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Giovanni Curatola
Leggi i suoi articoliAll’inizio dell’IX secolo d.C. i cinesi spedivano in Medio Oriente una tale quantità di vasellame in porcellana monocroma a basso costo di produzione e prezzo di vendita da mettere «fuori mercato» i vasai arabi locali. La documentazione archeologica, migliaia di frammenti rinvenuti nei naufragi lungo le coste, non lascia dubbi.
Che fare? La risposta sarà rimboccarsi le maniche e reagire con nuova tecnologia. Ecco che ci si inventa un nuovo supporto sottile come la porcellana (la cosiddetta «pasta fritta», ottenuta con alte percentuali di silicio non marino aggiunto ad argilla purissima) e si smaltano i pezzi con l’aggiunta di due colori: verde rame e blu cobalto. In più si inventa il «lustro metallico». La ricetta ce la regala un ceramista persiano, figlio d’arte, tale Abul Qasim che scrive un trattato nel 1301. A parte qualche dubbio terminologico (è pur sempre persiano medievale…), la formula è chiara.
Prima fase. Cuocere con invetriatura secondo abitudine un normale pezzo in monocromia bianca o con blu cobalto sotto la vetrina (che è la «glassa» della ceramica). Seconda fase. Comporre un intruglio liquido (con la consistenza di una «pappetta» densa), con ossido di rame o di argento, oppure entrambi, diluiti in aceto mischiati con terra ocra e con questo dipingere la superficie a piacere. Rimettere in forno. Dopo circa un paio d’ore di cottura chiudere tutti gli sfiati della fornace, salvo il condotto centrale, e inserire materiali fumogeni. Ideali i copertoni delle automobili, ma nel IX e fino al XIV secolo ne erano sprovvisti e si arrangiavano con altro. Privando così l’atmosfera di ossigeno, risucchiato dal fumo, l’ossido (composto di ossigeno e metallo) perdeva una componente e sulla superficie rimaneva una pellicola iridescente e cangiante, impalpabile e permanente, dai toni fra il giallo oro, il rosso e il bruno cioccolato. Un capolavoro tecnico e artistico, ma con un ingrediente segreto che il Maestro non ha scritto... Diffidate delle ricette!
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