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Chiara Bertola di fronte la Gam, Galleria Civica d'Arte moderna e contemporanea di Torino

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Chiara Bertola di fronte la Gam, Galleria Civica d'Arte moderna e contemporanea di Torino

Bertola: «Penso alla mia Gam come a un organismo»

Dopo le esperienze alla Bevilacqua La Masa, alla Querini Stampalia e alla Pirelli HangarBicocca, la critica e curatrice torna nella sua città natale a dirigere il più «antico» museo d’arte moderna in Italia

Alessandro Martini

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«Ho sempre pensato, già nei miei 25 anni alla Fondazione Querini Stampalia, che i musei debbano essere organismi in cui tutte le parti del corpo camminino insieme. Separate, ma con la barra dritta. Al centro della Gam ci sono le collezioni, straordinarie. Sono l’identità del museo, un’identità plurima che non ha mai smesso di crescere dall’800 a oggi. Dobbiamo però aprirci, andare verso il territorio. Non dobbiamo solo far visitare il museo, ma far sì che il museo visiti il territorio, si apra alla comunità».

Chiara Bertola (Torino, 1961), dopo 30 anni a Venezia alla guida di istituzioni importanti come la Fondazione Bevilacqua La Masa (di cui è stata presidente nel 1996-98) e la Fondazione Querini Stampalia (di cui dal 1999 è stata curatrice dell'arte contemporanea), e dopo aver diretto l’HangarBicocca di Milano dal 2009 al 2012, è la nuova direttrice della Gam, Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea di Torino, parte della Fondazione Torino Musei. Ha scritto Curare l’arte (Electa, 2008) e Conservare il futuro (Bruno Editore, 2023). A lei il compito di gestire anche il complesso cantiere di riqualificazione dell’intero edificio (sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, mentre incerti sono ancora i finanziamenti statali: si parla di 27 milioni di euro complessivi), per cui è atteso il bando per l’apposito concorso internazionale di progettazione.

Che cosa porterà nel nuovo incarico dalle sue precedenti esperienze?
Da Venezia mi porto la «non paura» di porre a confronto i tempi storici dell’arte, di mettere insieme il passato e il presente. E la coscienza che gli artisti sono sempre disposti a lasciarsi stupire, capaci di «deragliare» e di porsi «in risonanza».

Come vede il panorama torinese, dopo anni di esperienze tra Venezia e Milano?
Amo tantissimo Torino, me la sento addosso e ancora oggi, dopo tanti anni a Venezia, mi chiamano «la torinese». Da sempre è un polo di attrazioni e sperimentazione, ma ora la vedo un po’ chiusa, separata. Il nostro compito è farla crescere ancora, non solo attraverso il confronto tra musei, facendo sempre più rete e squadra, ma rivolgendoci ad esempio al mondo della musica e del cinema, alle università, all’associazionismo. La rete è l’obiettivo primario, e a questo stiamo lavorando con gli altri musei a partire da quelli della Fondazione Torino Musei. Anche perché oggi a Torino ci sono molti nuovi e giovani direttori, tutti con uno sguardo curioso e desiderosi di dialogare. Penso a Giovanni Villa di Palazzo Madama, a Luigi Fassi di Artissima, a Sarah Cosulich della Pinacoteca Agnelli, e ai molti che arrivano da esperienze all’estero, come Francesco Manacorda ora al Castello di Rivoli e a Davide Quadrio al Mao, Museo d’Arte Orientale. Il loro sguardo «da fuori» non può che portare una nuova energia.
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Quale idea di museo intende portare nella sua Gam?
Da tempo penso al museo come a un organismo. Al centro è ovviamente la collezione, che alla Gam (primo museo d’arte moderna in Italia) è di qualità straordinaria. Costituisce l’identità del museo, un’identità plurima che non ha mai smesso di crescere, dall’Ottocento a oggi, e continua a crescere anche adesso, non più grazie al fondo acquisti dei Musei Civici (abolito ormai da anni, Ndr) ma alla collaborazione con soggetti privati come la Fondazione De Fornaris e la Fondazione Crt per l’Arte moderna e contemporanea. Non dimentichiamo però che la Gam acquisisce continuamente nuove opere anche attraverso lo strumento della produzione di mostre e la committenza diretta ad artisti viventi, come nel caso della prossima di Jacopo Benassi che inauguriamo il 26 febbraio nella Wunderkammer. Tornando alla collezione: è il vero patrimonio del museo. Deve però diventare «vivente». Dobbiamo cioè aprirci, andare verso il territorio. Non dobbiamo solo far visitare il museo, ma far sì che il museo visiti il territorio, si apra alla comunità.

