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Llyn Foulkes con la sua «Machine» nel 2008 l'artista statunitense, scomparso il 21 novembre a 91 anni, è stato anche un musicista fantasioso e antiaccademico

Foto Iva Hladis

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Llyn Foulkes con la sua «Machine» nel 2008 l'artista statunitense, scomparso il 21 novembre a 91 anni, è stato anche un musicista fantasioso e antiaccademico

Foto Iva Hladis

Addio a Llyn Foulkes, caustico Zelig dell’arte contemporanea

È scomparso a 91 anni a Los Angeles l'artista e musicista statunitense. Nella sua vasta e variegata opera ha preso di mira la cultura pop e consumistica americana e il lato oscuro dell'’«American way of life» 

Daria Berro

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Pittore, jazzista, «one man band», agitatore culturale: Llyn Foulkes, è scomparso a Los Angeles il 21 novembre a 91 anni (compiuti da poco: era nato il 17 novembre 1934, a Yakima, nello Stato di Washington). «Lo Zelig dell’arte contemporanea», così si definiva,  nel corso della sua lunga carriera, contraddistinta da una pratica variegata e anarchica, che spaziava dai fumetti dell’adolescenza, ai dipinti di paesaggi, ai ritratti, a inquietanti ritratti di «teste insanguinate» alle recenti opere di protesta contro la guerra in Ucraina. Opere caratterizzate da soggetti spesso provocatori e  accostamenti formali inaspettati, opere ricche di simbolismo, che criticavano la cultura pop e consumistica americana e descrivevano il lato oscuro dell'«American way of life». Sempre «costantemente incoerente, confondendo critici e gallerie con cambiamenti di direzione drammatici ogni volta che sembrava sul punto di essere travolto dal successo popolare», come scriveva l’artista sul suo sito, un atteggiamento che il sistema non sempre ha accolto benevolmente. Ed è stato anche, ipse dixit,  «costantemente all'avanguardia. Ha esposto un anno prima di Andy Warhol alla leggendaria Ferus Gallery a metà degli anni '60 ed è stato salutato come uno dei primi maestri della Pop Art con la sua famosa “Cow” (una creatura ben resa in uno spazio vuoto), anticipando di tre anni le stampe bovine di Warhol. Tra gli artisti con cui è emerso ci sono John Baldessari, Wallace Berman, Robert Irwin ed Ed Ruscha».

Foulkes aveva studiato arte e musica al Central Washington College of Education di Ellensburg, prima di arruolarsi nell’esercito. Congedato dopo due anni trascorsi in Germania, nel 1957 si era trasferito a Los Angeles dove aveva frequentato il Chouinard Art Institute, che si fregiava della collaborazione con i fratelli Disney (Walt e Roy).  E proprio la Walt Disney Company, simbolo degli eccessi del corporativismo americano,  sarebbe stata bersaglio, in seguito, dello spirito caustico dell’artista.

Risalgono al periodo del Chouinard le prime mostre presso la Ferus Gallery e, appena 28enne, nel 1962, la prima mostra istituzionale in una sede pubblica, il Pasadena Art Museum, con opere di carattere pop. Il primo museo ad acquistare i suoi lavori per la collezione permanente fu, due anni dopo, il nascente Los Angeles County Museum of Art, allora ancora in costruzione. Dopo il premio per la pittura alla Biennale di Parigi del 1967 e una borsa di studio Guggenheim nel 1977, Foulkes virò verso una pratica più esplicitamente politica. Negli anni '80, iniziò a incorporare nei suoi quadri dei tableaux in tessuto e spesso includeva la figura di Topolino. Foulkes ha ricevuto l'American Academy of Arts and Letters Award nel 2008 e l'Artists' Legacy Foundation Award l'anno successivo. Nel 2011 ha partecipato alla Biennale di Venezia e l'anno successivo a Documenta 13 a Kassel

A partire dal 2013 è stato protagonista di una grande mostra itinerante, a cura di Ali Subotnick, inaugurata all’Hammer Museum di Los Angeles e poi presentata al New Museum di New York (avrebbe fatto tappa anche  in Germania). In quell’occasione il museo newyorkese scrisse: «artista che non vuole riposare sugli allori, Foulkes si reinventa ogni pochi anni, passando senza soluzione di continuità da dipinti precisi di formazioni rocciose a ritratti viscerali e cruenti, a tableaux tridimensionali giocosi con protagonista un subdolo Topolino». Potrebbe essere il suo epitaffio, ma è superato da quanto scritto dallo stesso artista:  «La sua opera eclettica comprende intriganti meditazioni sulla natura delle immagini fotografiche, un leggero romanticismo con la nostalgica cultura americana, ritratti selvaggi che ricordano Francis Bacon e commenti caustici sulla natura insidiosa della cultura pop commerciale, in particolare i prodotti Disney (i Mickey morti sono sparsi nelle opere recenti). E sebbene abbia attraversato decenni di cambiamenti, un’eco del Dadaismo e una giocosità duchampiana influenzano gran parte del suo lavoro (anche se certamente non in modo da rivelare una temuta coerenza)». O, sintetizzando con il New York Times: «un adorabile, eccentrico e brillante outsider».

Daria Berro, 26 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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