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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliNel gennaio dell’anno scorso papa Francesco, intervistato da una nota trasmissione televisiva italiana ha dichiarato, quasi provocatoriamente: «A me piace pensare l’inferno vuoto, e spero che sia realtà», precisando però anche che questo era un suo pensiero personale e non un fatto di fede. L’idea che l’inferno potesse essere vuoto era già stata palesata dal grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-88) nell’ottica, molto particolare, di un Dio infinitamente misericordioso in grado di offrire a tutti la possibilità di redimersi e raggiungere la salvezza. È una teoria ottimistica ma è una strada di pensiero difficile da percorrere anche per l’umana ripugnanza che scaturisce dall’idea di nefandi peccatori assunti in cielo. E allora per chi è il paradiso? Se lo sono domandati in molti attraverso i secoli e se c’è un luogo al mondo che riassume e raduna tutti queste domande e pensieri quello è proprio la Cappella Sistina.
La storia di questo luogo la dovremmo conoscere tutti (o almeno si spera) anche se francamente dubito che le orde di turisti che vi transitano tutti i giorni capiscano qualcosa di quel che vedono. La Cappella Sistina prende il nome da Papa Sisto IV che fece ristrutturare l’antica Cappella Magna tra il 1477 e il 1480. Nella parte bassa corrono una decorazione quattrocentesca a finti tendaggi, e le Storie di Mosè e di Cristo che si affrontano sulle pareti di sinistra e di destra unendo teologicamente Antico e Nuovo Testamento nell’idea di Mosè come precursore e immagine simmetrica di Cristo. Si susseguono fra le finestre in alto ritratti dei Pontefici, Alla cappella lavorarono pittori di livello eccelso: Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, con le rispettive botteghe e collaboratori come Biagio di Antonio, Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli. In origine sulla volta era stato dipinto da Pier Matteo d’Amelia un cielo stellato.
I lavori per gli affreschi delle pareti laterali iniziarono nel 1481 e finirono nel 1482. Di quel tempo anche la marmorea transenna, la cantoria e lo stemma pontificio sopra la porta d’ingresso. Nel 1483 Sisto IV consacrò la nuova cappella dedicandola all'Assunta. La cappella nel suo assetto originale durò però poco, Giulio II la fece modificare e, a partire dal 1508, Michelangelo Buonarroti cominciò a dipingerne la volta, la parte alta delle pareti, le lunette. Nel 1512 il lavoro era finito.
In nove riquadri centrali delle volte si dipanano le Storie della Genesi, dalla Creazione alla Caduta dell’uomo, al Diluvio e al successivo rifiorire dell’umanità con la famiglia di Noè. E con queste scene si è formata nell’immaginario collettivo di tutti i cristiani (e non solo di quelli) l’immagine stessa di Dio che è diventato il barbuto, solenne e aggrottato creatore del mondo che tutti conosciamo. I riferimenti teologici della volta sono infiniti, Michelangelo era colto e religioso ma aveva alle spalle fior di teologi che gli suggerirono cosa dipingere. Nulla è casuale nella Cappella Sistina. La cupa acqua del diluvio, ad esempio, su cui galleggia l’arca di Noè probabilmente si riferisce alla prima lettera di Pietro (3,20-22) dove quell’acqua è vista come profezia di quella del Battesimo. Tra le vele si manifestano, seduti su monumentali troni, cinque possenti Sibille e sette Profeti e anche in questo caso l’immaginario occidentale ne resterà influenzato per sempre. Nei quattro pennacchi angolari sono le Salvazioni miracolose di Israele e quella di una terribile Giuditta giustiziera di Oloferne appare indimenticabile mentre nelle vele e nelle lunette si collocano gli Antenati di Cristo.
Le pareti laterali della cappella vedono contrapporsi le storie di Mosè a quelle di Cristo. Sono affreschi ma paiono a tratti pagine miniate e chi ha potuto salire sui ponteggi del restauro ha constatato con stupore che molte parti sono in stucco a rilievo coperte di foglia d’oro fino. Non era una scelta casuale: la cappella era illuminata solo da ceri e fiaccole e alla luce incerta di questi lumi l’oro diventava mobile e l’affresco pareva prendere vita. Ad esempio, in una delle scene dipinte da Botticelli con le «Storie della vita di Mosè» tutta la puntinatura dorata in pastiglia si trasforma magicamente sotto la luce in «vive facelle». Che cosa doveva essere osservare queste scene con le luci del tempo? Che pensieri potevano indurre? Nella cappella dal 1492 si riuniscono i cardinali in conclave e tutto quello che vedevano era ammaestramento e meditazione a loro offerta: una chance molto preziosa di cui possono godere ancor oggi i cardinali elettori.
