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Scena con ragazza che si trucca dal Pornopapiro di Torino (CG 55001). Particolare di J. Omlin, Der Papyrus 55001 und seine satirisch-erotischen Zeichnungen und Inschriften, Torino 1973, tav. I

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Scena con ragazza che si trucca dal Pornopapiro di Torino (CG 55001). Particolare di J. Omlin, Der Papyrus 55001 und seine satirisch-erotischen Zeichnungen und Inschriften, Torino 1973, tav. I

50 sfumature di lapislazzuli | 6.4

Amore e desiderio nell'antico Egitto. Piaceri voyeuristici e fumigazioni terapeutiche

Francesco Tiradritti

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Al contrario di quello che succede ne La storia dei due fratelli dove le chiome femminili fungono da spunto per tutto il susseguirsi degli eventi, nel Pornopapiro di Torino l’esibizione dei capelli naturali interviene nel momento di maggiore staticità della figurazione: la scena in cui una ragazza è sorpresa a truccarsi. Malgrado la frammentarietà, l’immagine femminile a gambe divaricate oltrepassa i secoli e mantiene ancora oggi inalterata una forte attrattiva erotica. L’invito della figura è a indugiare sul pube e a godere delle forme del corpo nella loro delicata pienezza.  

La fanciulla è sorpresa in uno dei momenti più intimi del suo quotidiano. Lo dichiara proprio il fatto che non indossi alcuna parrucca. Nelle innumerevoli pitture tramandateci dal mondo faraonico soltanto le bambine ne sono prive. Se una donna matura non la indossava, doveva avere un valido motivo. Proprio come in questo caso dove l’autore ha inteso riprodurre un momento pervaso della libertà di cui ognuno gode soltanto nella pienezza della propria solitudine.

Che la figurazione intenda riprodurre una simile situazione appare evidente dal confronto con la scena di quasi mille anni più antica del sarcofago in pietra calcarea della regina Kawit (XXI secolo a.C.; Museo Egizio del Cairo, JE 47397). La nobildonna è ritratta seduta su un trono mentre sorseggia una bevanda servitale da un uomo che le sta di fronte. Alle spalle di Kawit un’inserviente sta terminando di sistemarle la parrucca. La regina attende di ammirare il risultato nello specchio che stringe nella mano sinistra. La presenza dell’uomo e della donna rende la scena priva di ogni carattere di riservatezza e impone una formalità che risalta con chiarezza nell’austera rigidità dell’impostazione figurativa.

L’assenza di astanti consente invece all’autore del papiro torinese una libertà, bene espressa nella disposizione lontana da qualsivoglia simmetria del corpo della ragazza. In realtà la solitudine della fanciulla è soltanto apparente. Accanto al suo piede destro si trova una figura maschile che, sebbene frammentaria, conserva ancora l’elemento essenziale: il fallo dalle smisurate dimensioni adagiato al suolo.

L’allineamento quasi parallelo con le linee del registro sottostante depriva il membro maschile di ogni traccia di bisogno e impellenza e lo trasforma in un tangibile omaggio a una bellezza al cospetto della quale il proprietario si sente disarmato nel senso più letterale del termine. L’immagine dell’uomo appare simile a quella del segno geroglifico utilizzato per indicare spossatezza o rilassatezza. Non è però a questo che sottende la figurazione, quanto piuttosto a un’estasiata capitolazione davanti al mistero ultimo della femminilità.

Se la ragazza sia davvero all’oscuro della presenza dell’ammiratore oppure faccia soltanto finta di non vederlo non è dato saperlo. Il volto girato dalla parte opposta dà comunque l’impressione di un’inconsapevolezza che innesca un gioco voyeuristico tanto intenso quanto delicato. Lo sguardo della fanciulla è rivolto verso lo specchio che stringe nella mano sinistra insieme alla lama di un rasoio. La depilazione era infatti ritenuta necessaria per l’igiene e la toletta sia femminile che maschile e utensili simili sono stati trovati a decine tra i corredi funerari egizi.

