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«Grande ferro Celle» (1986), di Alberto Burri

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«Grande ferro Celle» (1986), di Alberto Burri

Giuliano Gori, mecenate che non smise mai di progettare il futuro

È scomparso il 26 gennaio a 93 anni il collezionista che aveva creato a Celle uno dei parchi di arte ambientale più importanti al mondo. Un visionario, irrefrenabile, che nella sua vita non ha mai venduto un’opera

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Alberto Fiz

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Che fosse un fuoriclasse era apparso evidente molto presto. Giuliano Gori aveva appena compiuto 16 anni quando, nell’immediato dopoguerra, guadagnò un milione facendo da intermediario tra un’azienda tessile e lo Stato americano che, nell’ambito del Piano Marshall, aveva chiesto di avere in fretta e furia migliaia di coperte. Un’impresa di quelle dimensioni sembrava impossibile, ma il giovane pratese riuscì a portarla a termine tanto che nel 1946 gli venne riconosciuta la straordinaria cifra. Quando andò in banca per versare la somma i funzionari, convinti che avesse commesso un furto, chiamarono il padre che non solo scagionò Giuliano, ma gli aprì un conto corrente riconoscendogli di fatto l’autonomia finanziaria.

Passarono appena tre anni e nel 1949, insieme alla futura moglie Pina (la sposò nel 1950), fondò la Gori Tessuti che in poco tempo si affermò internazionalmente contribuendo al successo di Prato. L’imprenditore che diventa un celeberrimo collezionista è un romanzo straordinario lungo quasi un secolo che ha le fondamenta nell’Italia febbrile del boom economico con protagonista un uomo visionario in grado d’incidere profondamente sulla società.

Giuliano Gori, classe 1930, scomparso il 26 gennaio all’età di 93 anni, sino agli ultimi giorni è stato un condottiero inarrestabile che non ha mai smesso di progettare il futuro. Sotto il profilo etico ed estetico, il suo capolavoro è stato l’acquisto, alla fine degli anni Sessanta, di un complesso storico con una villa risalente al XV secolo e un parco di 45 ettari a Santomato in provincia di Pistoia, destinato a custodire quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni di arte ambientale al mondo. In oltre trent’anni sono state collocate 80 installazioni permanenti.

La prima, «Gerusalemme città della pace», è un lavoro profetico in marmo dell’artista israeliano Dani Karavan risalente al 1976, mentre nel 2018 l’ultimo intervento è stato «La serra dei poeti», nata dalla collaborazione tra lo scrittore e architetto Sandro Veronesi e il paesaggista-musicista Andrea Mati. Nel parco di Celle hanno trovato la loro casa ideale le opere di alcuni grandi protagonisti della contemporaneità: da Fausto Melotti a Richard Serra, da Robert Morris a Anne e Patrick Poirier, da Mauro Staccioli a Magdalena Abakanowicz, da Dennis Oppenheim a Daniel Buren sino a Sol LeWitt e Richard Long.

Tuttavia, ben prima di giungere all’arte ambientale (per comprendere questo progetto rimane indispensabile il volume Arte Ambientale. La collezione Gori nella fattoria di Celle, pubblicato nel 1993 da Allemandi), Gori aveva già compiuto un lungo percorso nell’ambito del collezionismo, una passione nata quando aveva guadagnato il primo milione con il Piano Marshall. In quell’occasione fece il suo primo acquisto facendo entrare nella sua collezione un’opera del pittore pratese Diego Fanciullacci, un paesaggista alla Rosai per nulla disprezzabile.

Qualche anno dopo, nel 1958, Gori era con Osvaldo Licini alla Biennale di Venezia per montare la sua sala personale con 53 opere allestite da Carlo Scarpa che vinse il Gran Premio Internazionale per la Pittura. L’autore delle «Amalassunte» e degli «Angeli Ribelli», che nel 1935 scrisse a Giuseppe Marchiori «Il mio regno è nell’aria», morì pochi mesi dopo e al suo capezzale volle proprio Giuliano, amico fraterno anche di altri grandi protagonisti dell’arte italiana quali Alberto Burri (che per lui ha realizzato il «Grande ferro Celle», una scultura unica nella sua produzione collocata nel punto di accesso della Fattoria di Celle come viatico alle installazioni del parco) e Fausto Melotti (che per i 25 anni di matrimonio gli regalò un letto in argento e pietra di rocca).

Autodidatta, Giuliano si è formato frequentando gli artisti e imparando da loro. Lo ricorda Fabio, il secondo di quattro figli (gli altri tre sono Patrizia, Paolo e Stefania; ci sono anche 12 nipoti e 11 bisnipoti), a 25 anni già a capo dell’azienda di famiglia: «Il sabato sera mio padre tirava giù la serranda della fabbrica e insieme alla mamma correva in macchina a Venezia per passare la domenica al ristorante all’Angelo, aperto solo per lui e i suoi amici, dove incontrava i pittori veneziani tra cui Giuseppe Santomaso, Tancredi ed Emilio Vedova. Venezia era anche la Biennale, manifestazione a cui era particolarmente legato nella quale ha conosciuto molti artisti invitati successivamente a Celle».

