cui stiamo riflettendo, soprattutto su quanto questa impatterà nel prossimo futuro sulla «visitor experience» in ambito museale. Abbiamo fatto un progetto per il Car and Motorsport Museum, oggi in short list, per la città di Qiddiya, a 80 chilometri da Riad, che sarà interamente dedicato allo sport e al divertimento. Qui sarà ad esempio trasferito il Gran Premio ora a Gedda. Quanto l’Intelligenza Artificiale impatterà nella visita del museo, quando aprirà nel 2028? Attraverso la profilatura di ogni visitatore, saranno personalizzate non solo la lingua ma la narrativa. In futuro il pubblico potrà andare in un museo infinite volte senza mai compiere la stessa visita ed esperienza. Siamo di fonte a una vera, grande rivoluzione. Certo, bisogna essere coscienti che ci sono mestieri che oggi esistono e che domani non esisteranno più, dall’ingegneria alla modellazione.

Alessandro Martini, 26 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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