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Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliLo spettro della motosega con cui la nuova amministrazione sta tagliando le spese federali incombe anche sull’archeologia. Conservazione e ricerca sono a rischio. L’impatto dei tagli è tangibile e preoccupante sugli enti incaricati della tutela e dello studio del patrimonio archeologico nazionale. Negli Stati Uniti i principali enti federali responsabili della gestione dei siti archeologici sono il National Park Service (Nps) e il Bureau of Land Management (Blm). Il solo Nps sovrintende a oltre 60mila siti, che comprendono anche riserve naturali, e fornisce servizi che vanno dalla manutenzione e pulizia alle informazioni didattiche e alla conservazione di manufatti. Il Blm, che gestisce vaste aree pubbliche, detiene significative testimonianze della preistoria e della storia umana, incluso un vasto patrimonio di materiali delle culture native americane.
Recenti provvedimenti amministrativi hanno però messo a repentaglio lo svolgimento di queste funzioni. Alcuni programmi di sovvenzione a questi enti sono terminati, e ai dipendenti sono stati negati i rimborsi spese e vietati i viaggi di lavoro. Il 14 febbraio scorso oltre mille persone sono state licenziate solo per essere poi reintegrate a fine marzo, a seguito di due sentenze del tribunale che hanno temporaneamente bloccato i licenziamenti di questi e di altri dipendenti federali in diverse agenzie e ne hanno ordinato la reintegrazione. Data l’incertezza sul futuro c’è però il timore che in molti scelgano di non tornare al proprio posto di lavoro. Inoltre, continuano le pressioni dell’amministrazione sui lavoratori perché abbandonino spontaneamente.
Diversi uffici dell’Nps e del Blm hanno già dovuto chiudere, mentre in tutto il Paese sono a rischio vari siti, tra cui alcuni che conservano reperti archeologici. Nell’elenco figurano il San Antonio Missions National Historical Park, patrimonio mondiale dell’Unesco, che conserva anche reperti del periodo coloniale spagnolo, e il Southeast Archeological Center di Tallahassee, in Florida, che ospita oltre 8 milioni di reperti. La National Parks Conservation Association (Npca) si è espressa apertamente contro questi tagli, avvertendo che stanno spingendo i parchi «oltre il punto di non ritorno». Theresa Pierno, presidentessa e amministratrice delegata dell’Npca, ha sottolineato la natura sconsiderata e miope della chiusura degli uffici dell’Nps e ha evidenziato la gestione caotica da parte di questa amministrazione. Nonostante la propaganda repubblicana sui tagli alla spesa pubblica, il bilancio dei parchi rappresenta meno di un quindicesimo dell’uno percento del bilancio federale, contribuendo tuttavia all’economia nazionale con 55,6 miliardi di dollari e garantendo oltre 400mila posti di lavoro.
I recenti ordini esecutivi mirati a «liberare l’energia americana» fanno inoltre temere che la protezione dei monumenti nazionali e delle risorse archeologiche venga oscurata dall’obiettivo dell’amministrazione di espandere le attività estrattive sul territorio americano, oggi vietate nei siti che fanno parte della rete dell’Nps. L’amministrazione si sta infatti già muovendo per revocare alcune normative ambientali implementate dagli allora presidenti Biden e Obama per la protezione di tali siti, compresi alcuni siti archeologici subacquei, nei fondali oceanici.
La situazione generale rimane precaria. Le continue pressioni sul personale e la potenziale perdita di strutture essenziali minacciano di rendere impossibile la missione di salvaguardia del patrimonio archeologico nazionale. La riduzione di finanziamenti e di personale si traduce in una diminuzione di risorse per il rilevamento, lo scavo e l’analisi dei siti. La perdita di strutture di stoccaggio espone i reperti al rischio di danneggiamento o perdita. E il potenziale di un aumento delle attività estrattive su terreni pubblici minaccia l’esistenza stessa di molti siti archeologici.
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