Le 80 installazioni (56 nel parco e le altre negli spazi interni) rappresentano dunque 80 storie di amicizia rese possibili da un uomo che non ha mai avuto bisogno di consiglieri, in grado di decidere con rigore senza lasciarsi condizionare né dalle mode né tanto meno dalla mondanità. Del resto, ogni intervento è il risultato della sua determinazione in un progetto fortemente autonomo dove ha fatto convivere Jean-Michel Folon e Fabrizio Corneli, Roberto Barni e Luigi Mainolfi, Alessandro Mendini e Loris Cecchini, Marco Tirelli e Joseph Kosuth. Non mancano poi opere sperimentali come quella a quattro mani realizzata dalla strana coppia formata da Robert Morris e Claudio Parmiggiani o il teatro di Beverly Pepper che ha realizzato un’architettura scultura che ospita spettacoli e concerti. Così, con sarcasmo tipicamente toscano, era solito dire: «Oggi va di moda l’arte ambientata per i salotti chic, io preferisco l’arte ambientale».

Non c’è dubbio che quello di Celle sia stato un progetto ai limiti dell’utopico, reso possibile da un collezionista che ha riattivato il rapporto tra committente e artista creando un sincretismo perfetto tra opera e territorio. Taluni lavori monumentali hanno richiesto anche due anni, come il «Labirinto» in cemento di Morris, tra le installazioni più importanti realizzate dall’artista americano, dove le righe bianche e verdi ispirate all’architettura romanica si deformano e si modificano a causa del continuo saliscendi del percorso, creando nello spettatore un sottile disagio psicologico.

Dopo aver compiuto le prime dieci installazioni in esterno, Gori decise di riunire la famiglia annunciando che le possibilità erano due: o smettere subito o in alternativa proseguire aprendo lo spazio al pubblico in modo da rendere l’esperienza condivisa e non semplicemente narcisistica. Naturalmente la strada obbligata era la seconda, ma a una condizione: «Nessuno avrebbe dovuto mettere le mani in tasca», come lui stesso ha ricordato in una recente intervista.
Severo con sé stesso e con gli altri, Giuliano incuteva un po’ di timore a chi non lo conosceva e tutti venivano sottoposti al suo sguardo indagatore. Anche i figli (sono diventati tutti collezionisti) sapevano che le aspettative erano alte e che con l’arte nessuno di loro avrebbe potuto guadagnare: «Mio padre non ci ha mai indotto in tentazioni», afferma sorridendo Paolo (nel 2000 ha fondato la casa editrice Gli Ori), che negli ultimi anni ha avuto con lui una lunga frequentazione. «Giuliano non ha mai venduto le sue opere ed era convinto che il collezionismo avesse una finalità sociale. Ancora oggi oltre 20mila persone che ogni anno vengono a Celle da ogni parte del mondo visitano il parco gratuitamente con l’ausilio di guide specializzate».

L’arte pubblica del resto era un principio basilare per Giuliano che non ha lasciato il segno solo a Celle. È stato tra i soci fondatori del Museo Pecci di Prato e promotore della collezione all’aperto che purtroppo oggi non gode di buona salute. Nel 1974 poi, insieme all’industriale Loriano Bertini e al Comune di Prato, ha contribuito all’acquisto di «Forma squadrata con taglio», la scultura in marmo bianco di Henry Moore alta oltre cinque metri collocata in piazza San Marco. E nel Duomo della città toscana si trova l’altare maggiore, il candelabro e l’ambone di Morris donati da Gori, mentre, sempre grazie a lui, nel 2012 Palazzo Pretorio si è arricchito di una delle più importanti collezioni di Jacques Lipchitz con 30 gessi e una scultura in bronzo. Anche «Die Grosse Fracht (Il Grande carico)», una nave di libri realizzata da Anselm Kiefer per la Biblioteca di Pistoia, deve molto al suo apporto: «Giuliano è tutto intorno a noi e per questo continuerà a vivere», afferma Paolo con un filo di commozione.

Intanto a giugno l’attività della Fattoria di Celle riprende con il Premio Biennale di Poesia che vedrà protagonista Gian Mario Villalta. I primi versi saranno dedicati a re Giuliano per aver reso Celle il luogo dell’utopia realizzata. Si potrebbe concludere con le parole del suo amico Osvaldo Licini: «Che un vento di follia totale lo sollevi».

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Alberto Fiz, 15 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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