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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliAlba è la nuova Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea, un titolo conquistato grazie a una candidatura che ha saputo trasformare un territorio in una lungimirante visione condivisa. Tra i promotori c’è Nicolas Ballario, giornalista, curatore e produttore culturale che insieme a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Valerio Berruti e molti altri, ha immaginato una capitale diffusa dove i linguaggi del presente si radicano in un contesto di grande profondità storica e umana come lo è quello delle Langhe. Tra le colline patrimonio Unesco, l’arte contemporanea si innesta in una storia fatta di eccellenze culturali, industriali e letterarie. In questa intervista Ballario ripercorre il percorso che ha portato Alba a vincere il titolo e ci racconta la nascita della Biennale delle Langhe, la visione di un laboratorio permanente di arte e pensiero contemporaneo e la sfida di costruire un nuovo ecosistema culturale.

Vista notturna di «Alba» scultura di Valerio Berruti ph. Fabrizio Borio©
Alba Capitale: dove nasce la candidatura
Nicolas, partiamo da te: qual è il tuo rapporto con Alba?
Sono nato e cresciuto nella provincia di Cuneo, a due passi da Alba. E noi che veniamo da una zona del cuneese un po’ meno «energica», per così dire, forse abbiamo sempre guardato ad Alba con ammirazione e un pizzico d’invidia. L’ho sempre vista come un punto di incontro tra l’equilibrio e l’autenticità della provincia e la profondità culturale e industriale di Torino. In generale, la frequento spesso perché lì stanno amici carissimi, come Elisa Giordano, Valerio Berruti e Charley Vezza, con cui abbiamo portato avanti il dossier.
Com’è nata l’idea della candidatura?
Una sera, parlando del bando, mi sono ritrovato a confrontarmi con Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, con cui ho la fortuna di collaborare ormai da qualche tempo e in modo più specifico negli ultimi due anni. Ci siamo resi conto di condividere la stessa intuizione: candidare Alba e il suo sistema diffuso di borghi, luoghi e città a Capitale italiana dell’arte contemporanea, immaginando che potesse diventare un dispositivo territoriale diffuso per le arti visive e il pensiero contemporaneo. Da quel momento abbiamo coinvolto Valerio Berruti, amico e artista, una figura capace di connettere in modo autentico le energie del contemporaneo ad Alba e nel territorio. Insieme abbiamo poi parlato con il Sindaco, e ci siamo resi velocemente conto di aver attivato una sorta di entusiasmo concreto. È stato quel segnale a convincerci ad andare avanti e ad aprire ufficialmente il dossier di candidatura.
Sei un divulgatore, giornalista, curi mostre, e molte altre cose. Ora, con il tuo team, strutturi e segui candidature in ambito culturale. Come approcci questa attività?
Ho sempre avuto un approccio orizzontale al lavoro. Per dirla tutta, ancora non mi è chiaro che lavoro faccio e nemmeno mi interessa. Credo che questa sia stata la forza dietro il lavoro fatto: abbiamo strutturato questa candidatura con l’idea di creare un nuovo modello per affrontare l’arte contemporanea, nel modo più locale e allo stesso tempo globale possibile, mischiando discipline, personalità diverse.
Hai già una società apposita per questo lavoro? Uno Studio Ballario forse? Ce ne parli?
Con Federico Riboldazzi e Maria Teresa Grillo, produttore e autrice dei programmi che faccio su Sky Arte, mesi fa abbiamo creato una nuova realtà che mette insieme tanti aspetti legati all’arte e alla cultura: produzione audiovisiva, comunicazione, progettazione. Insieme abbiamo scritto e coordinato la stesura del dossier. E che questa candidatura, la prima che seguiamo, sia andata così bene, è un bel colpo.
Per Alba, in concreto, cosa avete fatto e come vi siete relazionati con il Dossier?
È stata una costruzione plurale, avvantaggiata dall’impulso e dall’esperienza di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che ha guidato il comitato di candidatura e l’intero progetto. Abbiamo capito che potevamo formare attorno a questa idea di una capitale diffusa, una squadra diffusa di diversi talenti e visioni. Ognuna, alla fine avrebbe trovato un suo spazio. Così è nata questa squadra incredibile di curatori, artisti, istituzioni, professionisti del mondo della cultura. E poi con il Sindaco Alberto Gatto e il suo capo di gabinetto Gianluca Gioetti abbiamo coinvolto, sull’onda di questa idea così eterogenea, decine di realtà locali che sono il cuore di questa candidatura e che hanno fatto tantissimo e faranno tantissimo, trovando loro stesse risonanza con i curatori e gli artisti, in un puzzle che abbiamo composto nel corso dei mesi.

