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Giovanni Curatola
Leggi i suoi articoliViviamo tempi difficili nei quali uno degli stati d’animo prevalenti è una crescente insicurezza che si trasforma in angoscia dilagante. La «terza guerra mondiale a pezzi» è una realtà che abbiamo tutti sotto gli occhi, non da oggi. La reazione, giusta o sbagliata, è quella di un riarmo, di un’esigenza di sicurezza e di chiusura a riccio, preparandoci al peggio. Sarà così? Diamo per buono l’assunto iniziale per il quale conflitti ancora più vasti di quelli già mortificanti presenti sono prevedibili e inevitabili nel giro di pochi anni, ovvero in un futuro assai prossimo. Che cosa fare? Come difendersi? L’Unione Europea, attraverso uno strumento chiamato «Readiness 2030», ha varato un piano economico di vasto e ampio respiro che dovrebbe prepararci a queste tragiche evenienze. Miliardi di euro per la difesa. Di chi e di che cosa? La risposta, credo, sia: della nostra società, dei nostri beni più preziosi, delle nostre identità e in ultima analisi della civiltà. Volenti o nolenti, siamo sotto la minaccia di un attacco e dunque dobbiamo difenderci e per questo spendere soldi, tanti soldi, soprattutto, si dice, in armamenti. Così posta la questione non fa una piega. Ma qual è, fuori da ogni retorica sulla sacra inviolabilità di ogni singola vita umana (peraltro violata da sempre e un po’ dappertutto in molteplici modi), il patrimonio più prezioso che abbiamo, quello che ci contraddistingue? A mio avviso è quello artistico, vera cartina tornasole della nostra specificità e identità. Quello che vantiamo a ogni piè sospinto e che pomposamente spesso qualifichiamo come il più importante al mondo. Molta retorica e cattiva fede, ma anche un fondo di verità se in tanti accorrono da noi per ammirarlo da ogni parte del globo. Dunque, è il nostro patrimonio artistico che abbiamo il dovere di proteggere (art. 9 della Costituzione). Non solo in caso di guerra, ma anche in caso di altre catastrofi che, prevedibili o no, possono avvenire, soprattutto ora che i cambiamenti climatici pongono a tutti problematiche non inedite (come l’alluvione del 1966 nella mia Firenze), ma sempre più frequenti. Oppure evenienze non prevedibili come i terremoti, in un territorio così sensibile e fragile in tali accadimenti.
Della guerra non dirò più di tanto, se non che la fiducia nei «missili intelligenti» è piuttosto mal riposta. Ne posso dare testimonianza diretta e vissuta per i sette mesi (novembre 2003-giugno 2004) trascorsi a Baghdad inviato dal Ministero degli Affari Esteri a lavorare alla salvaguardia e tutela dei beni archeologici e artistici dell’Iraq. Sono terrorizzato dall’idea che un evento esterno possa ferire in modo anche lieve il nostro patrimonio artistico che è unico. Che cosa fare? Una proposta ce l’avrei, magari un tantino utopistica, ma secondo me tutt’altro che peregrina e/o irrealistica. Difendere. Creare nelle 20 regioni italiane almeno un sito ben attrezzato (e difeso) nel quale poter celermente spostare opere d’arte mobili (quadri, statue, e oggetti), attraverso percorsi celeri e prestabiliti, sicuri e ben organizzati, spostamenti affidati a personale specializzato in servizio permanente effettivo. La formazione di tale personale dovrebbe essere fatta nell’ambito dell’Arma, la quale già adesso conta professionalità straordinarie e di alto livello, spesso frustrate da compiti non adeguati alle competenze acquisite, attraverso opportuni bandi pubblici, del personale del Nucleo Tutela del Patrimonio artistico dei Carabinieri. Una campagna di lavoro e pianificazione pluriennale che avrebbe bisogno di finanziamenti molto ingenti. Ma i soldi ci sono: quelli non spesi del Pnrr e quelli aggiuntivi reperibili dall’Unione Europea e stanziati per la difesa, invocando perfino l’Iropi (Imperative reasons of overriding public interest). Non solo armi, ma sistemi integrati di protezione dei beni archeologici e artistici che nel famoso «Paese civile», quinta o sesta economia del mondo, dovrebbero essere già predisposti e attivi da tempo, per non doversi poi affidare al genio italico e alla sua predisposizione principale, l’improvvisazione. I centri di protezione delle opere d’arte dovrebbero nascere attraverso il coordinamento tra Ministero della Difesa, della Cultura, delle Infrastrutture e dell’Economia, consorziandosi anche con le Università nelle quali quasi ovunque esiste un corso di laurea in Beni culturali, oltre naturalmente al Consiglio Nazionale delle Ricerche.. Strutture agili e legate tra loro con all’interno laboratori di diagnostica e restauro. Un progetto simile sarebbe anche un volano per l’occupazione giovanile specializzata sempre più costretta all’emigrazione per mancanza di opportunità. Ovviamente con reclutamento attraverso rigorosi concorsi. A me sembra tutto molto logico, oltre che urgentissimo. Nanni Moretti in un suo celebre film («Io sono un autarchico», 1976) diceva: «…no, il dibattito noo!»; sarei molto soddisfatto se questa sassata nello stagno, invece, un dibattito lo aprisse.
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