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Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliQuest’estate, il Rhode Island School of Design Museum (Risd Museum) presenta «Liz Collins: Motherlode», la prima retrospettiva statunitense sulla carriera poliedrica dell’artista (classe 1968), che ha partecipato all’ultima Biennale di Venezia «Stranieri Ovunque» con due grandi arazzi che hanno incantato il pubblico. In programma dal 19 luglio all’11 gennaio 2026, la mostra raccoglie oltre 80 opere e ripercorre il percorso di Collins negli ultimi trent’anni attraverso arte, moda, performance e design. Nota per il suo uso radicale di tessuti e filati e per la sua audace fusione di discipline, Collins trasforma la fibra in un linguaggio emozionale, mescolando attivismo ed espressione personale. «Motherlode» cattura l’intero arco della sua evoluzione: dalle sue innovazioni nell’industria della moda degli anni Novanta alle installazioni immersive su larga scala e alle opere performative che sfidano le definizioni convenzionali di arte e artigianato.
Collins spazia tra materiali e tecniche diverse, lasciandosi guidare dagli oggetti e dalle situazioni. «A volte sono i materiali stessi a spingermi a creare cose, ci racconta l’artista. Mi parlano come se avessi una sorta di rapporto animista con loro. Chiedo che cosa vogliono essere… Alcune delle tecniche che utilizzo mi permettono di realizzare le cose più entusiasmanti in base alle mie motivazioni e ai miei istinti interiori riguardo a ciò che voglio esprimere. Ad esempio, trovo che un certo tipo di tessitura jacquard multistrato consenta di creare una combinazione di immagine, struttura e materiale che non ha eguali».
Curata da Kate Irvin, responsabile del Dipartimento Costumi e Tessuti del Risd Museum, in stretta collaborazione con Collins, la mostra include intricate opere murali, monumentali arazzi intrecciati, capi di moda, ricami, disegni e documentazione del suo progetto performativo «Knitting Nation», critica politica dell’industria tessile. La mostra sottolinea inoltre l’impegno di Collins per le pratiche creative femministe e queer e per la consapevolezza ambientale.
Le opere dimostrano collettivamente il profondo impegno di Collins nei confronti di materiali tradizionalmente considerati arte «minore», ridefinendone la potenza espressiva e il significato. Muovendosi fluidamente tra manualità e processi industriali, Collins esplora con libertà le infinite possibilità dei materiali tessili: «Trovo che le cose più interessanti derivino da una combinazione di lenti processi manuali e processi meccanici ad alta tecnologia. Mantengo costantemente entrambi gli estremi: il lento e laborioso ricamo a punto croce, che è un modo ancora più lento di disegnare, a cui si aggiungono la pianificazione e la comunicazione necessarie per realizzare questi tessuti industriali ad alta tecnologia che poi mi vengono consegnati per essere lavorati a mano con filo, pittura, forbici, eccetera».
La mostra include anche le due opere esposte a Venezia, che l’artista ci spiega così: «Questi due pezzi provengono da un lungo collage che ho immaginato come un paesaggio fantastico di montagne, con condizioni meteorologiche e fenomeni ambientali irreali o surreali. Racchiudono l’idea di un’utopia queer, di una vita in cui le persone emarginate sono libere da persecuzioni, che resta sempre irraggiungibile, come una promessa bellissima ma lontana e impossibile da ottenere. Racchiude anche l’esperienza della vita, di una gioia vibrante e della meraviglia, in un momento di pericolo totale e assoluto». Ad affiancare la mostra, una pubblicazione complementare, la prima monografia di Collins, con saggi critici culturali. Inoltre, è esposta anche un’installazione curata dagli studenti della Rhode Island School of Design in collaborazione con l’artista, che dà spazio agli artisti queer della comunità Risd. Per Collins, ex allieva dell’istituzione ed ex membro della facoltà, la mostra è al tempo stesso una retrospettiva e un ritorno a casa.

Liz Collins, «Samurai Coat», autunno 2001, Risd Museum, Providence

Liz Collins, «Red Lightning Wheel», 2024, Liz Collins Studio. Photograph by Kunning Huang, courtesy of Candice Madey Gallery