Un interno di Villa Becker nel 1908

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Un interno di Villa Becker nel 1908

I misteri di Villa Becker

Dallo studio di un tavolo al viaggio in Italia di David H. Lawrence

Arabella Cifani

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Villa Becker sulla collina torinese è ormai solo un vuoto guscio fra l'intrico di boschi inselvatichiti. La chiude un elegante e rugginoso cancello in ferro battuto, oltre il quale crescono male erbe. La natura ha ripreso il sopravvento e si è insinuata ovunque. Sostarvi può essere pericoloso: vagabondi e satanisti raggiungono sovente il bellissimo edificio. Un luogo senz’anima, dove nessuna voce del passato sembra vibrare più attorno alle tristi e cadenti mura.

Sarebbe bello che quadri, mobili, oggetti antichi potessero parlare. Mi è effettivamente capitato di far parlare un tavolo e di fargli confessare i suoi trascorsi.  Un tavolo di straordinaria qualità, il cui studio mi ha condotto a scoperte che partono da Torino, ma si allargano fino all’Inghilterra edoardiana del primo Novecento. Elegantemente sagomato intarsiato in avorio e legni rari, scolpito con gusto iperdecorativo, il mobile mi fu mostrato da un giovane e brillante antiquario.

Passava addirittura come opera del più grande ebanista del Settecento, Pietro Piffetti. In realtà scoprii che è un lavoro molto più recente, di primo Novecento, proveniente proprio dalla villa collinare di Sir Walter Frederick Becker a Torino. E da questo tavolo, a ritroso, attraverso gli acquitrini del tempo, il passato è per un attimo ritornato.

Sir Walter Becker, nato nel 1855, diplomatico e uomo d’affari, a fine Ottocento si trasferì in Italia per espandere il suo business. Nel 1888 è armatore a Messina e negli anni successivi la sua flotta diventa la più imponente del sud Italia. Nel 1901 fonda il club del Messina calcio, di cui è primo presidente. In seguito si trasferì prima a Genova e poi a Torino. Grand’Ufficiale dell’Impero Britannico e della Corona del Siam, Console Generale del Siam a Torino, Becker, filantropo, amava l’arte, la cultura e la natura.

Fu infatti uno dei maggiori finanziatori del British Institute di Firenze. Innamorato dall’Italia, nel 1925 diede vita ad una fondazione, ancor oggi esistente e che porta il suo nome, agli Altipiani di Arcinazzo, a sette chilometri da Fiuggi, con lo scopo di proteggere e rinvigorire il patrimonio boschivo italiano. Fu anche raffinato collezionista di mobili e dipinti di alto antiquariato. Importante anche la sua biblioteca, composta da libri rari che di tanto in tanto riappaiono sul mercato con un singolare ex libris: un emblema, imitato dall'impresa di Aldo Manuzio, con un'ancora, due campanelli, un delfino e il motto entro cartiglio: «Ring true».

Il delfino, omaggio al nome della moglie, la nobile Delphine de Martelley, è stato d’altra parte una costante decorativa della villa e dei pensieri di Becker: lo ritroviamo intarsiato sul tavolo e dipinto sul camino della villa; «Delphine» fu anche il nome dell’ammiraglia dalla sua flotta. Becker fu un simpatizzante, fin dalle origini, del fascismo, che finanziò generosamente; scrisse pure un opuscolo pubblicato nel 1926: Italian Fascismo and Its Great Originator: A Summary of Events, Aims, Principles and Results. Si spense a Torino nel 1927 a 73 anni. La salma fu trasportata a Firenze, nella tomba di famiglia nel Cimitero degli Allori. Mussolini inviò alla vedova un messaggio personale di condoglianze, nel quale dichiarava che «l’Italia e il Fascismo perdono un amico sicuro»; anche Vittorio Emanuele III fece avere le sue personali partecipazioni alla vedova.

Quando mi fecero vedere il tavolo, mi domandai per prima cosa chi era lo sfacciato ebanista che, imitando così palesemente Piffetti, aveva creato un capolavoro nel genere e soprattutto a chi era destinato. Non ne sapevo nulla, ma la ricerca fece lentamente emergere una storia, complessa, incredibile, sconosciuta.