In che modo?
La riallestiremo periodicamente, anche sulla base degli spunti e delle suggestioni che arriveranno dalle attività espositive, e offriremo un percorso che non sarà cronologico ma fatto di tensioni e contrapposizioni. Quindi l’Ottocento dovrà dialogare con il Novecento storico e con l'arte del presente. Serve rigore nello studio e nell’ordinamento delle opere, che devono essere esposte in modo appropriato e con apparati didascalici che siano comprensibili per chiunque, accessibili a ogni pubblico. Ma bisogna anche «deragliare», introdurre un «subbuglio» nella sequenza puramente cronologica, qualcosa che faccia «inciampare» la vista. Solo così si torna a vedere e a percepire il passato in modo nuovo e vitale. Una vitalità a cui si ispira il progetto «Gam Polifonica», un intreccio di linguaggi che va dal suono alla musica, alla performance, alla poesia, alle conversazioni. Tutto questo deve aiutare a far rivivere questo luogo che ha un potenziale pazzesco. Pensiamo alla Videoteca della Gam, che è la seconda più importante in Europa: voglio darle ancora più centralità, e anche più spazio nel progetto di riqualificazione futura, anche per una visione immersiva dei video in collezione. Anche la Biblioteca d’Arte, una delle più importanti in Italia, dovrà essere presentata nuovamente al pubblico, a tutti gli studiosi ma in particolare agli studenti delle scuole.

L’edificio della Gam, progettato da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti e fortemente sostenuto dall’allora direttore Vittorio Viale, fu inaugurato nel 1959 come modello di museo «moderno». Quali potenzialità conserva e offre per il futuro?
Questo edificio è stato fatto con una lungimiranza notevole, ma nel tempo è stato mortificato da piccoli e grandi interventi, e soprattutto dagli adeguamenti tecnici degli anni ’80 (un parziale temporaneo restyling con interventi mirati e propedeutico al futuro cantiere, Ndr). Il prossimo ottobre riapriremo il secondo piano, dopo che avremo compiuto interventi «leggeri» di liberazione dalle stratificazioni secondo la pratica dello «stripping», utilizzata in tutto il mondo nel campo dell’architettura, che permette di riportare in superficie la natura profonda dell’edificio. Un parziale temporaneo restyling con interventi mirati e propedeutico al futuro cantiere di completa riqualificazione, che partirà il prossimo anno dopo il concorso internazionale di progettazione destinato a riqualificare l’intero edificio. Intanto vogliamo tornare poco per volta, e senza mai chiuderlo, a quel museo «aperto», dagli spazi ampi e luminosi, che era stato voluto da Bassi, Boschetti e Viale. Un obiettivo importante sarà infatti riportare la luce naturale all’interno delle sale. Il secondo piano sarà dunque dedicato alle collezioni, allestite non cronologicamente, ma sarà anche la sede del «Deposito vivente», un «display» contemporaneo con cui vogliamo rendere visibile il backstage del museo.

Quali mostre vedremo?
La mia programmazione prenderà il via il prossimo autunno, all’insegna di «risonanze» interne: la pittura, il colore ma anche la caducità. Per la mostra su Berthe Morisot (dal 16 ottobre al 9 marzo 2025), già prevista e organizzata da 24 Ore Cultura con il Musée Marmottan Monet di Parigi in occasione dei 150 anni dell’Impressionismo, ho invitato a intervenire sull’allestimento un «intruso», l’artista Stefano Arienti, sensibile ai temi della luce e dell’en plein air. Parallelamente, dal 30 ottobre al 15 marzo 2025 curerò due mostre: la prima in Italia sull’opera completa di Mary Eilmann, straordinaria artista statunitense, e la prima in uno spazio istituzionale dedicata al lavoro di Maria Morganti. Sarebbe bello produrre mostre di artisti italiani che poi vadano all’estero, e su questo intendiamo lavorare: intanto dal 15 giugno portiamo al Ceaac e all’Atelier Meisenthal di Strasburgo la mostra «L’Hésitation» di Luca Bertolo. Sul fronte delle collaborazioni esterne, dal 24 aprile allestiamo alla Gam una grande mostra su Italo Cremona (1905-79), realizzata con il Mart di Rovereto e curata da Elena Volpato e Giorgina Bertolino, ma ho chiamato Fabio Cafagna a allestire due stanze con suggestioni tratte dalla ricchezza della nostra collezione. È anche un modo per far fare esperimenti a giovani curatori che offrono altri sguardi e sarà l’occasione per riportare alla luce parte della splendida collezione della Gam.

Alessandro Martini, 22 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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