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L’ingresso della nuova Galerie des Cinq Continents del Louvre, con la monumentale testa di Moai

Foto © 2025 musée du Louvre / Audrey Viger

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L’ingresso della nuova Galerie des Cinq Continents del Louvre, con la monumentale testa di Moai

Foto © 2025 musée du Louvre / Audrey Viger

Al Louvre i cinque continenti riuniti in una nuova sezione

Erede del Pavillon des Sessions, aperto nel 2000 ma mai veramente decollato, la galleria appena inaugurata presenta 130 opere non secondo un criterio geografico ma in sezioni tematiche. Ogni sala solleva questioni «metafisiche e antropologiche. Interrogativi comuni a tutte le culture, presenti su tutti i continenti, ma a cui ogni civiltà umana ha dato risposte diverse»

È una monumentale testa di Moai, scolpita nella pietra nera del vulcano Ranu Raraku, nell’Isola di Pasqua (XI-XV secolo), ad accogliere i visitatori della nuova Galerie des cinq continents, che ha aperto le porte ieri al Louvre a Parigi. Un simbolo: al tempo stesso, memoria di un mondo lontano, nel tempo e nello spazio, invito a guardare al di là dell’Europa e a riconoscere la pluralità delle civiltà umane oltre che dichiarazione di quella vocazione universale che il museo parigino rivendica da sempre. 

La nuova galleria «eredita» gli spazi dell’ex Pavillon des Sessions, aperto 25 anni fa come «manifesto per l’uguaglianza delle culture» per valorizzare arti e testimonianze provenienti da Africa, Americhe, Asia, Oceania. Eppure il Pavillon non ha mai davvero trovato il suo pubblico, registrando sempre una frequentazione modesta, penalizzato dalla collocazione periferica, in fondo all’ala Denon, lontano dal flusso della Piramide di vetro. «Volevamo far uscire questo spazio dal suo isolamento», ha spiegato la presidente-direttrice del Louvre, Laurence des Cars ai giornalisti, presentando un «progetto globale» che comprende, oltre al nuovo allestimento, anche la riapertura in modo permanente della Porte des Lions (accessibile dal Jardin du Carrousel) e il restauro delle sale al piano superiore dedicate alla pittura spagnola e italiana del Sei e Settecento. 

Sono stati poi creati nuovi spazi per l’accoglienza del pubblico (per entrare è necessario arrivare già con sé il biglietto, non essendoci qui biglietteria). L’apertura è una sorta di una boccata d'aria fresca per il museo parigino, esposto ai riflettori internazionali dal clamoroso furto dei gioielli della Corona del 19 ottobre scorso, episodio che ha sollevato interrogativi sulla sicurezza delle collezioni e sulla gestione delle risorse. Paradosso vuole che il furto sia avvenuto proprio nella Galerie d’Apollon, interamente rinnovata nel 2018-19 e per questo considerata una delle aree più sicure del museo: «Quando arrivai, alla fine del 2021, mi dissero che sui gioielli della Corona potevamo dormire tranquilli», ha ricordato Laurence des Cars in una recente intervista a «Le Parisien». 

La nuova Galleria è frutto della collaborazione con il Musée du quai Branly, dedicato alle arti cosiddette «primarie», ed ha avuto il sostegno della Fondation Marc Ladreit de Lacharrière, già mecenate dello stesso quai Branly. Espone circa 130 opere (alcune restaurate per l'occasione), provenienti dalle due istituzioni e da altri musei, come il Musée Guimet delle arti asiatiche e il Musée d'Aquitaine di Bordeaux. 

«Abbiamo scelto un approccio non lineare, diverso da quello adottato per il Louvre Lens e il Louvre Abu Dhabi», ha spiegato Barthélemy Etchegoyen Glama, responsabile del progetto, prima di prendere la direzione del Musée Bonnat-Helleu di Bayonne. Le opere non sono dunque più disposte per aree geografiche, come nel precedente Pavillon des Sessions, ma organizzate in sezioni tematiche. 

Ogni sala solleva questioni «metafisiche e antropologiche»: nascere e morire, credere, autorità e prestigio, celebrare il sacro, spiegare il mondo. «Interrogativi comuni a tutte le culture, presenti su tutti i continenti, ma a cui ogni civiltà umana ha dato risposte diverse», ha aggiunto Etchegoyen Glama. Un esempio arriva da una vetrina della sezione «Nascere e morire» che sembra riassumere la filosofia della Galleria. Vi sono esposti quattro «volti»: una maschera precolombiana in pietra nera del Teotihuacán (200-600 a.C.), un volto di «gisant» gotico francese (fine Trecento), una maschera funeraria siriana in oro martellato (I-II secolo d.C.) e una maschera divinatoria egiziana con barba amovibile (760-520 a.C.). Nella sala sul tema del potere, sembrano discutere silenziosamente, l'uno di fronte all'altro, l'«uomo blu», iconica scultura longilinea in legno policromo dell'isola di Malo, nell'oceano Pacifico (XIX secolo), e la statua in marmo del senatore romano Lucio Elio Cesare (136-138 d.C.), proveniente dalla Collezione Campana. Lungo il percorso ci si imbatte in opere sorprendenti, come la statuetta femminile in terracotta dipinta della cultura Chupicuaro (Messico, 600 a.C.-200 d.C.) o il cane-medium «nkisi nkondi» del Congo, interamente ricoperto di chiodi (XVIII-XIX secolo). 

L’esposizione solleva anche la questione irrisolta dello statuto delle opere, spesso oggetti rituali più che artistici, e pone il problema quanto mai attuale della provenienza, non sempre nota (e indicata, quando possibile, sui cartelli), né sempre lecita. Un dibattito centrale mentre la Francia lavora a una «legge quadro» che renda più semplice la restituzione dei beni culturali entrati nelle collezioni nazionali in epoca coloniale.

Una veduta della nuova Galerie des cinq continents al Louvre. Foto © 2025 musée du Louvre / Audrey Viger

Una veduta della nuova Galerie des cinq continents al Louvre. Foto © 2025 musée du Louvre / Audrey Viger

Luana De Micco, 04 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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Al Louvre i cinque continenti riuniti in una nuova sezione | Luana De Micco

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