Anna Aglietta
Leggi i suoi articoliNella notte del primo marzo, un uomo (la cui identità non è stata divulgata) ha sfigurato una delle foto dell’installazione «St Javelin», dell’artista di origine tedesca Julia Krahn (1978), allestita all’esterno della Chiesa della Guarnigione e della Corte di Potsdam. Secondo l’artista, l’atto vandalico ha reso il messaggio ancora più forte.
L’installazione, il cui nome si riferisce a una santa fittizia, una madonna che regge il missile «Javelin» a protezione dell’Ucraina, presenta i ritratti e le foto di 11 donne ucraine, fuggite in Italia all’inizio della guerra, e dell’artista stessa. Le foto, alte 19 metri, mostrano le rifugiate con la propria versione del missile, «le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere».
Attraverso questo lavoro, l’artista, che afferma che «la pace è un verbo, che va fatta tutti i giorni», non vuole prendere posizione rispetto alla guerra ma piuttosto creare empatia, forzando il pubblico a vedere le persone e le storie dietro alle bandiere.
L’immagine che è stata sfigurata rappresenta la maternità: la protagonista, Marina, è raffigurata con la figlia più piccola, che aveva quattro mesi all’inizio della guerra. Durante la notte del primo marzo, un uomo filo-russo, originario del Donbass, si è filmato per il suo milione di followers mentre rimuoveva il viso della madre e deturpava le citazioni e immagini ai piedi della foto con dei graffiti a favore della guerra.
A cavallo tra il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina e la Giornata Internazionale della Donna, il gesto diventa particolarmente simbolico. Da un lato, si pone inequivocabilmente a difesa della guerra e nega la legittimità stessa dell’Ucraina; dall’altro, la scelta consapevole di tagliare il viso del soggetto (impresa certo non facile viste le dimensioni della stampa) diventa un modo per cancellare l’identità della donna e il valore della sua storia.
Eppure, quando è stata informata dell’accaduto, Julia Krahn non si è fatta prendere dallo sconforto. Al contrario, secondo lei questa reazione al suo lavoro conferma l’importanza dell’arte nel suscitare e influenzare il dibattito pubblico: «l’arte non è decorazione, ma deve scuotere l’emozione». Aggiunge che l’autore del gesto ha raggiunto l’effetto opposto a quello desiderato. La fotografia è diventata, da testimonianza individuale dell’impatto della guerra, un simbolo universale della donna e delle battaglie per i loro diritti.
La sua prima reazione è stata quindi la determinazione di reinstallare l’immagine il più rapidamente possibile. Invece di ristampare la foto, però, ha deciso di cucire il volto sulla stampa vandalizzata, con i segni dei tagli a vista, come se fossero ferite. Per l’artista, quest’opzione è l’unico modo di assumersi la propria responsabilità verso la società e prendere posizione: «ricostruiremo l’opera, ma creando, a partire da questo orrore, qualcosa che protegge dall’orrore».
«St Javelin» è presentata dalla Fondazione Stiftung Garnisonkirche fino al 9 aprile 2023.
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Installazione di St Javelin, Postdam. Cortesia dell’artista
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