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Paul Cezanne, «Madame Cézanne à la chaise jaune», 1888-1890.

Courtesy Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Beyeler Collection.

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Paul Cezanne, «Madame Cézanne à la chaise jaune», 1888-1890.

Courtesy Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Beyeler Collection.

Cezanne: la Montagne Sainte-Victoire sfaccetta in mille parti la Fondation Beyeler

La Fondation Beyeler presenta, dal 25 gennaio al 25 maggio 2026, la mostra dedicata a Paul Cézanne, padre della modernità in pittura, con circa 80 dipinti e acquerelli che raccontano la sua fase matura e l’influenza decisiva sul Novecento

Nicoletta Biglietti

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C’è un momento in cui Cézanne smette di mediare. Interrompe il dialogo con la tradizione e con l’impressionismo e sposta il problema altrove. Non sistema ciò che trova, lo ricostruisce. Superfici, giustapposizioni di colore, volumi ridotti a cilindro, sfera e cono. La geometria diventa un appoggio operativo, non una dichiarazione teorica. Ma resta in lui una dubbio costante: non essere certo di dipingere ciò che vede «davvero». Da qui prende avvio la scelta della Fondation Beyeler, che nel 2026 apre l’anno espositivo con Paul Cézanne. Dal 25 gennaio al 25 maggio la mostra si concentra sull’ultima fase, la più densa e meno risolta. È la prima monografica che l’istituzione dedica all’artista, nonostante la sua presenza strutturale nella collezione. Una decisione che non ha il tono dell’omaggio, ma quello di una rilettura necessaria.

Negli spazi progettati da Renzo Piano, circa ottanta opere tra oli e acquerelli circoscrivono un punto preciso: quando la pittura smette di registrare e inizia a organizzare. Non c’è una narrazione di carriera, ma un focus netto su un passaggio critico, in cui il dipingere diventa un esercizio di controllo tra visione e costruzione. Ritratti, bagnanti, nature morte, paesaggi della Provenza e soprattutto la Montagne Sainte-Victoire funzionano come strumenti di verifica. Cézanne li riprende in modo insistente perché gli consentono di misurare, quadro dopo quadro, il rapporto tra colore, luce e forma. Non cerca scorciatoie prospettiche né effetti immediati. La pittura perde atmosfera e racconto e procede per accumulo lento e disciplinato.

La Montagne Sainte-Victoire occupa un ruolo centrale. Non come immagine simbolica, ma come struttura da testare. È scomposta in piani cromatici, in volumi che avanzano e arretrano, tenuti insieme con precisione. Lo stesso accade nei Bagnanti: il corpo umano non è idealizzato, ma trattato come massa e rapporto spaziale. Non c’è narrazione, non c’è seduzione. La costruzione è severa, quasi architettonica, e incide direttamente sul lavoro di Picasso e Braque. Quando Picasso definirà Cézanne «il padre di tutti noi», il riferimento è a questo punto. Qui il quadro smette di imitare il mondo e inizia a funzionare secondo regole proprie. Superficie, colore e volume non descrivono, ma tengono in piedi l’immagine. La geometria serve a rendere stabile ciò che, per natura, non lo è.


 

Paul Cezanne, «Sept baigneurs», 1900. Courtesy Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Beyeler Collection

Questo metodo implica una disciplina costante. Cézanne procede lentamente, corregge, riprende, elimina, ricostruisce. Rimane ai margini, e la biografia lo conferma. Nato ad Aix-en-Provence nel 1839, si forma tra Provenza e Parigi, frequenta l’Académie Suisse, entra in contatto con Manet, Monet e Pissarro, ma non si inserisce mai davvero. I rifiuti del Salon e l’incomprensione critica lo spingono al ritiro, lontano dai centri ufficiali, sostenuto dall’eredità paterna.

Il riconoscimento arriva tardi. La mostra di Ambroise Vollard nel 1895 segna un passaggio decisivo, seguita nel 1904 dalla sala al Salon d’Automne, vista anche dalle nuove generazioni. Nulla di questo placa l’insoddisfazione dell’artista. L’idea di non aver raggiunto ciò che cerca resta fino alla fine: rendere sulla tela ciò che si vede, senza aggiustamenti. Questa tensione attraversa tutta l’ultima fase ed è il nucleo della mostra Beyeler. La luce non arriva dall’esterno, ma sembra prodotta dagli oggetti. Il colore non accompagna, costruisce lo spazio. I piani caldi avanzano, quelli freddi arretrano, generando profondità senza prospettiva. L’ordine che ne risulta non è dato, ma ottenuto con fatica.

È un equilibrio instabile, costruito quadro dopo quadro, che non chiude una stagione ma ne mette in crisi le basi stesse. Cézanne non chiude l’Ottocento: lo disarticola. La sua pittura appare come un ponte solo a posteriori; nel momento in cui si forma è una frattura. Senza di lui il Cubismo non sarebbe pensabile, né lo sarebbe gran parte della riflessione novecentesca sull’autonomia dell’opera. La Fondation Beyeler non lo presenta come un classico stabilizzato, ma come una questione ancora aperta, viva nella sua forza di rottura.

Nicoletta Biglietti, 16 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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