Vista notturna del parco del Parco d'arte Sandretto Re Rebaudengo ph. Fabrizio Borio©
La Biennale delle Langhe
Sei una figura molto trasversale nel mondo della cultura, come lavori su progetti pluriennali di candidatura? Ricordiamo che nel progetto di Alba Capitale dell’arte contemporanea è prevista addirittura una Biennale Internazionale delle Langhe. Ce ne parli?
Ecco abbiamo parlato del cuore della candidatura e ora arriviamo alla sua spina dorsale: la Biennale delle Langhe. È quella che ha tenuto in piedi il progetto, perché non credo che l’arte possa permettersi di arrivare, fare i suoi comodi e andarsene. Ci siamo chiesti cosa potesse rimanere: le opere permanenti, certo. Ma non bastava. Ci siamo detti che in Italia non esiste un vero grande festival di arte contemporanea e allora: «facciamolo noi». La presidente Baroncelli in audizione mi ha chiesto se volessimo fare concorrenza alla Biennale di Venezia e ho risposto che il nostro modello forse è proprio Venezia, ma la mostra del cinema, non quella d’arte. Alcune settimane di approfondimenti, intreccio tra arte e teatro, cinema, musica, politica, letteratura. E, ripeto, opere che rimangono sul territorio: assurdo che in Italia ci siano manifestazioni che arrivano, durano tre giorni, e se ne vanno senza lasciare niente. Magari pure usando fondi pubblici.
In un panorama di città italiane ricchissime di storia, cosa rende Alba davvero diversa?
È una fetta di terra che non ostenta, ma ha radici profonde e grande consapevolezza. Il Tartufo, il vino, Michele Ferrero, Roberto Longhi, Slow Food, Pinot Gallizio. Non esiste al mondo una città di quelle dimensioni che ha sfornato così tante eccellenze.
Le Langhe hanno una tradizione letteraria fortissima, da Fenoglio in poi: vedi un ponte possibile tra letteratura e arte contemporanea?
L’arte può essere l’esaltazione della letteratura e viceversa e noi vorremmo che si mischiassero così tanto da non capire più cosa è una e cosa è l’altra. E poi c’è una cosa a cui tengo particolarmente: faremo una nuova biblioteca dell’arte contemporanea dedicata al mio amico fraterno Luca Beatrice, che oggi sarebbe qui a festeggiare questa vittoria con noi. In qualche modo c’è.
Nel progetto si parla anche di commissioni pubbliche: che ruolo può avere l’arte nello spazio urbano di Alba?
L’arte può trasformare lo spazio pubblico non tanto per la retorica della bellezza che salverà il mondo e baggianate simili, ma perché l’arte contemporanea può diventare un aggregatore, Ogni opera collocata nel modo giusto può rileggere lo spazio urbano, cambiarlo. Grazie all’arte, una sedia può diventare una piazza.
Quale opera o idea immagineresti come simbolo di questa candidatura?
Naturalmente Le fabbriche del vento di Pinot Gallizio, che hanno dato il nome alla nostra candidatura. Sono curioso di sapere cosa si inventerà Maurizio Cattelan, che curerà un progetto su Gallizio.
Guardiamo al lungo periodo: cosa potrebbe restare davvero, oltre il titolo, di questo progetto?
La consapevolezza che in Italia abbiamo la possibilità di creare una nuova Capitale dell’arte. Che non sia Milano, Torino o Venezia. Sappiamo del grado di responsabilità che deriva da questa affermazione, ma il team allargato che abbiamo coinvolto, il territorio e perché no, l’entusiasmo ancora nell’aria per questa «vittoria» ci portano a pensarlo sul serio.
Il Ministro ha intonato «Albachiara» di Vasco Rossi per annunciare la vittoria. Come è stato?
Io e Berruti, i tonti del gruppo, non abbiamo capito subito. Appena il ministro ha iniziato con «respiri piano per non far rumore», tutta la nostra delegazione al ministero si è alzata per esultare, mentre io e Valerio li guardavamo sconcertati come a dir loro “ma sedetevi, che figura facciamo?”. Due secondi che a rivedere il video sembrano due ore. È stato molto bello. E voglio ringraziare moltissimo le delegazioni di Termoli e Foligno-Spoleto per avere festeggiato con noi quel momento. Sono subito venuti a complimentarsi e questo dimostra che alla fine, anche se l’assegnazione è arrivata a noi, abbiamo vinto un po’ tutti.
Perché Alba ha meritato di vincere?
Per il programma ambizioso, ma sostenibile. Per il chiaro modello di governance, per l’internazionalità dell’offerta, per ciò che lascerà sul territorio per anni.
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