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«Machine Hallucinations: Sphere» di Refik Anadol Studio (render)

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«Machine Hallucinations: Sphere» di Refik Anadol Studio (render)

Le nuove botteghe rinascimentali dell’AI: il caso «The Sphere»

Alcuni festival musicali internazionali si servono di animazioni realizzate con l’Intelligenza Artificiale. Uno di essi a Las Vegas si è inaugurato con gli U2 e progetti di arte immersiva firmati da Brambilla, Aronofsky e Anadol

Karin Gavassa

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Una nuova estetica basata sull’uso dei «data», dell’Intelligenza Artificiale (AI), degli algoritmi e del «machine learning» si sta sempre più diffondendo in ambito artistico e culturale: non solo in musei e gallerie, ma anche in nuovi spazi strettamente legati al mondo della musica, che dispongono di dimensioni e dotazioni tecnologiche colossali. Festival rinomati come «Tomorrowland» nel parco De Schorre, in Belgio (presso Anversa), ed «Electric Forest» a Rothbury in Michigan (Usa) ospitano grandi installazioni e megaschermi con animazioni realizzate con l’IA. Ma ciò a cui si sta assistendo con il lancio della nuova The Sphere a Las Vegas è una modalità totalmente innovativa che va oltre il modo in cui siamo abituati a fruire di un’opera d’arte.

The Sphere è stata inaugurata in settembre con il ritorno degli U2 in concerto e la gigantesca videoproiezione «King Size» (2023) dell’artista e regista Marco Brambilla (Milano, 1960), già presente in collezioni e mostre dal MoMA al Guggenheim di New York, dal San Francisco Museum of Modern Art fino alla recente collaborazione per «7 Deaths of Maria Callas» di Marina Abramović, presentata all’Opéra National di Parigi. L’opera video di Brambilla è una meditazione che intreccia nella narrazione Elvis Presley e Las Vegas. È la sua trasformazione in mito nella Las Vegas che è epicentro del consumo e dell’intrattenimento, in cui lo stesso Presley ha incarnato il «sogno americano» e di cui è stato la vittima finale.

Brambilla è noto per le sue elaborate e barocche ricontestualizzazioni di immagini popolari e trovate, ma anche per l’uso pionieristico delle tecnologie nel processo di realizzazione di immagini digitali dall’AI al Cgi (computer-generated imagery, per la grafica 3D e la realizzazione degli effetti speciali), per le quali impiega materiale esistente per interrogare ironicamente il modo in cui la nostra società produce e trasmette le informazioni. Il collage video digitale, come le altre opere che seguiranno nella programmazione di «The Sphere», è proiettato su uno schermo led di 15mila metri quadrati con una visione a 360 gradi e 16K di risoluzione, un sistema che potenzialmente potrebbe mutare il paradigma della fruizione di un’opera d’arte e degli eventi in generale, attraverso un’esperienza percettiva totalizzante e immersiva in cui migliaia di led si muovono come una membrana e in cui l’architettura svanisce fondendosi in una tela fluida abbracciata da altrettante migliaia di speaker sonori che avvolgono le oltre 17mila persone che «The Sphere» può ospitare.

Altra opera immersiva appositamente commissionata per Sphere è «Postcard from Earth» del regista Darren Aronofsky (New York, 1969), un ritratto del nostro pianeta, reimmaginato come un’esperienza fantascientifica concepita per sfruttare tutte le tecnologie esperienziali di Sphere, nelle quali arte e scienza sono interconnesse. Il terzo artista è Refik Anadol (Istanbul, 1985) con il lavoro «Machine Hallucinations: Sphere»: una visualizzazione dinamica di dati basata su vasti archivi di immagini dello spazio e della natura che colloca la creatività nell’intersezione tra uomo e macchina. Prendendo i dati che scorrono intorno a noi come materiale primario e la rete neurale di una mente computerizzata come collaboratore, Anadol e il suo team dipingono con un «pennello pensante» visioni radicali dei nostri ricordi digitalizzati ed espandendo le possibilità dell’architettura, della narrazione e del corpo in movimento.

Sia nel caso di Anadol che di Brambilla, è mutato anche il metodo di lavoro. Si tratta di studi multidisciplinari ai quali collaborano artisti, architetti, data scientist e ricercatori provenienti da contesti diversi. Una sorta di futuristica bottega rinascimentale capace di tradurre l’estetica diffusa che sta già scorrendo sui nostri display in esperienze immersive, dove i limiti dello spazio e della visione vengono espansi fino a dissolversi.
 

Karin Gavassa, 20 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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