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Una tranquilla rivoluzione catalana

Confermato per 5 anni, Pepe Serra, direttore del Museu Nacional d’Art de Catalunya guarda al centenario del 2029

Roberta Bosco

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È arrivato a dirigere un museo asfittico e in cinque anni l’ha rimesso in carreggiata. Ha portato i visitatori da 400 a 900mila, aprendo le porte alla creatività contemporanea e avviando una rivoluzione tranquilla, che ha toccato tutti i settori dell’istituzione. Da poco confermato per altri cinque anni, Pepe Serra (Barcellona, 1969), direttore del Museu Nacional d’Art de Catalunya dal 2012, presenta ora un programma a lungo termine per avvicinare il centro catalano ai 25 musei enciclopedici più importanti del mondo entro il 2029, centenario della costruzione della sua sede per l’Esposizione Universale.

Mentre a Barcellona infuria la crociata antituristi, paradossalmente promossa dall’amministrazione municipale, Serra è convinto che la pressione del turismo possa essere alleviata con una buona gestione. «Non credo che si debba parlare di “turismofobia”, ma di un fenomeno che deve essere affrontato in tutta la sua complessità. Evitiamo il dibattito semplicistico, il turismo non apporta solo ricchezza economica ma anche intellettuale. Tutti siamo turisti. Barcellona ha avuto troppo successo e non era preparata ad affrontarlo».

A differenza degli altri musei barcellonesi, nel Nacional (il centro ha ripudiato l’acronimo Mnac che si prestava a confusioni) la proporzione tra visitatori locali e stranieri è equilibrata e anche senza contare le scolaresche il pubblico catalano raggiunge il 40%. «Siamo ancora un museo relativamente sconosciuto, escluso dagli itinerari dei tour operator. Un museo che si prende in considerazione nella seconda visita alla città, che deve ancora sfruttare tutte le sue potenzialità», osserva Serra. 

Come museo generalista, il suo richiamo principale risiede nelle collezioni. Non solo l’arte romanica, che lo ha reso celebre (con il memorabile allestimento di Gae Aulenti delle grandi absidi; cfr. n. 139, dic. ’95, p. 22), ma anche fotografia di tutte le epoche e un fondo modernista che offre un discorso molto più complesso e globale di quello proposto dalle istituzioni monografiche dedicate ai grandi architetti. «Abbiamo la migliore collezione di Romanico del mondo, ma non il migliore allestimento, spiega, riferendosi proprio all’intervento realizzato 25 anni fa da Gae Aulenti. «Il grande vantaggio del museo enciclopedico è l’infinita possibilità di comparare, di sviluppare progetti trasversali audaci e complessi e di generare nuove narrative. Questo con l’allestimento attuale non si può fare e spostare le absidi sarebbe costosissimo e pericoloso.

L’intervento di Gae non ammette riforme, ma si può contaminare, trasformare, aprire a visioni incrociate», afferma Serra, sottolineando l’importanza di spiegare la storia e le contraddizioni di questa straordinaria collezione di absidi, paradossalmente sradicate dalle chiese dei Pirenei proprio per essere salvaguardate. Per quanto riguarda le mostre temporanee, non gli interessano le blockbuster (budget mozzafiato, nomi famosi, successo assicurato), ma non rifiuta a priori la possibilità che alcune possano diventarlo, «non perché spettacolari o mediatiche ma perché rilevanti e ambiziose». È il caso della grande rassegna su Gala, la musa di Dalí, che verrà presentata l’anno prossimo dopo quattro anni di preparazione. «Ammetto che il nostro programma risente del budget insufficiente (15 milioni contro i 45 del Museo del Prado!). Senza il sostegno dei privati sarebbe stato impossibile allestire la prima mostra completa su Gala, un progetto assolutamente necessario», anticipa Serra. 

Oltre a partecipare con iniziative collaterali a tutti i grandi eventi della città, dalla fiera di videoarte Loop al festival di musica elettronica Sonar, una delle più felici intuizioni di Serra è stata collegare arte antica e contemporanea attraverso gli artisti. «La collezione è il centro del museo, la sua ragione d’essere e gli artisti possono offrire visioni inedite e rivelatrici. Lo abbiamo fatto con il catalano Perejaume che ha letto il Barocco in chiave fisiologica, con i video generativi del belga David Claerbout e in ottobre inauguriamo una mostra curata da Francesc Torres che propone una sorprendente visione incrociata delle collezioni». 

Le ristrettezze economiche non solo impediscono al Museu Nacional di accedere a determinati prestiti, ma anche di acquistare nuove opere. «Il dovere di un museo non è solo conservare ma anche collezionare. Sul mercato ci sono pezzi interessanti e i prezzi non sono mai stati così bassi. Non si tratta di comprare Warhol o Picasso, ma opere della Guerra Civile, gioielli medievali, fotografie e altri pezzi che potrebbero aiutarci a completare i discorsi già avviati e a impostare nuove narrazioni. Soprattutto m’interessa articolare il tema del Mediterraneo», afferma il direttore. Intanto lavora sui depositi e ha avviato i contatti con gli eredi del pilota e grande collezionista Francisco Godia per accogliere nel museo le opere che non sono più visibili dalla chiusura della Fundació Godia nel 2015, in seguito ai problemi fiscali di Liliana Godia. 

Per conquistare gli spazi di cui ha bisogno ha in mente un piano ambizioso che ha come data limite il fatidico 2029. L’idea di Serra è di ridimensionare il disegno della Montagna dei Musei, un progetto faraonico sotterrato dal peso della sua stessa ambizione, che coinvolgeva tutta la collina di Montjuich con Fundación Miró, Museo Etnologico, Museo Archeologico, CaixaForum, Fundación Mies van der Rohe e i teatri. «Noi vogliamo utilizzare solo uno dei padiglioni di fronte a quello celebre progettato da Mies, bisogna solo climatizzarli e dotarli delle misure di sicurezza. Sarebbero 15mila metri quadrati, più di quanti ne abbiamo ora in tutto il museo. Potremmo usarlo per l’arte post Guerra Civile che è nei depositi e per le mostre temporanee, relegate in uno spazio insufficiente nei sotterranei. Questo progetto recupererebbe l’idea urbanistica originale di Josep Puig i Cadafalch (uno dei principali architetti del Modernismo catalano, artefice principale dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, Ndr), collegando la città con questa zona che è sottovalutata e potrebbe essere cruciale per decongestionare il centro e offrire nuove opportunità a cittadini e turisti», spiega Serra, con un entusiasmo confortante in questi tempi bui. «Lo spazio è importante per parlare di noi e dare una visione del mondo dalla nostra prospettiva e per trasformare il museo in un punto di dibattito, incontro, riflessione e creazione», conclude.

Roberta Bosco, 08 settembre 2017 | © Riproduzione riservata

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