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Con la sua altezza di 36 metri lo stupa di Boudhanath domina lo skyline di Kathmandu

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Con la sua altezza di 36 metri lo stupa di Boudhanath domina lo skyline di Kathmandu

Kathmandu, la Valle ferita

Genius Loci • Le ferite del terremoto del 2015 e le incertezze della politica attuale ricordano che il patrimonio è un organismo fragile, che necessita di cura costante, di memoria e di responsabilità collettiva

La Valle di Kathmandu (città capitale del Nepal), iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 1979, costituisce uno dei complessi culturali più straordinari dell’Asia meridionale. Situata a 1.300 metri di altitudine e circondata dalle colline himalayane, la valle comprende sette gruppi monumentali distinti: le tre piazze Durbar di Kathmandu, Patan e Bhaktapur, i santuari hindu di Pashupatinath e Changu Narayan, e i grandi stupa buddhisti di Swayambhunath e Boudhanath. Insieme formano un paesaggio culturale di eccezionale densità, dove Induismo e Buddhismo hanno convissuto per secoli generando forme architettoniche e artistiche uniche.

La valle rappresenta la culla della civiltà nepalese e del popolo Newar, che tra il XII e il XVIII secolo ha espresso una raffinata cultura urbana. Nelle piazze Durbar, sedi delle dinastie Malla, si dispiega un repertorio architettonico che unisce palazzi reali, pagode lignee a più ordini, santuari in pietra e cortili decorati da statue e bassorilievi. I santuari di Pashupatinath e Changu Narayan testimoniano la continuità della tradizione hindu, mentre gli stupa di Swayambhunath e Boudhanath sono centri di pellegrinaggio buddhista di rilevanza internazionale, collegati anche all’esilio tibetano successivo al 1959.

Sin dagli anni Ottanta l’Unesco ha espresso preoccupazione per l’espansione incontrollata di Kathmandu e per la sostituzione progressiva delle case tradizionali in mattoni e legno con costruzioni moderne in cemento armato. Già nel 2000 una missione ad alto livello segnalava che non erano tanto i monumenti maggiori a correre pericolo, quanto il tessuto urbano minore che conferiva unità all’insieme. La perdita di coerenza paesaggistica e la pressione demografica (oggi la valle ospita oltre quattro milioni di abitanti) hanno reso la conservazione un compito sempre più complesso.

Il 25 aprile 2015 un sisma di magnitudo 7.8 colpì il Nepal centrale causando quasi 9mila vittime e distruggendo parte rilevante del patrimonio. Nella Valle di Kathmandu i danni furono ingenti: il tempio Vatsala di Bhaktapur crollò completamente, così come numerose pagode di piazza Durbar a Kathmandu; a Patan furono lesionati il Krishna Mandir e diversi templi minori; a Changu Narayan e Pashupatinath si registrarono gravi danni strutturali. Le immagini delle piazze ridotte in macerie fecero il giro del mondo, evidenziando la vulnerabilità dei monumenti storici in aree sismiche. Nei mesi successivi furono avviati interventi d’urgenza di messa in sicurezza, seguiti da un programma di restauro sostenuto da numerosi Paesi donatori (Cina, Giappone, Stati Uniti, Unione Europea). La ricostruzione si è svolta con ritmi differenziati: alcuni templi, come il Krishna Mandir di Patan, sono stati restaurati entro pochi anni, mentre altri siti restano tuttora in fase di recupero. La questione dell’«autenticità» ha suscitato ampi dibattiti: l’uso di materiali moderni e la ricostruzione integrale di edifici crollati hanno posto il problema di conciliare esigenze di sicurezza, turismo e continuità culturale.

Un’immagine dei danni causati dal terremoto del 25 aprile 2015 nella Valle di Kathmandu

A dieci anni dal sisma il bilancio resta ambivalente. Molti monumenti sono stati ricostruiti, le piazze hanno riacquistato vitalità, il flusso turistico è ripreso e rappresenta una risorsa economica importante. Tuttavia persistono difficoltà strutturali: la mancanza di coordinamento tra le agenzie statali, il ruolo limitato delle comunità locali nei processi decisionali, la lentezza burocratica. La valle rimane esposta al rischio sismico e alla pressione dell’urbanizzazione, che continua a erodere il paesaggio storico.

Inoltre, la crisi politica che il Nepal attraversa negli ultimi mesi accentua l’incertezza. Le proteste di massa dell’estate 2025, innescate dal controverso divieto governativo sulle piattaforme social e sfociate nella caduta del primo ministro K.P. Sharma Oli il 9 settembre, hanno mostrato la fragilità istituzionale del Paese. In un contesto di instabilità, la tutela del patrimonio rischia di uscire dalle priorità di un’agenda politica dominata dall’emergenza sociale ed economica.

La Valle di Kathmandu è oggi un laboratorio emblematico delle sfide che il patrimonio mondiale affronta nel XXI secolo: come proteggere contesti urbani vivi, densamente abitati, in rapido cambiamento, senza trasformarli in musei a cielo aperto? Come conciliare le esigenze delle comunità locali, il turismo internazionale e le norme della conservazione scientifica? 

La risposta non può che essere complessa: occorre un approccio integrato che unisca politiche urbane, pianificazione partecipativa, prevenzione dei disastri e valorizzazione culturale. L’Unesco ha più volte ribadito che la protezione non riguarda solo i monumenti isolati, ma l’intero tessuto urbano, sociale e spirituale che li sostiene. La Valle di Kathmandu rimane una delle testimonianze più alte della civiltà himalayana, ma la sua sopravvivenza dipende dalla capacità di coniugare conservazione e sviluppo, identità e modernità. 

Le ferite del terremoto del 2015 e le incertezze della politica attuale ricordano che il patrimonio non è mai dato una volta per tutte: è un organismo fragile, che necessita di cura costante, di memoria e di responsabilità collettiva.

Francesco Bandarin, 11 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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Kathmandu, la Valle ferita | Francesco Bandarin

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