Nella mano destra la ragazza stringe un pennello dal lungo manico (probabilmente una cannuccia masticata a una delle estremità) con il quale si passa il rossetto sulle labbra in un gesto aggraziato. Il viso è incorniciato da capelli che arrivano alla nuca, tenuti insieme da un sottile nastro e terminanti in piccole ciocche. Sopra la testa è posizionato un fiore di loto, da intendere più come un simbolo di freschezza o gioventù che come riproduzione di un oggetto reale. Il corpo è adornato da una collana, da bracciali (ai polsi e alle braccia) e da una sottile fascia che passa proprio sopra l’area pubica.

La ragazza tiene le gambe divaricate sopra un basso contenitore con un piedistallo sormontato da una forma conica che lambisce la vagina. Tale prossimità ha dato adito a veri e propri pettegolezzi accademici che, enunciati nell’ambito di conferenze o di lezioni universitarie, oppure riferiti soltanto in conversazioni tra colleghi, hanno trovato assai di rado la via della carta stampata. Tra tutti, due sono quelli che riscuotono ancora oggi maggiore consenso.

Secondo una prima interpretazione la forma conica rappresenterebbe la trasposizione grafica di un’eiezione compiuta dalla fanciulla a beneficio dell’amante urofilo ai suoi piedi. Una mano dell’uomo afferra in effetti l’ansa del recipiente che andrebbe allora interpretato come una sorta di pitale. A quest’idea si oppone proprio la sua forma che, essendo quella di un piatto posto su un piedistallo, mal si accorda con la funzione di ricevere un liquido.

La seconda idea merita poco più di una menzione. La forma conica è stata infatti spiegata come un enorme dildo su cui la fanciulla compirebbe pratiche di autoerotismo sempre allo scopo di compiacere l’uomo ai suoi piedi. Tutto è possibile, ma alcune cose lo sono meno di altre e in questo caso non c’è bisogno di essere egittologi per capirlo.

È invece assai più probabile che sotto la fanciulla vi sia un braciere e la forma conica altro non sia che la trasposizione grafica dell’effluvio che si sprigiona da un’essenza profumata. Una tale interpretazione la suggerisce la pratica del dukhan, ancora oggi assai diffusa in entrambi gli stati del Sudan. Il termine corrisponde alla parola araba per “fumo” e indica un processo di profumazione della pelle attraverso suffumigio, considerato avere molteplici effetti benefici. Molte donne vi si sottopongono ancora oggi nei giorni precedenti il matrimonio per accrescere la propria avvenenza e risultare maggiormente desiderabili.

La pratica del dukhan segue un preciso rituale. La donna si spoglia e si massaggia (o viene massaggiata) con sostanze profumate come la halawa (emulsione cerata zuccherina) o il karkar (unguento aromatizzato). Si avvolge poi in una spessa coperta (shamla) e si siede su uno sgabello con un foro centrale posto sopra un braciere, un vaso o un buco nel terreno in cui vengono bruciati legni aromatici tipici dell’Africa subsahariana (terminalia o acacia seyal). Il suffumigio dura dai quindici minuti a un’ora. Al termine il corpo è strofinato con la dilka, una palla di argilla contenente semi, erbe aromatiche e oli profumati, per rendere più liscia la pelle ed eliminare quella morta.

Con il dukhan la carnagione acquista una colorazione arancione a opera delle sostanze tanniche contenute nell’acacia seyal. La terminalia è invece considerata avere effetti curativi sui dolori reumatici ed è proprio per questo che anche gli uomini vi fanno ricorso: pochi in realtà dato che la pratica è considerata essere prettamente femminile.

Il trattamento è anche ritenuto avere un effetto restringente della vagina ed è uno dei motivi per i quali vi si sottopongono le promesse spose o le puerpere.
Il ricorso a fumigazione per scopi curativi risulta attestato già nei trattati medici egizi nelle sezioni dedicate ai problemi ginecologici. Nel Papiro Ebers (fine XVI – inizio XV secolo a.C.; Biblioteca dell’Università di Lipsia), il più lungo testo di medicina che l’antico Egitto abbia mai tramandato, il ricorso alla fumigazione è indicato come un rimedio per fare scendere la placenta (Ebers 793) o l’utero (Ebers 795) nella posizione naturale.

