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Laura Giuliani
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Grazie alle sue vetrine tecnologicamente avanzate ed esteticamente impeccabili, Goppion, in oltre settant’anni di attività, è diventata un punto di riferimento nell’ambito degli allestimenti museali, in Italia e nel mondo, tenendo sempre bene a mente tre valori fondamentali: conservazione, leggibilità e spazio. Sono sue le teche che si prendono cura dei Gioielli della Corona alla Torre di Londra, della «Gioconda» al Louvre e delle British Galleries nel Victoria and Albert Museum, mentre oltreoceano la collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston continua dal 2009 e con il Metropolitan a New York, dove si è da poco inaugurata una nuova ala.
Un mix di ingegneria, alta tecnologia e precisione, di passione e attenzione al particolare, che ha consentito all’azienda di posizionarsi sul mercato internazionale, dove produce circa il 90% del suo fatturato, e di aprire più sedi nel mondo, da Boston e Washington a Hong Kong e Tokyo. E ad aggiudicarsi anche il colossale e prestigioso Grand Egyptian Museum (Gem) (la cui inaugurazione è ora prevista a inizio novembre, Ndr) con oltre 150 vetrine di svariate dimensioni che accolgono al loro interno una grandissima varietà e quantità di reperti. Ne parliamo con Patrizia Venturini, general manager dell’azienda con sede a Trezzano sul Naviglio alle porte di Milano, che ha seguito tutte le fasi dei lavori.
La prima domanda è d’obbligo: come e quando è nata l’azienda?
La Goppion nasce nel dopoguerra, nel 1952, grazie al padre di mio marito. Dopo sette anni di prigionia in Africa e con il boom economico, Nino Goppion inventa un lavoro dal nulla producendo migliaia di vetrine trasparenti per l’esposizione dei dolciumi. Quando mio marito Sandro, appassionato di storia e di filosofia, entrò in azienda, cercò un qualcosa di maggiormente stimolante e affine ai suoi interessi iniziando a realizzare vetrine per i musei. Grazie anche all’incontro con persone illuminate dell’Istituto Centrale del Restauro e dell’Opificio delle Pietre Dure, oltre trent’anni fa abbiamo cominciato a studiare come conservare al meglio gli oggetti. Negli anni abbiamo affinato le tecniche e competenze arrivando a realizzare prodotti esteticamente ineccepibili: trasparenti e al tempo stesso ingegneristicamente avanzati che proteggessero i reperti consentendo al contempo una loro fruizione ottimale.
Quando avete cominciato a lavorare al Gem?
Abbiamo iniziato nel 2017 dopo aver vinto una gara internazionale. Per raggiungere un tale risultato avevamo superato rigorosissime prequalifiche in cui le aziende erano valutate sulla base delle pregresse esperienze e competenze tecniche, ma anche per la solidità della loro organizzazione. Il superamento di alcuni test ha consentito l’accesso a una prima selezione che ci ha ammesso a incontrare di persona i generali a capo del progetto e la commissione tecnica.
Il lavoro è durato in tutto sette anni. In che cosa è consistito?
Possiamo paragonarlo a un lavoro di alta sartoria. Precisione e cura nei minimi dettagli e allo stesso tempo una grande capacità di ascolto nei confronti del committente. Le teche e il loro interno dovevano essere progettati per contenere reperti minuscoli ma anche monumenti di notevoli dimensioni. L’installazione in loco da parte dei nostri tecnici è stata preceduta da un collaudo nei nostri laboratori che ha consentito di studiare in modo accurato l’aspetto illuminotecnico e testare ogni singola vetrina.
Un incarico quasi faraonico…
Sì, ha richiesto molto tempo anche per l’elevato numero delle teche, tutte diverse per forma e dimensioni. Alcune addirittura gigantesche, come quelle destinate alle cinque bighe dorate con le quali il giovane Tutankhamon andava a caccia o si mostrava ai propri sudditi in tutta la sua magnificenza di faraone.
Quali sono le peculiarità di una teca e la sua aspettativa di vita?
In funzione della grandissima varietà di oggetti e di materiali da conservare, alcuni dei quali fragilissimi come nel caso del Gem, abbiamo realizzato teche a elevatissima tenuta, con vetri antiriflesso e talmente trasparenti da risultare quasi invisibili. L’illuminazione è a led con flusso di luce controllabile e regolabile in funzione dell’oggetto e dell’effetto che si intende ottenere. Come a teatro, la luce è parte integrante della messa in scena. All’interno della teca è stato creato un microclima con controllo passivo dell’umidità relativa. Centraline molto tecnologiche rendono possibile la rilevazione di qualsiasi minima variazione. Una vetrina ha un’aspettativa di vita di circa 25-30 anni.
Qual è l’oggetto più fragile di cui vi siete presi cura?
È un oggetto davvero speciale, sorprende ancora oggi come possa avere attraversato i secoli quasi intatto. Sto parlando del ventaglio cerimoniale di Tutankhamon in piume di struzzo e manico in avorio, materiali delicatissimi e difficilissimi da conservare. Per il ventaglio è stata realizzata una teca nella teca al cui interno viene introdotto azoto in grado di eliminare completamente l’ossigeno.
Com’è stato lavorare a stretto contatto con gli egiziani?
È stata un’esperienza unica e bellissima. C’è stata una grande sinergia con i responsabili del progetto, in mano a una joint venture costituita dalla società di costruzione belga Besix e dall’egiziana Orascom. Aggiungo che finora non era mai capitato di avere un presidio di cantiere con vista sulle piramidi!
Momenti critici?
Il periodo del Covid-19 è stato complicato, ma c’è stata un’efficace gestione dell’emergenza con la collaborazione di tutti.
A quale progetto state lavorando?
A Oslo siamo coinvolti nell’allestimento del nuovo e spettacolare Museo dell’Era vichinga, la cui inaugurazione è prevista nel 2027, e nel quale saranno trasportate le imbarcazioni e la collezione del Museo delle Navi vichinghe, chiuso definitivamente.
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