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Ci sono i «Lotto» e i «Tintoretto», gli «Holbein», i «Ghirlandaio», i «Bellini»: sono i tappeti che questi artisti amavano inserire nei loro dipinti e che da loro hanno poi preso, convenzionalmente, il nome. Quei maestri li ponevano nelle loro composizioni per delimitare con essi uno spazio più «nobile» o sacro, facendone degli emblemi della regalità, celeste o terrena.
Riflettendo sullo stretto rapporto tra l’arte tessile e la pittura, Moshe Tabibnia ha ordinato nella sua galleria di via Brera, in stretta collaborazione con la vicina Pinacoteca, una mostra intitolata «Suolo sacro. Tappeti in pittura (XV-XIX secolo)», patrocinata dal Mibact e dal Comune di Milano. Venticinque i tappeti esposti (fino al 2 luglio), messi in relazione con dipinti coevi o di poco successivi della Pinacoteca di Brera, qui segnalati da una mappa e da un pieghevole che rinviano all’esposizione di Tabibnia.
Altri dipinti in cui figurano antichi tappeti sono esposti nel vicino Museo Poldi Pezzoli. I riscontri fra gli uni e gli altri sono sorprendenti, come nel caso di un tappeto «Tintoretto» (Ushak, Anatolia occidentale, prima metà del XVI secolo), uno dei quattro esposti qui, riconoscibile nel «Ritrovamento del corpo di san Marco» del maestro veneziano conservato a Brera: esattamente il dipinto da cui questa tipologia di tessili ha preso il nome.
Quanto ai tappeti anatolici detti «Holbein», nella Pinacoteca di Brera uno, della prima metà del XVI secolo, è identificabile ai piedi della Vergine nella «Pala di santa Maria in Porto», 1479-81, capolavoro di Ercole De Roberti, mentre un altro figura in bella evidenza nella «Madonna con il Bambino», 1485, di Vincenzo Foppa.
Durante la mostra si terrà in galleria il consueto ciclo di conferenze di storia dell’arte e di storia e tecnica del tappeto antico, tenute da studiosi e cultori internazionali delle due discipline.
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