Il 15 novembre del 1919, verso le 21 di una notte piovosa, bussò alla porta di Villa Becker un giovanotto allampanato, stanco e stropicciato da un lunghissimo viaggio in treno da Parigi. Aveva una presentazione del console inglese e venne ospitato per due notti nella villa. Becker nelle sue memorie lo descrive come un «homespun-clad figure» (un rusticone, un sempliciotto), con una giacchetta lisa di tweed, carico di ogni sorta di bagaglio. Si trattava nientemeno che dell’immortale autore dell’Amante di Lady Chatterley, lo scrittore David Herbert Lawrence, che proprio da Torino iniziava un viaggio in Italia. Lo scrittore parla della sua permanenza torinese in una lettera del 18 novembre 1919.

Narra di essere stato alloggiato presso il vecchio cavaliere dell’impero britannico; lo definisce un «parvenu» che vive con gran lusso in un’ampia e bellissima casa. Un tipino come Lawrence, ovviamente, non aveva nulla in comune con Becker. Le sue sono parole sprezzanti per la ricchezza di Becker. Un’ironia che sfiora il sarcasmo: il cavaliere sarebbe morto come tutti. Solo lui, povero e malvestito scrittore, era destinato a sopravvivere attraverso l’arte.

Le conseguenze della visita torinese non tardarono a manifestarsi. Lawrence trasformò infatti i coniugi Becker in Sir Williams e Lady Franks protagonisti di una parte del suo romanzo Aaron’s Rod (La verga di Aronne), pubblicato per la prima volta nel 1922. I due coniugi non vi fanno una gran figura sotto le sgrinfie della sua penna beffarda. I Becker non la prenderanno molto bene, ritenendosi traditi.

La rivista «L’architettura italiana» dedicò nel 1908 un ampio articolo alla «Villa del Signor Walter F. Becker in Valsalice», fotografata al tempo del suo splendore. Ne riassume rapidamente la storia, risalente al Seicento, «completamente rifatta» dai Becker. Ricorda che gli esterni furono progettati dall’illustre architetto del liberty Pietro Fenoglio e le parti decorative interne (arredi, affreschi e tavolo compreso) vennero eseguiti sotto la direzione di Ernesto Domenico Smeriglio, al tempo famoso ed oggi quasi dimenticato. Una foto della rivista immortala il salone neobarocco. Ben riconoscibile è proprio il tavolo alla base di questa storia e dove, forse, Lawerne e Becker fecero cena.

Ecco, il tavolo finalmente parlava. Le vicende di Villa Becker conoscono ancora risvolti curiosi negli anni dopo la morte del proprietario. La pallida vedova lady Delphine, cesellata in punta di penna da Lawrence con i suoi capelli bianchi e i suoi preziosissimi gioielli, nel 1935 si risposò con il marchese Demetrio Imperiali di Francavilla di trent’anni più giovane. I due continuarono ad abitare nella villa di Valsalice anche durante la guerra; anzi, generosamente, la trasformarono in un rifugio per gli sfollati. Quando nel 1943 Delphine morì, il secondo marito ne ereditò le grandi sostanze e si risposò in seguito altre due volte, dilapidando tutto.

Nel 2007 Dario Argento ha ambientato nella sinistra dimora la scena finale del film «La Terza Madre». Il regista, estimatore da sempre della Torino magica ed esoterica, scelse non a caso l’edificio per girare le scene finali del film, con Asia Argento terrorizzata negli ambienti spettrali in lotta con la demoniaca Mater Lacrimarum. Per la sua ambientazione orrorifica, Argento non ebbe certo bisogno di alcun ritocco o trucco scenografico: la villa è infatti  una tomba e il suo passato è morto per sempre.

Un interno di Villa Becker nel 1908

David Herbert Lawrence

Delphine Clotilde Thérèse nata de Martelly Becker. © L. Edmonds

Tavolo del 1905 ca di ebanista torinese su disegno di Ernesto Smeriglio

Una veduta di Villa Becker

Un interno di Villa Becker nelle attuali condizioni

Un interno di Villa Becker nelle attuali condizioni

Il Salone di Villa Becker nel 1908 con il tavolo

Arabella Cifani, 26 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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