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La terrazza Hayat Baksh

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La terrazza Hayat Baksh

I Giardini Shalimar di Lahore in Pakistan

Un osservatore privilegiato scruta il Patrimonio mondiale

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Francesco Bandarin

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I Giardini Shalimar (Shalamar Bagh in lingua urdu) a Lahore sono tra i più vasti tra quelli che vennero realizzati in Asia Centrale durante la dominazione della dinastia musulmana Moghul (1526-1857, ma l’impero finì nel 1707), discendenti dagli imperatori mongoli Genghis Khan (1162-1227) e Tamerlano (Timur, 1336-1405).

Il fondatore della dinastia Moghul, Zahir al-Din Muhammad, noto come Babur (1483-1530), che apparteneva alla tribù di Timur, i Barlas, estromesso dall’Asia Centrale a seguito di conflitti dinastici, si spinse verso est, conquistando, a partire dal 1504, le regioni montagnose dell’Afghanistan e, dal 1526, l’attuale Pakistan e tutta l’India Settentrionale, creando uno degli imperi più grandi e potenti della storia mondiale.

Nei secoli successivi, i discendenti Humayun (1508-56), Akbar (1542-1605), Jahangir (1569-1627), Shah Jahan (1592-1666) e Aurangzeb (1618-1707) estesero l’impero fino a includere quasi tutto il subcontinente indiano, e promossero lo sviluppo di una raffinatissima cultura artistica che ha lasciato tracce indelebili nell’architettura, nella decorazione e nella letteratura del mondo indiano, come testimoniano siti come il Taj Mahal ad Agra, i forti di Delhi e Lahore, le città imperiali come Fatehpur Sikri o le imponenti tombe reali nelle principali capitali dell’impero.

Nell’ambito delle loro grandi iniziative edilizie, i Moghul diedero grande importanza ai giardini, sia in forma isolata sia all’interno di architetture, sviluppando in forme grandiose il modello originario del giardino timuride, a sua volta influenzato da una lunghissima tradizione persiana, risalente addirittura all’Impero Achemenide (559-330 a.C).

Principio base del giardino timuride è la struttura geometrica, basata sul modello persiano del «chahar bagh», dove l’incrocio di due canali genera una ripartizione dello spazio in quattro quadrati, delimitato da un recinto o un muro di mattoni, dalla cui etimologia persiana, «pairi» (intorno) e «daeza» (muro o mattone), i Greci derivarono la parola «paradeisos», il nostro paradiso.

Come testimoniato dalla sua autobiografia «Baburnama», il fondatore dell’Impero, Babur, aveva un forte interesse per i giardini, conosciuti in gioventù a Samarcanda prima delle sue estese conquiste, quando questi servivano di supporto agli accampamenti degli eserciti, in zone aride dove le colture erano possibili solo con l’impiego di complessi sistemi di irrigazione.

Babur creò nella città di Kabul, appena conquistata nel 1504, il suo primo giardino, conosciuto come Bagh-e Babur, dove volle essere sepolto dopo la sua morte. È questo un giardino di grande bellezza, che è giunto attraverso i secoli fino a noi, anche se non senza devastazioni e modifiche, e che è stato di recente completamente restaurato dall’Aga Khan Foundation.

Questo giardino, assieme ai moltissimi altri che Babur realizzò nelle città conquistate in India, costituì il prototipo di una vera e propria nuova arte, che trovò espressione nelle grandi realizzazioni dei suoi successori in ogni parte dell’Impero, raggiungendo vette eccezionali, come i giardini delle tombe degli imperatori Humayun a Delhi, Akbar a Sikandra, Jahangir a Lahore e nei Giardini Shalimar di Srinagar, o nel Mehtab Bagh di Agra.

I Giardini Shalimar di Lahore, probabilmente i più complessi tra tutti quelli realizzati dai Moghul, furono costruiti nel 1641 dall’imperatore Shah Jahan (il creatore del Taj Mahal), con la forma di un rettangolo allineato lungo l’asse nord-sud, che misura 658 metri per 258, articolato in tre livelli di terrazze, ciascuno dei quali ha un’altezza di circa 5 metri superiore al precedente. Questa disposizione ha consentito la realizzazione di un complesso sistema di oltre 400 fontane e di ben cinque spettacolari cascate, comparabile per bellezza ai giardini del Rinascimento italiano, come Villa d’Este a Tivoli, a loro volta ispirati, attraverso gli esempi spagnoli, al modello orientale del «chahar bagh».

La terrazza più alta, Bagh-e Farah Baksh («che dona il piacere») e quella inferiore Bagh-e Hayat Baksh («che dona la vita») hanno forma quadrata, mentre quella più piccola, intermedia, Bag-e Faiz Baksh («che dona la bontà»), ha forma rettangolare. Ciascuna terrazza aveva una funzione diversa: quella inferiore, da cui si accedeva all’insieme, era destinata ai nobili, quella intermedia era il giardino dell’imperatore e quella superiore era riservata all’harem. Le terrazze principali sono suddivise in quattro parti da canali e fiancheggiate da passerelle di mattoni, che consentono il passeggio all’ombra di una fitta vegetazione.

Una decina di padiglioni sono disposti attorno ai giardini, ciascuno dei quali aveva, in epoca imperiale, una funzione specifica: per il riposo, i banchetti, il bagno, le udienze. L’irrigazione dei giardini era resa possibile dalla costruzione di un canale, lo Shah Nahar («canale reale»), che prendeva l’acqua da Rajpot (l’odierna Madhpur in India) a una distanza di 161 chilometri. L’acqua fluisce da una terrazza all’altra attraverso appositi percorsi di marmo, verso delle grandi piscine (hauz), al cui centro vi sono dei padiglioni con posti a sedere .

Alla fine del dominio Moghul, e durante la dominazione Sikh (1799-1849), i giardini subirono saccheggi e l’asportazione dei marmi per la costruzione del Harmandir Sahib, il Tempio d’Oro di Amritsar, ma a partire dalla metà dell’Ottocento furono riparati dai maharaja di Lahore e riportati all’antico splendore. Oggi sono proprietà dello Stato e gestiti dalla Direzione generale dell’Archeologia del Punjab, che ne ha promosso l’iscrizione nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco nel 1981.

Nel 1999 i lavori di costruzione di un’autostrada nelle vicinanze provocarono danni importanti ad alcuni sistemi idraulici e alle mura perimetrali dei giardini, imponendo, nel 2000, l’iscrizione del bene nella Lista del Patrimonio mondiale in pericolo, resa ancora più necessaria a seguito della realizzazione di una linea metropolitana elevata, con un forte impatto visivo.

In aggiunta a questo, un’urbanizzazione incontrollata aveva portato a una parziale invasione delle aree protette. La pressione internazionale ha consentito di porre un argine a queste minacce, con l’imposizione di alcune opere di mitigazione. Sebbene fino ad ora non tutti gli interventi correttivi previsti siano stati realizzati, il sito è stato tolto dalla Lista del Patrimonio in pericolo nel 2012, pur rimanendo sotto costante osservazione da parte dell’Unesco.

Francesco Bandarin, 28 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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