Nel primo caso è prescritto un suffumigio ottenuto da feci umane miste a resina di terebinto; nel secondo è invece sufficiente porre sulle braci la figurina in cera di un ibis (i testi egizi lo menzionano per la sporcizia derivante dai suoi escrementi). Entrambe le ricette raccomandano che il fumo penetri all’interno della vagina.

Il Papiro Medico di Berlino (fine XIV-XIII secolo a.C.; Ägyptisches Museum und Papyrussammlung, 3038) consiglia il suffumigio vaginale per propiziare la fertilità o come metodo diagnostico per stabilire se una donna è in grado di partorire. Simile funzione è attribuita alla fumigazione dal Papiro Carlsberg VIII (Università di Copenaghen), copia del XIII secolo a.C. di un esemplare più antico. Le capacità terapeutiche attribuite al suffumigio risultano già attestate in quello che è il più antico documento medico egizio: il cosiddetto «Trattato per la salute della madre e del bambino» (XIX secolo a.C.; Petrie Museum of Egyptian Archaeology, UC 32057).

Il secondo paragrafo riguarda una donna cui l’utero duole mentre cammina. Il medico le chiede: «Qual è l’odore?». Se la donna risponde: «Odoro di bruciato», il medico diagnostica che si tratta di un «avvolgimento di utero». Il rimedio consigliato è la fumigazione fino a quando l’odore di bruciato non scompare.

La fanciulla del Pornopapiro di Torino appare in buona salute ed è difficile pensare che si sottoponga a fumigazione a scopo terapeutico. È invece più probabile che lo faccia per profumarsi il corpo e rendere più liscia la propria pelle. Considerando il tenore delle altre scene è forse lecito immaginare che lo facesse anche nell’intento di restringere la propria vagina.

Per l’artista non è però rilevante cosa davvero facesse la fanciulla. Per lui la scena rappresenta lo spunto per ritrarre un momento di intimità femminile e realizzare così una figurazione carica di valenze voyeuristiche e di una dirompente attrattiva. Al centro di tutto vi è la magnifica ossessione maschile: la sottile fessura della vagina che risulta posta in maggiore risalto grazie a una composizione figurativa fondata su forme geometriche triangolari contrapposte: il pube, l’attaccatura delle cosce e l’effluvio profumato sprigionato dal braciere.


CINQUANTA SFUMATURE DI LAPISLAZZULI
Amore e desiderio nell'antico Egitto

1. Parole antiche per aneliti senza tempo
2. Egyptian gods do it better!
3. L'amore cosmico
4.1 L'antica bellezza
4.2 L'antica bellezza
5. il tempo delle tilapie in fiore
6.1 Un documento scottante: il Pornopapiro di Torino
6.2 Un intrattenimento musicale particolare
6.3. Il Pornopapiro e la storia di due fratelli
6.4. Piaceri voyeuristici e fumigazioni terapeutiche
6.5. Eterno femmineo e virilità effimera
6.6. L'omo e la panterona
6.7. Donne e «motori», binomio senza tempo

Scena con ragazza che si trucca dal Pornopapiro di Torino (CG 55001). Particolare di J. Omlin, Der Papyrus 55001 und seine satirisch-erotischen Zeichnungen und Inschriften, Torino 1973, tav. I

Scena di toletta dalla decorazione del sarcofago in pietra calcarea della Regina Kawit (XXI secolo a.C.; Museo Egizio del Cairo, JE 47397). Fotografia di Francesco Tiradritti

Completo da toletta (manico in osso con pinzette e lama) dalla sepoltura di Hornakht a Dra Abu el-Naga (XVI secolo a.C.; Museo Egizio del Cairo; JE 21468). Fotografia di Francesco Tiradritti

Un momento della pratica del dukhan. Fotogramma di un video di Liz Arcus su Vimeo

Il Papiro Medico di Kahun con il «Trattato per la salute della madre e del bambino»; XIX secolo a.C. Londra, Petrie Museum of Egyptian Archaeology, UC 32057. Fotografia dal sito del museo

Francesco Tiradritti, 25 febbraio 2021 | © Riproduzione riservata

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