«Les dirigeants chinois saluent le défilé du 20e anniversaire de la Révolution» (particolare) di Bernard Rancillac, 1970, in mostra all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi

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«Les dirigeants chinois saluent le défilé du 20e anniversaire de la Révolution» (particolare) di Bernard Rancillac, 1970, in mostra all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi

Il Sessantotto ne dimostra cinquanta

Mostre e performance» tra arte e politica per ricordare il mezzo secolo

Luana De Micco

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L’8 maggio 1968 l’Ecole des Beaux-Arts entrò in sciopero. È nell’istituzione fondata nel 1817 (erede della più antica Académie Royale de Peinture et Sculpture, luogo simbolo della cultura conservatrice) che si fabbricavano i manifesti che avrebbero tappezzato i muri del Quartiere Latino in rivolta. Artisti come Eduardo Arroyo, Francis Biras, Bernard Rancillac e Gérard Fromanger, perlopiù impegnati in movimenti di estrema sinistra, avevano raggiunto gli studenti per gestire l’Atelier Populaire, la stamperia clandestina nata nella scuola d’arte occupata che stampò i primi manifesti il 15 maggio.

Più del risultato estetico contava il messaggio politico, contro le strutture autoritarie, i media assoggettati al potere, in nome di una società più giusta e libera. Gli autori dei manifesti sarebbero rimasti anonimi, in opposizione «alle pratiche della creazione individualista borghese». La tecnica della litografia fu presto sostituita dalla serigrafia, producendo più di 2mila manifesti al giorno. L’atelier funzionò 24 ore su 24 fino al 27 giugno, quando la polizia entrò nella scuola e la evacuò. Molte immagini entrarono nelle collezioni dell’École des Beaux-Arts, degli Archivi nazionali e dell’ex Musée des Arts et Traditions populaires, l’«antenato» del MuCem di Marsiglia.

Cinquant’anni dopo, quei manifesti tornano a essere esposti in rue Bonaparte fino al 20 maggio nella mostra «Images en lutte. La cultura visiva dell’estrema sinistra in Francia (1968-1974)», con più di 800 oggetti, opere d’arte (Erró, Martial Raysse, Annette Messager…), giornali, libri, foto, film, che raccontano anche il dopo ’68 e le lotte sociali che ne scaturirono. La mostra ritorna sulla vivace creatività delle avanguardie artistiche che si nutriva dell’utopia rivoluzionaria e ricorda l’intesa attività teorica che rimetteva in discussione i luoghi «ufficiali» della cultura, musei compresi, e proponeva una «decostruzione» delle pratiche artistiche tradizionali. I francesi sembrano conservare oggi, quasi con nostalgia, lo spirito sessantottino ancora carico di miti. A ricordare l’anniversario sono diverse istituzioni culturali (programma completo su soixantehuit.fr).

Il 4 maggio il Palais de Tokyo rivela «Open Borders», opera monumentale dell’artista spagnolo Escif che riproduce su un muro del palazzo gli slogan del ’68. Fino al 20 maggio, il Centre Pompidou mette a disposizione gli spazi del Forum per la manifestazione pluridisciplinare «Mai 68. Assemblée générale», con dibattiti, occupazioni-performance di artisti, proiezioni e atelier. Agli Archives Nationales la mostra «Archives du pouvoir», con documenti ufficiali, molti inediti, racconta infatti il ’68 dal punto di vista del potere (dal 3 maggio al 22 settembre nelle due sedi di Parigi e di Pierrefitte-sur-Seine). La mostra «Icônes de Mai 68» (fino al 26 agosto) della Bibliothèque Nationale de France analizza invece la memoria collettiva visiva della contestazione. Vi sono allestite un centinaio di foto che hanno scritto la storia, come gli scatti famosi con il giovane Daniel Cohn-Bendit di Gilles Caron.

«Les dirigeants chinois saluent le défilé du 20e anniversaire de la Révolution» (particolare) di Bernard Rancillac, 1970, in mostra all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi

Luana De Micco, 04 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

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