Luisa Papotti lascia tra gli applausi di Palazzo Chiablese

Con la presentazione del suo ultimo intervento, il restauro dell’Appartamento del duca del Chiablese, conclude la carriera in Soprintendenza dopo quarant’anni di rinnovamenti sostanziali

Luisa Papotti
Laura Giuliani |  | Torino

Dopo un lungo e meticoloso restauro è stato restituito alla città l’Appartamento del duca del Chiablese, con le sontuose sale su disegno di Benedetto Alfieri, architetto di corte che nel 1753 ricevette dal re Carlo Emanuele III l’incarico di ripensare e rinnovare gli ambienti del palazzo destinato al figlio Benedetto Maurizio di Savoia, duca del Chiablese.

Tra stucchi dorati, specchi, boiserie dipinte, arazzi francesi e raffinati arredi, le sale dell’appartamento al piano nobile di Palazzo Chiablese, sede della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, sono visitabili dal 18 maggio grazie anche all’associazione Amici di Palazzo Reale. Il progetto è iniziato nel 2017 con il restauro di alcuni ambienti con il sostegno della Consulta di Torino ed è proseguito nel 2019 grazie alla Fondazione Compagnia di San Paolo con il recupero delle camere private e di udienza.

Il restauro della Sala ex Alcova, del Salottino adiacente, della Sala da bagno e del Passaggio antistante, costituisce la fase finale dei lavori condotti dal Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale» in collaborazione con la Soprintendenza, quest’ultima sotto la guida di Luisa Papotti. A lei, soprintendente, architetto e funzionario di lungo corso che il 31 maggio ha terminato il suo mandato e alla quale nella conferenza di commiato la sala affollata ha tributato un lunghissimo applauso, abbiamo chiesto di illustrare il restauro appena concluso (con una spesa di 400mila euro), insieme ai tanti progetti in corso e in procinto di partire nella città e nel territorio.

Soprintendente Papotti, perché l’Appartamento del duca del Chiablese è così importante?
Gli interventi a Palazzo Chiablese costituiscono l’ultima pagina di un progetto che riguarda la restituzione delle residenze reali alla fruizione pubblica, un progetto iniziato nel secondo dopoguerra e affidato alle Soprintendenze. Tra tutte le dimore sabaude Palazzo Chiablese era quella più provata dai bombardamenti, danneggiata da ordigni e spezzoni incendiari tra il ’43 e il ’44. Negli anni successivi diventa sede degli uffici della Soprintendenza e l’appartamento, che durante l’occupazione francese ospitò Paolina Bonaparte e dal 1824 fu dimora di Carlo Felice che lo preferì a Palazzo Reale, inizia a perdere la sua identità di residenza. Da qui la volontà di liberarlo, restaurarlo e aprirlo al pubblico.

In che cosa sono consistiti gli interventi?
I lavori hanno interessato gli arredi lignei, gli stucchi, i pavimenti e tutto ciò che era presente nelle sale. Gli arredi originari erano stati trasferiti nella residenza di Agliè durante i bombardamenti, quelli presenti sono in parte in prestito dalla Fondazione Accorsi-Ometto e in parte recuperati, come la straordinaria scrivania a doppio corpo di Pietro Piffetti nella Sala ex Alcova rintracciata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio culturale e i bellissimi arazzi francesi con le «Storie di Artemisia» nella Sala da ricevimento provenienti dalle Guardarobe reali.

