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Vittorio Bertello
Leggi i suoi articoliA Ozegna, una cittadina del Canavese a una cinquantina di chilometri da Torino, per i lavori di ristrutturazione e riqualificazione dell’area del Castello (progetto promosso dall’Amministrazione comunale in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio), nel corso delle indagini di archeologia preventiva, necessarie prima dell’avvio degli scavi per l’adeguamento degli impianti, sono riaffiorati i resti di un ricetto medievale.
La scoperta ha richiesto l’attivazione di un protocollo di tutela e studio specifico. Le indagini sono tuttora in corso, sotto la direzione scientifica di Stefania Ratto della Soprintendenza e il coordinamento di Laura Maffeis, professionista di lunga esperienza nel campo archeologico.
Il ricetto, tipico del paesaggio piemontese e valdostano tra il XII e il XIV secolo, rappresentava un vero rifugio collettivo, costruito per difendere non solo le persone ma anche le derrate alimentari, i beni agricoli e gli strumenti di lavoro. Scoprire le sue fondamenta proprio sotto il Castello di Ozegna significa riportare alla luce un tassello di storia materiale, testimonianza concreta della funzione strategica che il borgo ebbe per secoli.
«Ci troviamo di fronte a una testimonianza preziosa del nostro passato medievale, che restituisce dignità storica a un’area già simbolo della nostra identità comunitaria, ha dichiarato il sindaco di Ozegna, Federico Pozzo. Siamo pronti a valorizzare pienamente una scoperta così significativa, affinché diventi patrimonio condiviso, strumento di conoscenza e opportunità di sviluppo culturale».
In base alle prime analisi effettuate in loco, la datazione preliminare dei resti risalirebbe a un periodo compreso tra il XII e il XIV secolo, epoca in cui le comunità rurali piemontesi cominciarono a organizzarsi intorno a questi complessi fortificati. Le strutture rinvenute, presumibilmente appartenenti al perimetro murario del ricetto, raccontano una fase antica dell’insediamento di Ozegna e aprono nuovi scenari di ricerca sulle origini del borgo.
Laura Maffeis, che coordina le indagini, ha sottolineato come l’attenzione metodologica sia fondamentale in questa fase: «Ogni frammento, ogni traccia, anche minima, può restituirci informazioni preziose sull’organizzazione del villaggio, sulle tecniche costruttive, sui materiali utilizzati e sui rapporti economici e sociali dell’epoca. È un lavoro di pazienza e di ascolto della terra, che in questo caso sta parlando chiaramente».
L’intervento archeologico, oltre a confermare l’importanza del sito, dimostra come la collaborazione tra istituzioni locali e organi di tutela possa produrre risultati di rilievo non solo scientifico, ma anche culturale e identitario. Il progetto di riqualificazione dell’area del Castello, infatti, non nasce con un intento puramente edilizio: l’obiettivo dell’Amministrazione è trasformare il complesso in un polo culturale e turistico, uno spazio restituito alla comunità, vivo e accessibile.
Particolarmente significativa la rete di professionalità coinvolte nell’intervento: accanto alla Soprintendenza e alle archeologhe Ratto e Maffeis, hanno partecipato Silvia Valmaggi e Erica Bassignana, esperte di restauro e valorizzazione dei beni culturali, insieme ai progettisti Francesca Antonino e Dario Zorgnotti dello studio Fabrica Aedificandi, autori della visione architettonica che sta restituendo vita al complesso. A completare la squadra, la restauratrice Lea Ghedin, per la cura degli apparati decorativi, e l’impresa Immobiliare Gran Paradiso di Ettore Rolando, responsabile dell’esecuzione materiale dei lavori.
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