Nel 1533 Clemente VII de' Medici desiderò di modificare la decorazione della Cappella ordinando a Michelangelo di dipingere nella parete di fondo il Giudizio Universale. Furono scrostati, senza alcun riguardo parte degli affreschi quattrocenteschi: la scena della Vergine Assunta tra gli Apostoli che occupava la parete di fondo e i primi due episodi delle storie di Mosè e di Cristo, tutti dipinti da Perugino. Papa Clemente, tuttavia, morì nel 1534 e non vide nulla di ciò che sarebbe poi stato. Fu papa Paolo III che volle completare nel 1536 quello spazio. Era tempo degli scismi luterani e inglesi, si era alle porte della controriforma, necessaria per una chiesa che stava fortemente sbandando fra corruzione e pratiche mondane.
«Dies Irae, dies illa /solvet saeclum in favilla: /teste David cum Sibylla. /Quantus tremor est futurus, /quando judex est venturus, /cuncta stricte discussurus» (Giorno dell'ira, quel giorno che /dissolverà il mondo terreno in cenere/ come annunciato da Davide e dalla Sibilla. /Quanto terribile è il futuro/ quando il giudice è venturo) così scrisse Tommaso da Celano (1190 ca-1265) in una celebre sequenza che è divenuta preghiera e si è conservata nei secoli. E il tema del giudizio e del ritorno di Cristo alla fine dei tempi è quello che la Chiesa voleva fosse raffigurato. Michelangelo completò l’enorme affresco nel 1541.
Cristo giudice è al centro della composizione in alto fra gli angeli, i santi, i martiri e i beati. Nelle due lunette superiori gli angeli irrompono con i simboli della passione con cui tutti gli uomini avrebbero potuto salvarsi se solo avessero voluto. Sotto è in corso la resurrezione dei morti sulla sinistra, con la resurrezione della carne e gli scheletri che riprendono vita e forme, sulla destra precipitano invece i dannati e l’inferno spalanca per loro le sue fauci. Michelangelo era un cultore di Dante e qui offre una impressionante rappresentazione di Caronte, demone traghettatore: «Ed ecco verso noi venir per nave /un vecchio, bianco per antico pelo, / gridando: «Guai a voi, anime prave! / Non isperate mai veder il cielo: /i’ vegno per menarvi all’altra riva/ ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo».
Ecco che cosa avevano e che cosa hanno davanti i cardinali che in conclave eleggono il nuovo papa.
Per i conclavi la cappella veniva anticamente parata con solennità e vi si sistemavano tutto intorno alle pareti tanti tronetti sormontati da un baldacchino quanti erano i porporati elettori. Al momento delle elezioni tutti i baldacchini si abbassavano tranne quello dell’eletto. L’usanza andò in soffitta, con molti altri antichi riti, con le riforme di Paolo VI.
I cardinali che hanno eletto ieri il nuovo papa Leone XIV sono giunti da tutto il mondo e molti appartengono a culture assai diverse da quelle occidentali. Tuttavia, il potentissimo messaggio figurativo della Sistina è giunto certamente fino a loro, ricordando il carico di responsabilità che hanno e sul quale saranno, come tutti, giudicati a tempo debito. Ho avuto la fortuna di poter seguire a più riprese i restauri della Sistina e ricordo in particolare la testa del Cristo circondata da un alone di un giallo abbagliante su cui erano ancora marcate le ditate di Michelangelo e che riappariva dopo secoli in tutta la sua forza esplosiva. Era paurosa e implacabile quella figura sovrumana che destava sgomento con quella mano alzata nel gesto perentorio con cui malediceva i dannati, «Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno» (Mt. 25,41), dice il Vangelo e Cristo nell’affresco sta proprio condannando e scacciando i peccatori.
No, la Cappella Sistina non è un luogo dove riposare lo spirito, anzi. È un territorio sacro certamente, ma carico di inquietudine e che dovrebbe indurre visitatori a meditazioni profonde che probabilmente la maggior parte non farà mai. Ma il giorno del giudizio verrà per tutti noi, quando «Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere» (Romani 2:5-6).
Forse l’inferno è piuttosto popolato, nonostante le nostre vane speranze.

Le «Storie della vita di Mosè» di Sandro Botticelli

Il Conclave del 1878

Dio Padre
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