Quali progetti lascia in eredità al futuro soprintendente?
Il Ministero ha riconosciuto e premiato la progettualità torinese finanziando nuovi progetti: quello che riguarda la Caserma Gamerra a Venaria Reale dispone di una prima tranche di risorse (circa 6 milioni di euro) per diventare un deposito attrezzato e visitabile in contiguità con il Centro di Conservazione e Restauro «La Venaria Reale» aperto sia al sistema museale sia ai privati. Devono poi partire due progetti (anche in questo caso circa 6 milioni di euro) che riguardano piazza Castello e la restituzione di volumi persi nel passato. Il primo è inerente all’ingombro della cavea del Teatro Regio con il raddoppio della galleria passante tra piazza Castello e piazzetta Mollino per ospitare nuovi spazi espositivi. Vi è poi l’ipotesi di ricostruzione «molto lieve» della perduta Galleria di Carlo Emanuele I, di cui si conservano le fondazioni con le mura romane, per ospitare servizi di accoglienza. È un progetto immaginato proprio con il direttore generale Musei del Ministero della Cultura Massimo Osanna, per il quale c’è già una prima tranche di finanziamenti (Grandi Progetti).
Una stanza appena restaurata dell’Appartamento del duca a Palazzo Chiablese
Ovviamente c’è molta attesa per i fondi del Pnrr.
È un momento di grande fermento in cui devono arrivare molte risorse. Torino è rinata dopo i Giochi olimpici del 2006, divenendo via via sempre più attrattiva proprio in forza dei suoi musei (i Musei Reali, Palazzo Madama, l’Egizio che si appresta a celebrare il bicentenario con la revisione dell’allestimento, le Ogr e tanti altri). Adesso è la volta della Cavallerizza, che diventerà un luogo espositivo restituendo al pubblico l’ultima parte del centro di comando sabaudo. La Compagnia di San Paolo sta recuperando la Manica del Mosca e il Ministero ha reso disponibile risorse per il recupero del Maneggio Reale.

Lei è architetto e ha mosso i primi passi presso la Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte dov’è rimasta per quasi vent’anni, fino al 2001. Quale ricordo ha degli archeologi?
Da adolescente avevo deciso che avrei voluto occuparmi di restauro. Mi sono iscritta alla Facoltà di Architettura e all’epoca il docente di restauro, Maria Grazia Cerri, era anche soprintendente. Nel 1982 sono entrata in Soprintendenza come assistente tecnico dell’Archeologia e qui ho incontrato persone straordinarie come Liliana Mercando che, con Cerri, è stata di grande insegnamento. Risalgono a quegli anni il volume Archeologia a Torino (Allemandi, 2003) e il progetto di Gabetti e Isola per il Museo di Antichità. In quel periodo ho acquisito una capacità di operare in modo trasversale che mi è stata di grande aiuto per affrontare poi il ruolo dirigenziale.

Uno dei vostri ultimi ritrovamenti archeologici è avvenuto a Susa.
In vista delle celebrazioni del millenario della Cattedrale di San Giusto (1027) don Gianluca Popolla ha deciso di far restaurare il coro ligneo dell’abside. Durante la rimozione degli stalli trecenteschi sono emersi affreschi e basamenti di capitelli. A quattro metri di profondità, sotto il pavimento della parte presbiteriale, gli archeologi si sono imbattuti in un rimescolio di macerie con elementi lapidei, lamine e figurine di bronzo dorato e una lastra con dedica a Minerva. I detriti celavano una vasta cripta forse destinata alle reliquie, essendo la Cattedrale sorta come chiesa martiriale.

Quando è passata alla Direzione regionale?
Sono andata via dalla Soprintendenza archeologica al momento della prima riforma del Ministero che aveva introdotto le Soprintendenze regionali nel 2002. Nel 2004 con Mario Turetta come direttore regionale ho partecipato a una stagione straordinaria. Era la fase preolimpica con i cantieri del Giubileo in Palazzo Reale, Palazzo Madama in procinto di riaprire, l’istituzione della Fondazione del Museo Egizio e il grande progetto della Venaria Reale.

La riforma Franceschini ha raggiunto gli obiettivi prefissati?
È stata una bella riforma perché indirizzata a portare la tutela in una dimensione più coerente con l’idea di patrimonio. Prima, con la legge del 1909, vi era la divisione in beni archeologici, beni architettonici e musei, il resto non esisteva. C’erano zone grigie e di sovrapposizione, pertanto unificare le competenze in un unico istituto pur essendo doloroso è stato molto corretto. L’architettura della riforma è perfetta per i cittadini e per i funzionari che lavorano in team con risultati premianti sulla tutela, ed è stata vantaggiosa per i musei che hanno guadagnato l’autonomia. Ma le strutture sono impoverite. Ora bisogna pensare a colmare il drammatico flusso delle uscite perché andiamo tutti in pensione.

L’ultima domanda è d’obbligo. È contenta di andare in pensione?
È un lavoro che non si lascia del tutto perché il nostro lavoro è fatto anche di passione e studio. Gli ultimi anni sono stati faticosissimi per la carenza di organico. Però l’energia per continuare c’è ancora, sarà convertita in altri percorsi.

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Laura Giuliani